Less content o content less?

Siamo senza limiti sociali e di traffico telefonico, senza privacy, senza pudore, senza l’on e off, perché una volta premuto il tasto di accensione, difficilmente possiamo fare lo stesso con quello di spegnimento, a meno che non si tratti di un problema tecnico che ci spinge per qualche sudatissimo minuto a staccare la connessione che – paradosso lessicale vuole – è senza fili.

Nella lingua inglese, il suffisso -less rimarca in modo perentorio la privazione di qualcosa che c’era prima, un po’ come il termine free nei prodotti gluten-free o dairy-free,  che sono “liberi” dal sostantivo che li precede.

Un caso? Stando ai simbolismi archetipici no. Pensa alla scrittura e al foglio bianco. Il foglio rappresenta idealmente lo spazio in cui ti muovi e come ti relazioni con esso e con gli altri. A seconda di come lo “occupi”, gli esperti riescono a leggere il tuo stato emotivo, hic et nunc.

La parte sinistra del foglio rappresenta tutto quello che è passato, che è legato alle origini e alla figura materna, al tuo essere bambino. La destra, invece, è simbolo dell’avanzamento verso il futuro, dell’autoaffermazione, del raggiungimento della meta. Questo lato corrisponde alla figura paterna, al tuo essere adulto.

Ecco, ora ritorniamo ai nostri suffissi britannici – less e -free che, guarda bene, stanno a destra di un’altra parola. Sembra quasi che vogliano proiettarci verso un futuro che ha bisogno di sfoltire, di minimizzare, di commutare i verbi in frasi come “amare le cose e usare le persone”, eliminando tutto quello che abbonda e che non aggiunge ma, bensì, sottrae valore.
Non siamo, però, una less generation piuttosto ambiamo a diventare una free generation, quella che difende il software libero, il libero mercato e favorisce le aziende liquide, che consentono ai propri dipendenti di organizzare la giornata di lavoro in spazi sempre più aperti, con tutti i pro e i contro della cosa.

Tanto la gente non legge

E se è vero che le parole sanno raccontare le emozioni e descrivere quello che si “anima” dentro di noi, allora è il caso di iniziare ad ascoltarle, anche nel nostro quotidiano scrivere digitale. No, non sto affermando che sia necessario scrivere n parole o caratteri a post, anzi voglio dire che sarebbe bellissimo ritornare alla sacralità dello scritto, quello che indaga, approfondisce, colma e apre la testa.

Molti miei colleghi suggeriscono di scrivere poco testo “perché tanto la gente non legge”. Eh già, nell’ introduzione mi sono dimenticata di rimarcare che la gente è time-less, ma non nell’accezione dell’essere eterna, piuttosto in quella dell’angosciante avanzare delle lancette di Bianconiglio.

Gli utenti sono distratti, presi dal multitasking, scorrono immagini e video con superficiale sfregamento dei polpastrelli sul touch screen, parlano con gli assistenti digitali e no, mamma mia no, non fateli leggere un testo superiore a 300 caratteri perché potrebbero annoiarsi (e magari rendersi conto che per sapere scrivere è importante allenarsi a leggere). La gente non legge ma scrive tutti giorni (spesso male) non solo sui social network. I refusi la fanno da padrone nelle e-mail, nei cartelloni pubblicitari affissi di fretta mentre escono dalla stampante, nei messaggi e perfino nelle presentazioni aziendali di blasonati marchi che pagano fior di agenzie per curare la propria comunicazione.

È molto importante come scriviamo, il nostro tono di voce, il nostro stile riconoscibile, ma ancora di più lo è quello che scriviamo, il contenuto che sì, affermativo al 100%, spesso per essere di qualità ha bisogno di more (più): più ricerca di fonti, più argomentazione, più organizzazione a livello di layout, più elementi multimediali, più analisi SEO, più sostanza, in sostanza.

Non dobbiamo scrivere meno contenuto, dobbiamo scrivere meno contenuto fuffa.

Dobbiamo puntare sul minimalismo in termini di quantità, se davvero non abbiamo il tempo, il mestiere e la pazienza di progettare, scrivere e riscrivere. Un buon contenuto non solo è la tua moneta di scambio ma un patrimonio che puoi capitalizzare per assicurarti autorevolezza e la tanto amata visibilità.

Sai cosa penso? Penso che il buon senso debba governare le nostre vite e la nostra comunicazione. Non dobbiamo perdere l’allenamento alla riflessione, alla rilettura di quel periodo che vogliamo capire meglio, alla profondità cognitiva che ci porta a far nostro e ricordare nel tempo un argomento. Dobbiamo però imparare a rendere più gradevole e agevole la lettura, semplificando l’esperienza dell’utente e rieducandolo al piacere di perdersi tra le parole, senza fretta.

Quindi, se la scrittura stessa ci indica di muoverci verso destra, verso una crescita – che alcune parole che finiscono in less e free vogliono sia sempre più “libera”-  già che ci siamo, rendiamola pure consapevole che non abbiamo bisogno di testi content less ma di less content, che sia approfonditamente creato, studiato e animato per mettere in circolo valore.

 

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Stratega del content marketing, appassionata di customer experience e co-fondatrice di Simmat, da oltre 15 anni scrive per la carta e il web. Comunicazione e marketing digitale sono materia degli eventi e dei corsi ai quali partecipa come speaker e docente in giro per l’Italia. Ambasciatrice del karma marketing, il content di valore è il suo credo, l’experience design la sua metodologia e l’ironia lo strumento per rendere usabile e comprensibile a tutti il mondo dei bit. Giada è membro dell’Internet Marketing Association, consigliere di Assintel Umbria e di Terziario Donna Umbria. E' autrice del libro "Customer Experience: fai marketing di valore nell’era dell’esperienza". Conduce il podcast Buzzword: https://www.spreaker.com/show/buzzword

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