SDG 8, lavoro e crescita economica: a che punto siamo?

No one left behind, non lasciare indietro nessuno, è uno dei principi chiave di Agenda 2030 e dei sui 17 obiettivi e 169 target analizzati per l’Italia da Istat nella terza edizione del “Rapporto sui Sustainable Development Goals (SDGs)”, pubblicata in questi giorni.

Nel corso degli anni, il rapporto si è irrobustito introducendo nuovi indicatori (in totale sono 130) per il monitoraggio degli SDGs e in questa edizione in particolare si è fatta un’analisi più approfondita dell’evoluzione dei diversi Goal, attraverso la valutazione complessiva delle variazioni registrate tra gli indicatori in confronto sia all’anno precedente sia, in un’ottica di medio periodo, rispetto a 10 anni prima.

Qual è la situazione del goal 8, lavoro e crescita economica?

Il goal 8 intende promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile anche attraverso un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti. “Il monitoraggio della crescita economica – viene puntualizzato nel rapporto – si riferisce alla performance delle economie e alla loro capacità produttiva, da sostenere e rafforzare stimolando la diversificazione, il progresso tecnologico e l’innovazione. Si tratta di promuovere un modello di sviluppo fondato su driver in grado di aumentare il potenziale di crescita facendo leva in modo equilibrato su fattori qualitativi, e non solo quantitativi, capaci di generare effetti inclusivi e di sostenibilità”.

Cosa migliora e cosa peggiora in Italia?

Il quadro di sintesi riportato dal report, mostra in modo chiaro quali sono gli indicatori a migliorare o peggiorare sia rispetto all’anno precedente che a dieci anni prima. In peggioramento, rispetto a dieci anni fa, gli occupati non regolari, il tasso occupazione (comunque migliore dello scorso anno), il tasso di mancata partecipazione al lavoro, il part-time involontario e tutti gli indicatori riferibili al numero di sportelli bancari commerciali per 100.000 adulti e (b) sportelli automatici (ATM) per 100.000 adulti.

A migliorare, sempre rispetto a dieci anni fa, tutti gli indicatori riferiti al consumo di materiale interno, consumo di materiale interno pro capite e consumo di materiale interno per unità di Pil, gli occupati in lavori a termine da almeno 5 anni, i giovani che non lavorano e non studiano (15-24 anni), il tasso di infortuni mortali e inabilità permanente e gli indicatori sull’esistenza di una strategia nazionale sviluppata e operativa per l’occupazione giovanile, come strategia distinta o come parte di una strategia nazionale per l’occupazione.

Il report conferma una tendenza che sta emergendo sempre più chiaramente negli ultimi anni: aumenta la quantità di lavoro ma non la qualità – commenta Francesco Seghezzi, presidente della fondazione Adapt. “Per anni abbiamo guardato unicamente alle “teste”, festeggiando giustamente per il raggiungimento del più alto numero di occupati da quanto sono elaborate le serie storiche ISTAT, ma il report ci mostra come dietro a questi occupati ci sia un mondo da esplorare e analizzare. In particolare quello che emerge è la riduzione del numero di ore di lavoro soprattutto a causa della diffusione del part time involontario e la diminuzione della durata media dei contratti. A fronte di dinamiche di questo tipo, spesso profondamente interconnesse con l’andamento del sistema economico e produttivo, urgono politiche del lavoro non più improntate sugli schemi novecenteschi che non rappresentano il mondo attuale.

E serve, continua Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute, “un profondo e strutturato ripensamento del concetto stesso di lavoro, in un contesto in cui esso è protagonista di un processo di rimediazione tecnologica che impatta sul suo senso, oltre che sul modo in cui viene considerato nella società. Le politiche del lavoro non possono non essere riconcepite a valle della comprensione delle sue dinamiche: dinamiche inestricabilmente connesse con il digitale e con gli impatti su società ed economia. Ancora una volta l’SDG8 mostra come il concetto di sostenibilità digitale debba essere centrale rispetto alle scelte di governance che riguardano il lavoro. Il rischio, diversamente, è quello di non considerare, nel ripensare il lavoro, il fatto che lo si debba ripensare per un mondo cambiato. Il ruolo delle piattaforme, l’intelligenza artificiale, le distorsioni della gig economy, le dinamiche della sharing economy non si limitano a porre l’uomo di fronte a nuove sfide su come gestire il lavoro. Pongono un tema ben più amplio: riguardano la nostra capacità di ridisegnare il lavoro perchè risponda ad esigenze diverse per un mondo diverso, da disegnare sulla base dei principi di quello sviluppo sostenibile ben rappresentato da Agenda2030″. 

Qual è la situazione dei target lavoro?

Secondo il report, esistono nel nostro Paese livelli ancora significativi di lavoro irregolare (era il 13,1% nel 2017), particolarmente diffuso in agricoltura e nelle attività artistiche e di intrattenimento, oltre che nel settore dei servizi alle famiglie, in cui quasi 60 occupati su 100 sono irregolari.

Complice probabilmente la fase positiva del ciclo economico degli ultimi anni, il report ha rilevato un miglioramento generalizzato dell’occupazione e una riduzione della disoccupazione. Nel 2019 nei Paesi UE il tasso di occupazione nella fascia d’età 15-64 anni ha fatto registrare un valore pari al 69,2%, con un incremento di 0,6 punti percentuali rispetto all’anno. In Italia il tasso di occupazione (15-64 anni) è pari al 59% (+0,5 punti percentuali rispetto al 2018), con un divario tra uomini e donne ancora elevato (oltre 17 punti percentuali di distanza).

Il tasso di disoccupazione dei Paesi UE è pari al 6,3%, mentre in Italia si registra un tasso del 10%, molto più alto della media europea, con una situazione indubbiamente non rosea per le donne (11,1% rispetto a un 9,1% degli uomini) e per le fasce d’età più giovani, 15-24 anni (29,2%) e 25-34 anni (14,8%).

Scende nel 2019 il tasso italiano di mancata partecipazione, che considera anche quanti non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare (-0,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente).

Il lavoro a tempo parziale involontario, calcolato come percentuale degli occupati che dichiarano di svolgere un lavoro part-time perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno sul totale degli occupati, riguardava nel 2019 il 12,2% degli occupati (+0,3 punti percentuali rispetto al 2018), con quote più elevate tra le donne (19,9%) e i più giovani (22% nella fascia d’età 15-24 e 16,1% nella fascia 25-34 anni).

I NEET “Not in Education, Employment or Training”, ovvero i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano sono molto di più che in Europa: 22,2%, in calo comunque rispetto al 2018 (di -1,2 punti percentuali).

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