Un nuovo anno, e tutti quanti speriamo che sia meno complicato di quello finito.
Lo sperano anche gli operatori sanitari, i manager del SSN, chiunque abbia a che fare a vario titolo col mondo – complicato e affascinante – della Sanità.
Di sicuro non sarà l’anno in cui ci lasceremo tutto alle spalle, è meglio essere realisti e prepararci ad affrontare nuove difficoltà, almeno sino a quando non cominceranno a rendersi palesi gli effetti della campagna vaccinale. Tanto per essere realisti, almeno il primo semestre del 2021 sarà ancora complicato.
Però sarebbe il caso di cominciare ad affrontare un bel po’ di problemi irrisolti e a lavorare ad un nuovo modello di Sanità italiana.
Che il modello attuale sia troppo squilibrato verso l’assistenza ospedaliera e lasci scoperto il fronte territoriale lo abbiamo già capito da un po’, e a questo punto vale la pena di mettersi seriamente al lavoro per risolvere una volta per tutte questo problema, evitando possibilmente di cascare nell’errore opposto indebolendo la rete ospedaliera.
Forse è necessario cominciare a ragionare come se “ospedale” e “territorio” non fossero due entità una sostitutiva dell’altra, né ancor meno due filosofie concorrenti. Sono due facce della stessa medaglia, due mondi fortemente interconnessi.
La parola magica “integrazione” deve essere finalmente tradotta in realtà operativa, arrivando a concepire un sistema al cui interno queste due entità diventano una sola e si danno l’obiettivo di gestire la salute della popolazione.
Tutto ciò che è “territorio” dovrebbe darsi l’obiettivo di evitare che la gente si ammali, tutto ciò che è “ospedale” dovrebbe gestire le eccezioni e “rimettere in piedi al più presto” chi ha avuto problemi.
Durante le fasi più critiche dell’emergenza si è fatta molta polemica sui troppi ospedali chiusi negli ultimi anni per decisione della politica. E questa polemica ha qualche fondamento nella misura in cui la politica (nazionale e regionale) non ha potenziato adeguatamente le strutture territoriali mentre questi ospedali venivano chiusi.
A costo di risultare impopolare vi dico come la pensano la stragrande maggioranza dei medici ospedalieri: chiudere un piccolo ospedale è un’ottima decisione. In un piccolo ospedale ben difficilmente si risolvono problemi clinici realmente seri, e quelli non realmente seri possono essere gestiti tranquillamente in strutture non ospedaliere, naturalmente messe in condizione di farlo (dotazioni di personale, di tecnologie, di fondi).
Un piccolo ospedale è un centro di costo i cui risultati clinici effettivi non sono commisurati allo sforzo economico e gestionale, soprattutto quando ormai la tecnologia rende possibile l’attuazione di un modello di cura all’interno del quale il “dov’è il paziente” è l’ultimo dei problemi.
Ecco: la tecnologia.
E veniamo al dunque.
Un SSN adeguatamente provvisto di tecnologie (non solamente informatiche, si badi bene) ben distribuite sul territorio può affrontare le sfide che sono dietro l’angolo evitando di concentrare risorse in ambito ospedaliero, se per ospedale intendiamo “il posto dove ci si ricovera, dove si dorme, si consumano pasti, si consumano le ore fra una prestazione clinica e l’altra”.
Il solo fatto di “catalogare” gli ospedali in base al numero di posti letto evidenzia l’errore culturale di fondo: si perpetua un modello obsoleto, tipico del XIX e degli inizi del XX, dove il ricovero rappresentava l’unica soluzione possibile per fare diagnosi, terapia e cura. In assenza di tecnologie capaci di mantenere una costante connessione fra medici, infermieri e pazienti, si ricorreva a soluzioni basate sulla compresenza fisica di questi tre attori all’interno di un edificio.
Le cose ormai non stanno più obbligatoriamente così, un medico e/o un infermiere possono controllare un paziente remoto senza inficiare minimamente la qualità della prestazione. Naturalmente il paziente remoto ogni tanto (anche ogni giorno o più giorni la settimana, secondo il paradigma di day hospital) deve recarsi in struttura (che potrebbe anche non essere un ospedale) per fare controlli approfonditi, per essere “palpato”, esaminato in profondità, ma non necessariamente deve trascorrere 24 ore al giorno in una struttura costosa come un ospedale.
In funzione delle diverse tipologie di casi, un paziente ricoverato “H24” riceve reali prestazioni sanitarie per un tempo che varia dalle 2 alle 5 ore al giorno, ovviamente non considerando situazioni di elevata intensità tipo quelle di terapia intensiva o sub-intensiva. 2-5 ore di “vero lavoro” a fronte di 24 ore di permanenza in reparto.
Se noi a quel paziente offriamo la possibilità di starsene a casa sua (o in una RSA, se è un anziano che non ha la possibilità di essere seguito costantemente dai familiari), di essere monitorato costantemente, di avere a sua disposizione medici e infermieri territoriali che possono seguirlo a domicilio, e se tutti gli attori di cui sopra possono condividere in tempo reale tutte le informazioni relative alla sua situazione, abbiamo fatto bingo. Il paziente è contento perché può rimanere in un contesto familiare e sociale “normale”, il personale medico e infermieristico è in grado di operare in condizioni ottimali, i costi complessivi a carico del SSN calano. Vincono tutti.
Le tecnologie, appunto.
E veniamo agli auspici per l’anno nuovo.
Questo complicato e maledetto 2020 ci ha insegnato che la salute della popolazione è un valore reale, che la non corretta gestione di situazioni più o meno complicate può incidere in maniera drammatica anche sui conti pubblici.
Ci ha insegnato che i problemi relativi al distanziamento sociale possono essere gestiti al meglio utilizzando le tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni.
E adesso, MES o non MES, arrivano i fondi da destinare a investimenti. Le Regioni stanno preparando piani strategici per la Telemedicina e per il potenziamento dei loro sistemi informativi.
Ottimo.
Proviamo a utilizzare bene queste risorse, evitando se possibile di creare 21 modelli differenti di Sanità Digitale e, soprattutto, evitando di riciclare vecchi progetti nel cassetto.
Le risorse economiche di cui si sente parlare in questi giorni sono davvero un gran bel tesoretto, se davvero nel Recovery Plan si prevedono alcuni miliardi (prima erano 9, adesso sembra che ce ne siano meno) tutti finalizzati allo sviluppo di sistemi informativi sanitari e a soluzioni di telemedicina.
Il mercato offre ottime soluzioni, se consideriamo che i grandi player stanno realizzando (finalmente!) prodotti e servizi di ottimo livello.
Il momento attuale è – per definizione – disruptive.
Auguriamoci che chi decide gli investimenti tecnologici nelle strutture sanitarie pubbliche italiane trovi il coraggio di fare pulizia, liberandosi dei vecchi silos di software più o meno integrati e affrontando questa nuova sfida mettendosi in casa software e hardware di ottimo livello.
Sarà un 2021 migliore del suo predecessore.
Rendiamolo migliore anche per quanto riguarda l’acquisizione e l’utilizzo delle tecnologie, ce lo meritiamo tutti.
Facebook Comments