Governance Agenda Digitale italiana: lo stato dell’arte

Da Caio, a Luna e poi Piacentini

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo del decreto correttivo del CAD si è chiusa la legislatura 2013-2017 per quanto riguarda il digitale. Per aiutarci a fare memoria sugli accadimenti degli ultimi cinque anni  possiamo richiamare dapprima lo #staisereno che chiuse la fase di Caio (e del governo Letta), per passare dalle “due Venaria” prima quella di Luna (governo Renzi) e poi quella di Piacentini (tra Renzi e Gentiloni). Tre figure esterne alle istituzioni, Caio, Luna e Piacentini, hanno guidato le danze e questo evidenzia il carattere emergenziale della governance italica del digitale in questi 5 anni. Tutti riconoscono come centrale e prioritario il tema della rivoluzione digitale che stiamo vivendo, ma questo non trova mai una dimensione stabile dentro le istituzioni.

Della fase del Commissario Caio possiamo ricordare il mirabile concetto che “l’agenda digitale è La riforma dello Stato” (come annunciava il presidente Letta il 20 ottobre del 2013). Dobbiamo sempre a Caio il lavoro, durato circa un anno, della individuazione di alcune priorità e l’introduzione di elementi minimi di project management (una cultura che, in genere, continua ad essere assente nelle PA) il che permise di mettere alcune iniziative concrete sul binario giusto. Iniziative che reggono ancora oggi la strategia di digitalizzazione delle PA italiane.

La fase successiva, fu invece caratterizzata da un approccio incentrato sulla comunicazione dell’importanza del digitale. Ricordate il grande evento del 21 novembre 2015? Sono ormai passati più di due anni dall’Italian Digital Day organizzato nella Reggia di Venaria dall’allora digital champion italiano Riccardo Luna sotto l’egida del governo Renzi, sicuramente il vertice di quella strategia di comunicazione.

Il 25 settembre 2017 anche il Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale (nonché digital champion in carica) Diego Piacentini ha avuto la sua Venaria, ovvero il G-7/I-7 degli innovatori dei paesi più industrializzati sotto l’egida del governo Gentiloni, che ben illustra l’approccio del Team digitale teso all’esplorazione dell’innovazione e delle tecnologie più avanzate.

Non ci interessa qui esaminare i contenuti degli eventi citati, di natura ben diversa, ma solo richiamarli alla memoria per usarli come pietre miliari a segnare il cammino fatto dall’agenda digitale in Italia: una fase dedita al project management, una dedita alla comunicazione, una dedita alla tecnologia. Abbiamo disperatamente bisogno nella prossima legislatura che questi tre approcci trovino attuazione sinergica e una collocazione istituzionale definitiva che sia in grado di incidere, davvero, sulla forma dello Stato.

La domanda cui rispondere è questa: c’è ancora bisogno di una agenda digitale?

Cercando un colpevole

Per prima cosa bisogna togliere di mezzo un facile alibi: la mancata attuazione dell’agenda digitale è una responsabilità delle strutture amministrative e tecniche non certo della politica. Su questi temi il ruolo della politica è attestare che si tratti di una priorità e stanziare risorse ed entrambe le cose sono ampiamente accadute nella passata legislatura. Anche il fatto che le norme sul digitale siano complicate non è un alibi valido: la maggior parte degli atti sono sì approvati da politici, ma sono pieni di dettagli tecnici redatti da uffici legislativi e tecnici.

Se vogliamo trovare una colpa per la politica, questa risiede nel non aver affrontato di petto la macchina burocratica, istituendo figure commissariali e strutture esterne senza andare a incidere sui vertici delle istituzioni esistenti. La mancata istituzione degli uffici ex art.17 del CAD così come la mancata riforma dei regolamenti parlamentari e delle commissioni è un fatto che grida vendetta.

E’ ora di rivedere il processo legislativo in Italia? Sicuramente sì, non si può pensare di andare avanti con emendamenti scritti su foglietti di carta esaminati durante sedute fiume notturne. Questo non può che produrre norme raffazzonate ed emblematici casi “Isiamed”.

E’ ora di riformare la Repubblica ripensandola nell’era digitale? Sicuramente sì, ma mettere mano alla “Costituzione più bella del mondo” non è cosa facile, ed i falliti referendum del 2006 (61% di no) e del 2016 (59% di no) sono un serio monito per chi vorrà riprovarci.

Nel frattempo, chi ha un ruolo manageriale nelle PA e nelle imprese non può star fermo. Il mondo è già cambiato con il digitale, ma l’innovazione non è un tema affascinante per la campagna elettorale.

In attesa delle riforme, esiste una Repubblica “dual mode” in cui qualcuno cambia le cose con il digitale e qualcuno no. Non abbiamo mai avuto tanti fondi e tante opportunità come oggi per fare la trasformazione digitale sia nel pubblico che nel privato. Per fare una rivoluzione di senso, non ci vuole la presa della Bastiglia e neanche battagliare nei talk show (The Revolution Will Not Be Televised).

Italia in una dimensione alternativa

Vi ricordate quella scena del film “Ritorno al futuro 2” in cui Doc spiega a Marty che sono finiti in una dimensione alternativa, un 1985 in cui solo loro sono coscienti che qualcosa non va perché non è il “vero 1985”? Questa è la condizione ogni giorno di chi prova ad innovare in Italia. Le persone intorno a noi sembrano non rendersi conto del ritardo del Paese. E’ come se fosse avvenuto un episodio nel passato che ha bloccato buona parte dell’Italia a prima di Internet… e solo alcuni ne sono coscienti.

Non è che manchi la tecnologia, infatti le persone usano tranquillamente lo “smartphone“, ma in larga parte non hanno la minima idea del cambiamento impresso dal digitale al mondo. Il resto del mondo si trova nel 2018 normale, quello della rivoluzione digitale, mentre l’Italia vive in una sorta di 2018 parallelo.

La frattura è avvenuta forse nel 2010 quando è nata l’Agenda digitale Europea: gli altri hanno accelerato, mentre lo “scoreboard DESI”  mostra i numeri del ritardo dell’Italia in modo impietoso. Dal 2010 in Italia abbiamo parlato molto di agenda digitale, ma la verità è che solo ora stiamo iniziando a fare qualcosa. La verità è che stiamo scivolando nel terzo mondo digitale.

Se qualcuno prova a dire che bisogna dare la “scossa” anche a chi è rimasto indietro, come ad esempio fare uno “switch-off” e fornire servizi pubblici di largo uso solo in digitale (magari assistendo allo sportello chi è in divario culturale, ma, comunque, senza accettare mai carta) gli dicono che è un visionario, che le “app” sono per ragazzi che fanno “giochini”, che curare i rapporti con gli utenti via “social media” è roba per perdere tempo…

Abbiamo un problema di “e-leadership“, direbbero in Europa. Per rispondere alla domanda rimasta aperta: l’agenda digitale è ancora importante. E’ necessario continuare con un’opera di disseminazione culturale, nell’ottica originaria della digital championship di stampo europeo, in particolare per accrescere le competenze manageriali di e-leadership. Proprio sul fronte culturale, verso manager pubblici e privati, va riconosciuto a Diego Piacentini di avere fatto molto in questo primo anno su due del mandato commissariale. Se in Italia appare innovativo l’uso di strumenti come GitHub o Forum, questo ci dice molto del nostro ritardo. A maggior ragione ha fatto bene il Team digitale ad usarli per lanciare un messaggio: passare dalla cultura della concertazione/partecipazione a quella della collaborazione aperta (openness).

Il digitale e l’innovazione non sono un “settore”: sono (dovrebbero essere) patrimonio di chi opera in ogni settore. In un mondo ideale l’agenda digitale non serve. Ma nella nostra “Repubblica Immobile” bisogna continuare a parlare di digitale, bisogna portarlo all’attenzione di tutti. E bisogna avere il coraggio di fare dell’agenda digitale l’agenda politica del Paese. Speriamo in programmi elettorali non generici. La speranza è l’ultima a morire.

La governance, tra due Venaria

Cerchiamo di esaminare le principali criticità della governance italica del digitale, considerando i livelli classici della governance: quello politico, quello tecnico-amministrativo, ed il livello operativo dell’esecuzione. Può aiutarci un confronto temporale usando le due milestone già ricordate, ovvero le due Veneria, quella di fine 2015 e quella di fine 2017:

Esaminiamo i tre livelli sintetizzati nella figura:

  • livello politico: nel 2015 erano già state fissate le strategie nazionali, in linea con quelle europee. Nel periodo successivo fino al 2017 si sono aggiunti anche le importanti strategie legate a Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), il Piano legato alla Open Government Partnership (OGP) ed il Piano Industria 4.0. Tutti piani riconosciuti in modo unanime come validi e persino ambiziosi. Le risorse, in massima parte derivanti da fondi europei 2014-2020, erano disponibili nel 2015 e lo sono anche ora.
  • Livello tecnico-amministrativo:
    • per quanto riguarda la programmazione (autorità di gestione, bilancio, ecc) e l’allocazione dei finanziamenti su mandati progettuali (budget) nel 2015 PON e POR erano approvati in accordo con l’Europa, tutto era pronto “per spendere”. Molte difficoltà sono sorte per via dell’applicazione del D.lgs. n.118/2011 (che punta ad una vera programmazione di bilancio, con trasparenza ed accountability), obbligo rinviato più volte ma rispetto al quale nel 2016 le Amministrazioni non erano ancora pronte. Ad oggi permangono difficoltà rispetto al D.lgs.118/2011 (su cui servirebbe un’azione nazionale di capacitazione) e anche rispetto all’attuazione del D.lgs. 50/2016 (il famigerato “codice contratti” ormai da ribattezzare “codice intralci“). Il risultato è che i “sistemi di gestione e controllo” (SIGECO) sono ancora in difficoltà, la percentuale di spesa rendicontata è bassa, il coordinamento tra PON e PON e tra PON e POR è molto limitato, con poche delle azioni del PON governance tese a questo scopo (tranne il network OT11-OT2 che, dopo lo spunto iniziale, ha rallentato);
    • per quanto riguarda la gestione del portafoglio (nel senso di P3O) e l’architettura (nel senso di TOGAF ed Archimate) il tema nel 2015 non era nemmeno nei convegni, e anche oggi restano argomenti su cui in Italia c’è scarsa cultura diffusa. La situazione a fine 2017 è che gli uffici ex art.17 del CAD sono previsti sulla carta, ma le organizzazioni non si sono adeguate e non ne hanno minimamente compreso il senso. Dopo grande lavorio è stato approvato il Piano triennale AgID/Team a fine maggio del 2017, molto apprezzabile come linee guida condivise, ma si tratta di un documento di livello alto e non operativo (se non per le coraggiose scadenze fissate… ma fissare scadenze senza allocare fondi e strutturare processi di portfolio, program e project management è come fare profezie basandosi sui fondi del caffè). Di architettura enterprise nemmeno l’ombra, anche se le iniziative di livello europeo fanno ben sperare (prima o poi le metodologie dietro EIRA saranno prese in considerazione anche in Italia).
  • Livello esecuzione:
    • Per quanto riguarda la gestione dei progetti in campo sono gli stessi messi sui binari nell’era Caio (ed anche allora erano iniziative già previste dalla legge o di cui si era parlato tanto anche in precedenza) ovvero CIE/CNS/SPID, FatturaPA/PagoPA, INA/SAIA/ANPR. Ad oggi PagoPA ed ANPR sono in revisione, sostanzialmente per migliorarne l’usabilità. Il buon SPID è tra noi ma continua a essere una opzione secondaria per gli enti che hanno il maggior numero di transazioni: MIUR, INPS, Agenzia Entrate. Tra l’altro anche di SPID sarebbe da migliorare l’usabilità (perché chiede mille volte di autorizzare il conferimento dei dati personali verso lo stesso ente? Perché poi l’ente che eroga il servizio non usa quei dati? Perché l’autenticazione non va a buon fine una buona metà delle volte?). Ottime le iniziative legate al Team digitale come italia.it e designers.italia.it ma, oltre a mantenerle in vita quelle lanciate non c’è ancora una community analoga per chi porta avanti progetti e servizi dentro le PA (forum.italia.it è altra cosa).
    • Per quanto riguarda l’erogazione dei servizi, a fine 2015 furono fissati gli obiettivi di risparmio (il famoso 50% della Legge di stabilità 2016) e ad oggi sono completate tutte le (faticose) gare Consip legate ad “SPC Cloud” (anche se dire cosa sia oggi SPC nella visione nazionale non è facile, infatti non avendo una architettura enterprise chiara non è facile capire se dei layer del Piano triennale hanno soppiantato SPC o meno). La Legge di stabilità prevedeva che i risparmi sulla spesa corrente fossero re-investiti “prioritariamente” in innovazione. Quel prioritariamente lascia purtroppo aperta la possibilità che la quota re-investita sia inferiore all’1%… tireremo le somme guardando ai bilanci 2019 e speriamo anche sia attuato il nuovo comma 2-ter dell’art.15 del CAD.

Ritornare al futuro

 

Come detto avere ancora un’agenda digitale resta importante. Ma mentre continuiamo a fare “agenda setting”, magari non solo tra addetti ai lavori, ci servirebbe anche un Marty McFly che il mondo digitale lo conosca e che sia in grado di riportarci nel 2018 “reale”, quello in cui tutto è già stato cambiato dal digitale, quello in cui l’Italia può giocare un ruolo da protagonista grazie alla sua storia, il suo patrimonio e grazie alle persone straordinarie che sono in ogni ingranaggio pubblico e privato del Paese.

In questo momento, l’unico che può farlo è Piacentini. E’ auspicabile che il commissario usi gli ampi poteri (amministrativi) di cui dispone per sistemare, nei pochi mesi che gli restano, gli aspetti più critici della governance esposti in precedenza. Visto che il Commissario è una figura emergenziale, agisca di conseguenza e faccia sì (come ha detto) che non ci sia bisogno di un altro Commissario dopo di lui. Un Commissario è chiamato in una fase emergenziale per uscire dall’emergenza. Ha il potere di sostituirsi alle amministrazioni inadempienti, perché non lo usa? E’ opinione condivisa da tutti che ai vertici delle istituzioni manchino persone con e-leadership, e quando ne abbiamo una che ha sicuramente e-leadership ed ha anche ampi poteri…. perché non li usa? E’ una forma di timore reverenziale verso i burocrati? Ha e-leadership ma gli manca lex-leadership? Sicuramente non ha niente da perdere visto che lavora pro-bono ed ha dichiarato che il suo mandato non andrà oltre i due anni.

Ad esempio, perché non usare i suoi poteri per intimare un termine entro cui le amministrazioni più grandi devono modificare la propria organizzazione per realizzare l’ufficio previsto ex articolo 17 del CAD (quindi non semplicemente nominare qualcuno che già esiste per tappare un buco, il CAD parla di un ufficio dirigenziale con assegnate competenze chiare nell’organizzazione)? Perché non intimare all’Agenzia delle Entrate un termine entro cui l’F24 si potrà pagare via PagoPA? Perché non intimare ad AgID di fare un concorso, o una procedura di mobilità, per i tre dirigenti che guideranno settori strategici per il futuro del Paese invece di procedere con la provvisorietà del “comando”? Perché al MIUR non è stato intimato di far effettuare le iscrizioni scolastiche 2018-2019 solo con SPID (e tutte le certificazioni vaccinali continuano a dover essere consegnate su carta, parallelamente, in barba ad ogni norma che dice che le informazioni in possesso delle PA non devono essere chieste ai cittadini)?

Nel digitale bisogna uscire dalla logica emergenziale/tappabuchi, la politica ha dato poteri a Piacentini se non li usa la responsabilità sarà soltanto sua, non della politica. Così come è responsabilità di ogni vertice delle amministrazioni se le cose stabilite nei piani e ben finanziate non accadono.

Se non sfruttiamo le opportunità che abbiamo oggi, tra 10 anni ci considereranno degli spreconi. Come dice Floridi, la rivoluzione digitale verrà una volta sola. Oggi. Ritorniamo al futuro.

 

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