Leggere il passato per costruire il futuro

Il nostro Paese ha bisogno di innovazione, in tutti i settori, nell’industria, nelle amministrazioni pubbliche, nella società, nei mezzi di informazione. Ognuno in realtà interpreta questo termine a modo suo. Talvolta, paradossalmente, per innovazione si intende un ritorno al passato: l’innovazione è vista come il cambiamento che restaura ciò che si sarebbe malauguratamente perso. In realtà, innovazione è saper leggere il passato per costruire un “futuro migliore”, imparare da ciò che si è fatto per migliorare sia come singoli che come società. È così: dobbiamo innovare per stare meglio, tutti. E seppur con tante contraddizioni, deviazioni, storture, errori, la nostra società “innovando e innovandosi” ha migliorato le condizioni di vita delle persone. Basti guardare a come è cambiata (in meglio) la nostra vita nell’arco degli ultimi 5–6 decenni.

Trent’anni fa, nel 1988, proprio in questo periodo dell’anno, nasceva Cefriel, quello che allora si chiamava “Consorzio per la Formazione e la Ricerca in Ingegneria Elettronica”. Istituito all’inizio dell’anno, avrebbe poi cominciato le sue attività il 3 ottobre. Ho avuto la fortuna e l’onore di vivere tutti i momenti della vita di questa struttura e vorrei ricordarne alcuni, in quanto credo che rileggerli possa essere utile non solo e non tanto a riconoscere il lavoro delle migliaia di persone che vi hanno a vario titolo operato, ma a riflettere in modo critico su quanto è stato fatto e su ciò che non si è riusciti a fare, per imparare quindi dal passato e poter essere così in grado di costruire un “futuro migliore”.

La nascita di Cefriel

Cefriel nacque dall’intuizione di alcune persone: Marisa Bellisario, Maurizio Decina (primo Direttore Scientifico del Centro), Francesco Carassa (padre delle telecomunicazioni al Politecnico di Milano, capo del progetto Sirio e presidente dell’ESA). La “Dottoressa” purtroppo scomparve prima che il centro avviasse le sue attività in quello che fu il primo insediamento del Progetto Bicocca.

Il giorno dell’inaugurazione del Cefriel (e dell’Aula Bellisario dedicata alla dottoressa) erano presenti tutti coloro che lo fecero partire: oltre ai professori Decina e Carassa, l’allora presidente di Assolombarda Otorino Beltrami e il Rettore del Politecnico Emilio Massa.

Inaugurazione dell’Aula Bellisario (ero emozionatissimo, seduto all’estrema destra)
Da sinistra verso destra: Maurizio Decina, Otorino Beltrami, Emilio Massa, Francesco Carassa

Queste persone rappresentavano in modo chiarissimo il senso dell’iniziativa: costruire un ponte tra università e industria nel campo della ricerca applicata e della formazione dei ricercatori industriali nel settore dell’ICT. Dal punto di vista operativo, fu una intuizione unica in quanto si distaccava dall’approccio troppe volte seguito nel nostro Paese (ancora oggi!): Cefriel perseguiva (e persegue) una missione di servizio e “di sistema”, pur essendo una struttura di diritto privato che sta sul mercato. Non ha dotazioni economiche strutturali pubbliche o private. I soci industriali che lo fondarono (oltre al Politecnico e all’Università di Milano, Regione Lombardia, Comune di Milano e Assolombarda, le imprese furono Italtel, Telettra, IBM, Pirelli, Bull) diedero per alcuni anni un supporto economico per l’avvio delle attività. Poi il centro imparò a vivere sulle sue gambe, grazie ai risultati del proprio lavoro.

È un primo discrimine essenziale: Cefriel fin dal primo giorno sapeva che sarebbe “rimasto in piedi” solo a condizione di produrre valore per i propri interlocutori e per il territorio.

Inoltre, il centro nacque come struttura not-for-profit. Non è un elemento marginale: cambia il senso, la prospettiva e le dinamiche del lavoro che viene fatto.

È inutile girare intorno alle cose e ignorare la realtà: in una società convenzionale, l’obiettivo finale è la produzione di reddito che remuneri il capitale investito. È giusto e legittimo che sia così. Questo però significa che “alla fine” i modelli di gestione, i criteri decisionali, gli strumenti di coinvolgimento delle persone non possono prescindere da questo obiettivo.

In una struttura not-for-profit, la produzione di reddito non è il fine ultimo, ma uno strumento per poter operare restando sul mercato. La gestione non è orientata alla distribuzione dei dividendi ai soci. Il “dividendo” vero è l’impatto della struttura sull’economia e sulla società, il contributo allo progresso sociale e culturale del territorio, la creazione e la promozione di nuove professionalità e competenze, la formazione e la valorizzazione delle persone.

Per una struttura not-for-profit, creare reddito deve servire “a stare in piedi”, a investire, ma sarebbe del tutto inutile in assenza dei veri risultati che si devono ottenere: aiutare il Paese a crescere e svilupparsi.

Obiettivo finale di Cefriel non è mai stato e non sarà mai lo sfruttamento commerciale del proprio know-how o dell’Intellectual Property: anche questo è uno strumento, non il fine. Il fine è disseminare conoscenze, far crescere le imprese e le amministrazioni pubbliche, trasferire agli interlocutori quel che si è studiato e imparato. Per certi versi è l’opposto di quel che deve legittimamente e fisiologicamente fare una impresa commerciale.

La missione di Cefriel al servizio del territorio non è solo una dichiarazione di principio o uno slogan commerciale: è il DNA che dà senso e corpo ad un modo di operare a servizio del territorio e della società.

Il mondo cambia

Negli anni ’90 molte aziende ICT scomparvero o si ridimensionarono. Purtroppo, le attività di ricerca e sviluppo in ICT si ridussero significativamente. Al tempo stesso l’ICT divenne pervasivo, entrò nelle aziende “non ICT” e nelle case, conquistò un ruolo, una visibilità e un mercato molto più ampi e profondi.

Nel corso di più di un decennio, Cefriel un po’ alla volta cambiò conseguentemente pelle. Nato per aiutare le aziende ICT nei settori della ricerca e della formazione dei ricercatori, si trasformò per essere a servizio delle imprese di ogni settore e delle amministrazioni pubbliche che devono utilizzare e applicare queste tecnologie per innovare il proprio modo di essere e operare.

Ciò ha reso Cefriel sempre più complementare rispetto alle università e sempre più simile a realtà internazionali come i centri del Fraunhofer che svolgono proprio questo ruolo di cerniera tra attività accademiche di ricerca e sviluppo e applicazione industriale dei saperi.

Non si tratta di un mutamento nominalistico. 

Fare ricerca è diverso dal fare innovazione e condivisione di know-how. Innovare richiede persone, professionalità, competenze, modelli operativi e processi, metodi e strumenti che sono oggettivamente diversi–ancorché sinergici e complementari– rispetto a quelli della ricerca.

Nel confronto tra ricerca e innovazione sono diversi gli obiettivi, i driver, i criteri economici e sociali di successo, le metriche di valutazione dei risultati e delle persone. È inutile illudersi che con lo stesso capitale umano, gli stessi processi e lo stesso contesto operativo usato nel mondo della ricerca si possa fare in modo efficace innovazione. Ovviamente tante sono le sfumature, le singole storie di successo e le eccezioni, ma complessivamente la sostanza non cambia. Non per niente nel nostro paese lamentiamo l’assenza di strutture come i Fraunhofer che si pongono proprio questi obiettivi e finalità.

Alla ricerca dell’eccellenza

Come si è sviluppato Cefriel? Cosa abbiamo imparato? Quali gli errori? E che fare per il futuro?

Il termine che si utilizza per caratterizzare la natura e l’aspirazione di una struttura come Cefriel è eccellenza. Tutti vogliamo essere eccellenti. Tutti vogliono riconoscere e premiare l’eccellenza. Ma come la si ottiene? Come la si riconosce? Quando ci si può chiamare eccellenti?

È presuntuoso e arrogante cercare di rispondere a queste domande in modo assiomatico, autocelebrativo e didascalico. Tuttavia può essere utile raccontare una storia, le proprie esperienze, ciò che si è imparato e gli errori fatti perseguendo l’obiettivo dell’eccellenza, indipendentemente dal fatto di averla effettivamente e completamente raggiunta.

Eccellenza non si crea

Troppo spesso pensiamo che si possa creare l’eccellenza per decreto oppure perché semplicemente la si desidera: “Abbiamo fatto un bando per creare i centri di eccellenza.” Altre volte si pensa che essendo eccellenti in un settore (per esempio nella ricerca accademica o nella produzione industriale) automaticamente si sia eccellenti anche in altri campi come l’innovazione. Sono semplificazioni e illusioni che dimenticano l’assunto essenziale:innovare è un processo complesso, diverso e distinto rispetto alla ricerca accademica o allo sviluppo industriale tradizionale.

L’eccellenza non si mutua né trasmigra né si crea perché la si desidera: la si costruisce con pazienza e determinazione attraverso uno sviluppo continuo del capitale umano, dei processi, dei modelli di funzionamento, degli strumenti e delle metodologie. L’eccellenza si persegue nel tempo e si riconosce quando riesce a manifestarsi nella concretezza dei risultati.

Ma come si riconosce l’eccellenza nell’innovazione? A mio giudizio, quando chi la persegue riesce a proporre risultati che hanno almeno tre caratteristiche:

  1. presentano una discontinuità rispetto allo stato dell’arte
  2. hanno un impatto economico, culturale e/o sociale positivo, visibile e misurabile
  3. si ripetono nel tempo e non sono solo “fuochi di paglia”.

Certamente, dovremmo cancellare la parola “eccellenza” dalla gran parte delle nostre discussioni, riservandola solo per quelle situazioni e realtà che effettivamente offrono una discontinuità rispetto allo stato dell’arte.

Cefriel vuole essere eccellente nell’innovazione. È la sua aspirazione. È questo l’assunto che sta alla base del suo operare quotidiano. Per qualche anno avevamo anche riletto il nostro acronimo proprio per riflettere questa postura: “CEFRIEL” fu riletto come “Center of Excellence For Research, Innovation, Education, and industrial Lab partnership”. Abbiamo deciso di cancellare questa espressione. Siamo semplicemente Cefriel, alla ricerca continua dell’eccellenza, sapendo che quando anche ci si illude di essersi ad essa avvicinati, la storia e l’evoluzione culturale, economica e sociale riallontana il traguardo ponendo nuove sfide e parametri di successo.

Eccellenza è cultura, metodo, filosofia di vita. È essere in cammino, mai contenti, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, migliore, più alto, “più in là”.

Eccellenza non è infallibilità

Nella società moderna abbiamo una paura folle di dire “ho sbagliato”. Sbagliare è sinonimo di fallimento, di sconfitta, di “mancanza di eccellenza”.

In realtà, quelli che sul serio perseguono l’eccellenza, che innovano, che rischiano, inevitabilmente sanno che sbagliano e sbaglieranno. Non ci sono dubbi: se non sbagli è perché non stai facendo nulla che possa anche minimamente ambire ad essere eccellente.

Al Cefriel abbiamo fatto – ho fatto – molti errori, per arroganza, per ignoranza, per superficialità, perché oggettivamente la situazione che stavamo affrontando era complessa. Ci sono stati progetti di successo come l’airbag di Dainese (2010–12), E015 (2011–15) o il dashboard sviluppato per LensCrafters (2011): essi hanno anticipato anche di anni trend che poi si sono affermati e diffusi su larga scala. Allo stesso, altri progetti si sono rivelati poco concreti e efficaci, incapaci di fornire quel cambio di passo che avevamo auspicato e ricercato, vicoli senza uscita.

Riconoscere gli errori è la condizione necessaria per anche solo provare ad essere eccellenti. Ed è la cosa più difficile da fare.

È la sfida che tutti i giorni tutti noi viviamo e alla quale non possiamo assolutamente sottrarci se anche vogliamo solo lontanamente pensare di poterci un giorno chiamare eccellenti.

Eccellenza è cambiamento continuo

Cefriel è cambiato e ancora cambierà. Se si vuole anche solo provare ad essere eccellenti bisogna essere sempre in movimento, imparare dagli errori, studiare i cambiamenti di contesto, valutare nuove opportunità e sfide, mai essere contenti di quel che si è.

Non esiste eccellenza nella staticità: è solo arrogante illusione.

Trent’anni, la nuova sede, il futuro

A trent’anni dalla nascita, Cefriel è oggi una realtà di circa 140 persone, un valore della produzione che nel 2017 ha superato abbondantemente i 12 milioni di euro, gran parte dei quali fatti all’estero (in particolare USA, UK, Svizzera), e un patrimonio che supera i 3 milioni di euro. Nei nostri progetti sono coinvolti come partner colleghi delle università, di centri di ricerca internazionali, di startup innovative che contribuiscono con il loro know-how e i loro prodotti e servizi. Sono dimensioni e dinamiche che rendono Cefriel confrontabile con equivalenti centri del Fraunhofer spesso evocati nel dibattito nazionale.

Nel corso degli anni, il numero dei soci di Cefriel è cresciuto e essi oggi includono prestigiose università, amministrazioni e imprese del nostro territorio. I soci sono partner delle attività del centro e, se e quando lo desiderano, clienti di Cefriel, ma a priori non forniscono alcun supporto economico al centro né garantiscono alcun tipo di ricavo: Cefriel mantiene e anzi rafforza la sua vocazione di apertura al mercato.

I soci di Cefriel

Il trentennale di Cefriel si apre con un grande cambiamento: una nuova sede che verrà inaugurata nelle prossime settimane. Dopo venti anni passati in Via Fucini, in zona Città Studi, Cefriel torna in Bicocca, in un moderno palazzo al centro di un distretto che vede la presenza dell’università di Milano-Bicocca (anch’essa socia di Cefriel) e degli uffici e centri ricerca di società come Pirelli, Prysmian, Engie. Questa nuova sede si sviluppa su due piani. Al terzo piano dell’edificio sono posizionati uffici e spazi di lavoro comune che occupano oltre 2.500 mq. In particolare sono previsti open space per accogliere oltre 150 persone, quattro laboratori, 13 sale riunioni, una sala per workshop e eventi, 14 phone booth, una sala break (la “piazza” del Cefriel), oltre che altre facilities e strutture di servizio.

Rendering della reception
Rendering dei nuovi spazi di lavoro 
Rendering della sala break

Al piano terra, in uno spazio di oltre 600 mq, sono in corso di allestimento 4 diverse aree:

  • uno spazio di coworking per il Satellite Milanese di EIT Digital, la rete dello European Institute of Innovation & Technology dedicata alle tecnologie digitali e dell’ICT
  • una zona exhibition
  • una zona reception e accoglienza degli ospiti
  • 4 spazi riconfigurabili per workshop e aule corsi.

È uno spazio moderno, luminoso, aperto e collaborativo che non vuole essere solo un “nuovo ufficio”, ma anche un nuovo modo di lavorare e interagire con i nostri clienti, partner e colleghi. Nello spirito del “non essere mai contenti” e del “continuo cambiamento” stiamo definendo nuove modelli di interazione con le imprese e con le università così da poter sempre meglio rispondere all’aspirazione e all’ambiziona che animano il nostro lavoro quotidiano.

Vogliamo lavorare insieme a imprese, università e “persone di buona volontà” per creare valore e sostenere la crescita di aziende e amministrazioni pubbliche, promuovere la preparazione e l’educazione delle persone e dei professionisti, contribuire con entusiasmo e determinazione allo sviluppo economico, culturale e sociale del nostro Paese.

Alla via così.

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