Benessere Equo e Sostenibile: bene, ma non benissimo

Migliorano nell’ultimo anno, e anche rispetto al 2010, più del 50% dei 110 indicatori rilevati dal rapporto BES di Istat, che aiutano ad analizzare la situazione di benessere presente e percepito nel nostro Paese. Miglioramento che non bilancia i segnali negativi registrati del dominio Lavoro e conciliazione dei tempi di vita (4 indicatori su 12 hanno segnato un peggioramento) e Benessere economico (3 su 10 in peggioramento).

Facendo un confronto di medio periodo, nel decennio, non passa certo inosservata la presenza di una quota non trascurabile di indicatori che registrano un livello peggiore rispetto al 2010 (37,7%), in particolare nei domini Lavoro, Relazioni sociali, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente ma anche Innovazione, ricerca e creatività. Il tutto condito da una netta differenza tra nord e sud che, negli anni, è diventata ancora più marcata.

Povertà zero e lavoro dignitoso per tutti?

Richiamando gli obiettivi 1 e 8 dell’Agenda 2030, preoccupanti i dati riferiti alle famiglie in condizione di povertà assoluta, 1,8 milioni per 5 milioni di individui (8,4% del totale degli individui), e la presenza di un nutrito gruppo di giovani, quasi 2 milioni, più vulnerabili in quanto deprivati in più dimensioni del benessere. “La condizione di multideprivazione – si legge nel rapporto – pone seri ostacoli alle possibilità di realizzare le potenzialità tipiche dell’età giovanile e dovrebbe richiedere specifici interventi di politica socio-economica. Un punto di particolare attenzione, che emerge dall’analisi, è la dimensione del benessere che fa riferimento alle reti sociali e alla partecipazione politica. È infatti questo l’ambito dove è più intenso il disagio dei giovani e per il quale si è registrato un notevole peggioramento nell’ultimo quinquennio. La deprivazione negli aspetti della coesione sociale è risultata, inoltre, strettamente associata a quella dell’ambito dell’inclusione attiva (scuola/lavoro), una dimensione più direttamente indirizzabile da specifiche politiche”.

Il confronto con i dati del 2012 mostra segnali di peggioramento: è diminuita, infatti, di quasi 4 punti percentuali la quota dei giovani per i quali non si riscontra alcun tipo di disagio, mentre sono in aumento sia la quota di giovani per i quali si è rilevata una singola deprivazione (+2,6 punti percentuali) sia quelli in condizione di multi-deprivazione (+1,3).

In tema di lavoro, se si fa un confronto con l’Europa, si nota come nel 2018, la Svezia è il Paese con il livello più elevato (82,6%) mentre Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Paesi Bassi hanno segnato valori di poco inferiori all’80%. La Grecia è il Paese con il più basso tasso di occupazione (59,5%), seguita dall’Italia (63%) e da Croazia, Spagna, Belgio e Romania (tutti con tassi inferiori al 70%).

Marcate in termini di benessere economico le differenze territoriali nel nostro Paese: l’incidenza di povertà individuale è pari a 11,4% nel Mezzogiorno, mentre nel Nord e nel Centro è significativamente più bassa e pari a 6,9% e 6,6%.

Raggiungere la parità di genere ed emancipare le giovani ragazze?

Se si guarda all‘obiettivo 5 dell’Agenda, si nota dal BES quanta strada si possa ancora fare rispetto alla qualità dell’occupazione femminile. Nel 2018, tanto per citare un dato, è aumentato leggermente lo svantaggio delle donne (da 25 a 49 anni) con figli in età prescolare rispetto alle donne senza figli, con il rapporto tra i tassi di occupazione dei due gruppi di donne che si è ridotto rispetto al 2017 di 1,7 punti percentuali. Se confrontato con il 2015, anno in cui si registrato il più alto valore del decennio, la riduzione è di 4 punti percentuali. “Le giovani donne con figli piccoli – si legge nel report – sono le più penalizzate (-2,1 punti percentuali rispetto al 2017)”.

Quanto aiutano Innovazione, Ricerca e Sviluppo?

Contributi in termini di miglioramenti, come si sa, potrebbero arrivare anche da Innovazione, Ricerca e Sviluppo, dominio in cui, nell’ultimo anno secondo il rapporto BES, si rileva un diffuso miglioramento degli indicatori, con due indicatori che restano invariati: percentuale di spesa in R&S in rapporto al Pil e investimenti in proprietà intellettuale.

Nonostante un’apparente situazione positiva, il report evidenzia come “il confronto con il 2010 rimane decisamente sfavorevole. Confrontata con il resto dei Paesi europei, l’Italia mantiene un basso livello della propensione alla ricerca, anche se alcune regioni del Nord mostrano segnali di maggiore vitalità. Nel 2017, la percentuale di spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) intra-muros sul Pil nelle regioni italiane mostra una significativa variabilità anche rispetto al resto delle regioni europee. I valori delle regioni del Nord del Paese sono vicini a quelli delle regioni di Olanda e Germania, mentre nel Mezzogiorno i livelli sono prossimi a quelli delle regioni di Spagna e nel Portogallo o, in alcuni casi, di alcune regioni dell’Est europeo”.

Se si vanno a leggere i dati di richiesta brevetti, l’indicatore calcolato per l’Italia si posiziona su valori di circa un terzo inferiori a quelli medi europei (rispettivamente 68,5 e 106,8 per milione di abitante). Lo stacco viene rimarcato se si guarda alla alta intensità di brevetti dei paesi del Nord Europa, e in particolare di Svezia, Danimarca, Finlandia, Austria, Germania e Olanda, con valori che variano da 200 a circa 300 domande di brevetto presentate per milione di abitante e una Italia che registra valori prossimi a quelli dell’Irlanda (77,6) e della Slovenia (55,3).

Se si guarda agli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (PPI), si nota un debole segno più: un aumento di circa un punto rispetto a quanto registrato nell’anno precedente.

Buona la dinamica dei lavoratori impiegati in settori Scientifici e Tecnologici, che vede un andamento in crescita sia nell’ultimo anno che nel decennio, con il 17,4% di occupati in questi settori nel 2018 (era 16,9% nel 2017).

Sostenibilità digitale: questa sconosciuta

In un quadro fatto di luci (poche) ed ombre (troppe) emerge un dato che riteniamo particolarmente significativo” afferma Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute ed Editor di Tech Economy 2030 “andando a confrontare i singoli indici relativi ai 12 domini analizzati (dall’ambiente al lavoro, passando per parità di genere e l’ambiente) con altri indici che riguardano nello specifico la diffusione del digitale e la cultura d’uso degli strumenti ad esso associati, si riscontra una correlazione abbastanza netta tra il livello di integrazione delle tecnologie digitali nei processi inerenti gli specifici domini e la performance riscontrata, che in questo caso rappresenta il livello di benessere. Insomma: quanto più si è in grado di utilizzare la tecnologia come strumento di costruzione di benessere tanto più ciò produce un miglioramento misurabile. Ed è un fatto importante, se si guarda al deficit strutturale del nostro Paese rispetto all’integrazione del digitale nella società, riscontrato d’altro canto sia dallo stesso ISTAT che da indicatori come il DESI. Viviamo in un momento storico, che qualcuno definisce quarta rivoluzione industriale, nel quale proprio in virtù del ruolo sempre più centrale dell’informatica si dovrebbe ragionare in termini di sostenibilità digitale. Si dovrebbe, cioè, riflettere in maniera strutturata su come sfruttare il digitale come leva di benessere. Questa riflessione, invece, se si va al di là della retorica politica orientata all’acquisizione di consenso più o meno immediato, è abbastanza distante sia dal dibattito pubblico che dagli obiettivi di quella parte di società civile che proprio di questo dovrebbe occuparsi ma che, impegnata a guardarsi l’ombelico, non si rende conto che non sta cogliendo una delle sfide più importanti: quella della sostenibilità digitale, appunto. Il gap culturale rispetto alla consapevolezza del ruolo del digitale non riguarda solo i cittadini, ma anche – e soprattutto – quelle strutture che dovrebbero oggi più che mai avere il compito di preoccuparsi di come dare un senso alla tecnologia per perseguire un obiettivo che va al di là di essa, che è lo sviluppo di un benessere equo e sostenibile, appunto“.

 

 

 

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