Tecnologia così semplice e vita complicata?

Il paradosso di cui parlo oggi è già tutto racchiuso nel titolo del post: le scelte e la governance della tecnologia sono ogni giorno sempre più complesse, in apparente contrasto con la facilità di acquisizione e del (promesso) immediato utilizzo degli strumenti oggi sul mercato. Per quali motivi? Eccone alcuni:

L’offerta è veramente ampia

Partiamo da un esempio difficile, per rendere subito l’idea: volete scegliere una soluzione per migliorare le “vostre attività di contatto con il cliente”. Non c’è il problema della scarsità di scelta, dato che secondo la “marketing technology landscape supergraphic” di Scott Brinker per il 2017 sono stati mappati 5,381 soluzioni di 4.891 diverse aziende.

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Non è diverso il trend per la tecnologia HR o per il Fintech, e tutti i settori stanno progressivamente seguendo. Bisogna avere dunque molto chiari gli obiettivi, la roadmap e le implicazioni rispetto all’ecosistema aziendale complessivo (ci tornerò dopo), e anche così le scelte restano articolate. La buona notizia? C’è praticamente una (o più soluzioni) per ogni cosa!

I servizi in cloud hanno le lore metriche

Fin dal 2014 gli analisti di Gartner hanno inserito il cloud nelle “nexus of forces” convergenti che hanno cambiato il business in ottica di piattaforma digitale, e l’avvento delle logiche SaaS, PaaS e IaaS è alla base dell’offerta di tutti i grandi e piccoli vendor.

Un trend da cui non si torna indietro, visti i suoi enormi benefici, ma che a volte viene banalizzato in termini di implicazioni decisionali, soprattutto nella valutazione dei costi.

E’ vero infatti che uno dei benefici core è la scalabilità e quindi il non dover investire preventivamente in infrastruttura, tuttavia i listini delle soluzioni vengono oggi costruiti su di una serie di metriche che non sempre è facile e immediato stimare lato azienda acquirente. Di nuovo quindi, per chi ha le idee chiare e il know how giusto le opportunità che si aprono sono fantastiche, ma serve sapere di che cosa si parla e sempre maggiore competenza.

Capire le possibili integrazioni non è immediato

Tutto si può integrare con tutto: un dato di fatto dell’informatica che non sono certo le nuove tecnologie a smentire. Con le dovute eccezioni.

Il primo tema è infatti quanto costa integrare (tempo e denaro) due diversi software, il che può cambiare la scelta per chi ragiona con occhio attento.

Inoltre, tutti i grandi vendor stanno costruendo le loro cloud fatte di cose sviluppate in proprio e di acquisizioni e spingono sempre più nella direzione di uno stack tecnologico uniforme, a scapito dell’integrazione verso terzi. Per tale ragione il best of breed non è sempre la prima scelta se ci sono tanti altri pezzi da collegare, mentre magari il secondo classificato ci offre un’apertura superiore. Il che ci porta al punto successivo.

Raramente non esiste nulla di precedente in azienda

Sono poche le grandi aziende nate nell’era del cloud e delle piattaforme, e per questo la maggioranza delle grandi organizzazioni strutturate hanno in casa gestionali on premise, insiemi di soluzioni diverse e anche molti applicativi sviluppati in modo custom.

Le nuove soluzioni devono necessariamente parlare con tutto ciò, e non è così banale. Non lo è sul piano tecnologico, perché dietro ci sono filosofie e metodologie tecniche molto diverse, e non lo è nemmeno sul piano organizzativo e culturale, dato che necessariamente ci saranno persone interne e fornitori pronti a difendere (giustamente) il proprio lavoro nei confronti di quanto ritengono (meno giustamente) dei “giocattoli” per chi non sa veramente di informatica.

Le capacità relazionali da un lato e la comprensione tecnologica di tutto l’ecosistema dall’altro qui saranno dunque più che mai fondamentali.

Tutti pronti per i nuovi aggiornamenti?

Tipicamente il vostro software aziendale è indietro di alcune release perché il passaggio al nuovo aggiornamento comporta tutta una serie di impatti che non c’è mai tempo e budget di valutare e fare.

Tuttavia molte tecnologie cloud prevedono aggiornamenti costanti e non sempre bloccabili, in quanto il loro paradigma è diverso, e questo va considerato nell’organizzazione dei team e delle competenze che devono intervenire.

Se questo non bastasse, la velocità del mercato fa sì che spesso gli stessi fornitori di tecnologia rilascino il prima possibile le nuove versioni salvo poi proporre delle patch per rimediare a dei difetti.

In alcuni casi tali “difetti” stanno diventando pesanti, complice anche la contaminazione tra device aziendali e consumer: l’ultimo caso piuttosto clamoroso riguarda il blocco della posta exchange su iOS 11, qualcosa che non ci si aspetterebbe da due colossi come Apple e Microsoft.

Personalmente trovo che si stia un po’ esagerando con tali instabilità, pur concedendo l’attenuante della complessità tecnologica, ma nel frattempo è qualcosa con cui bisogna fare i conti.

La tecnologia che possiedono i vostri clienti (e dipendenti) spesso è migliore della vostra

L’avvento di device pensati per il consumer e poi usati in azienda non aiuta il punto precedente. Le implicazioni della consumerizzazione della tecnologia però sono molto più vaste: i vostri clienti e i vostri dipendenti spesso hanno delle dotazioni personali superiori a quelle corporate per modernità e aggiornamento ed entrambi si aspettano un’esperienza “consumer like” in termini di velocità, facilità e usabilità.

L’attenzione a questi aspetti non fa parte del bagaglio classico del mondo IT e dall’altra parte chi concentra i propri sforzi sull’estetica delle soluzioni raramente pensa alla loro velocità di prestazione e facilità di uso.

Per tutti questi motivi l’esperienza è un nuovo elemento di complicazione nell’equazione della tecnologia, in cui bisogna tenere un grande focus sulle persone ed essere consapevoli anche il “tecnicismo” diventa parte del lavoro perché il meccanismo tecnologico attraverso cui si realizza l’esperienza diventa esso stesso parte integrante della qualità e del valore dell’experience, come spiega questa immagine tratta dal libro “Hacking Marketing” che ho già citato in passato su queste pagine.

Arriva il GDPR, sapete dove sono i vostri dati?

Mancano pochi mesi all’arrivo del temuto nuovo regolamento GDPR e quindi della problematica della gestione del dato personale che l’azienda detiene. Viste le sanzioni previste, essere in abbondante compagnia nell’eventuale ritardo ad adeguarsi è veramente poco di consolazione, quindi bisogna agire.

Ed ecco che torna la complessità della tecnologia che apparentemente era semplice, perché l’infrastruttura la gestisce qualcun altro in cloud: dove sono i dati? Sono in Europa? Sono gestiti in modo corretto?

Anche per chi avesse ancora tutti i dati nelle proprie infrastrutture on premise poi potrebbe non avere molto da ridere: uno degli obblighi posti dal legislatore è l’accesso self service da parte del cliente a TUTTI i suoi dati in nostro possesso. Non proprio una cosa che si possa fare accedendo ad un gestionale che sta in casa, no?

Quale che sia la formula, nessuno può ritenersi dunque indenne da una nuova complessità da gestire.

E alla fine, chi paga e chi gestisce?

Come ho scritto anche di recente, dal mio punto di vista pensare che oggi ci sia qualche parte dell’azienda che possa tenere in pugno tutta la componente tecnologica è poco realistico. Anche il cliente poi è sempre più omnicanale, ed il problema di dare seguito a questa evoluzione sembra però più organizzativa che tecnologica: ad esempio solo nel 24% delle aziende considerate prima edizione dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience della School of Management del Politecnico di Milano tutte le diverse aree hanno un livello di coinvolgimento uniforme ed elevato.

Non ci sono probabilmente ricette universali che possano valere in tutti i contesti, ma per concludere questa breve carrellata sulla complessità non si può ignorare la dimensione dell’organizzazione interna.

E forse è la cosa più complessa e lunga da cambiare!

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Si occupa di Digital Strategy dal 2000 con, fin da subito, la convinzione che servano profili in grado di conciliare le logiche di business con una solida conoscenza della tecnologia in modo ibrido. Dal 2006 al 2014 è responsabile del Digital Marketing per un gruppo leader nel settore retail e successivamente, fino al termine del 2016, si occupa all’interno della stessa società dell’intero ecosistema della Customer Technology, facendo in modo di colmare la distanza tra Marketing, Change Management e gestendo l'Innovation Lab interno dell’azienda. Oggi ricopre un analogo ruolo di Digital Transformation a livello global per un importante brand del lusso italiano. Appassionato divulgatore con il blog http://internetmanagerblog.com, è docente in master e in corsi di alta formazione. Oltre ai viaggi digitali, ama conoscere nuovi posti anche nel mondo fisico.

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