La sostenibilità digitale per la giustizia sociale: la sfida per la nuova normalità nella Giornata Mondiale per la Giustizia Sociale

Il tema della Giornata Mondiale della Giustizia Sociale di quest’anno riguarda l’impatto dell’economia digitale nel mondo del lavoro: in un futuro tra luci ed ombre, ragionare in termini di sostenibilità digitale garantirebbe eguali opportunità ed un lavoro dignitoso per tutti, nel rispetto dei diritti umani, sfruttando le potenzialità delle tecnologie

Era il 26 novembre 2007 quando, per la prima volta, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarava che il 20 febbraio di ogni anno si sarebbe celebrata la Giornata Mondiale per la Giustizia Sociale.

Un appello alla giustizia sociale nell’economia digitale”. Questo il tema scelto per quest’anno, che parte da una considerazione fondamentale: la trasformazione digitale, ed in particolar modo la proliferazione delle piattaforme, stanno cambiando profondamente il mercato del lavoro. Ma se, da un lato, queste hanno permesso, soprattutto nell’ultimo anno flagellato dalla pandemia, la continuità di moltissime attività aziendali, dall’altro rendono necessarie profonde riflessioni sul modo in cui queste possibilità offerte dalle tecnologie debbano essere declinate secondo i principi della giustizia sociale e – in ultima analisi – della sostenibilità digitale.

In questo articolo abbiamo chiesto ad alcuni dei componenti del Comitato Scientifico e di indirizzo del Digital Transformation Institute di fornire il proprio punto di vista.

Per Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute, “è particolarmente significativo che quest’anno, in piena crisi pandemica, la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale sia dedicata al tema del digitale collegato al mondo del lavoro. Sono le piattaforme digitali, infatti, che hanno consentito a milioni di organizzazioni in tutto il mondo di rimanere attive ed a centinaia di milioni di persone di lavorare. Tuttavia, dobbiamo renderci conto del fatto che seppure in questi mesi abbiamo fatto, quanto agli strumenti disponibili, un tuffo nel futuro, questo futuro presenta luci ed ombre. La sfida per la nuova normalità – ed è una sfida da cogliere oggi – consiste non tanto nel capire cosa le tecnologie ci mettano o meno in condizione di fare, ma quale vogliamo che sia il loro ruolo nella costruzione di una società sviluppata attorno a criteri di inclusione, di pari opportunità, di dignità del lavoro, di impatto ambientale: insomma, per un futuro sostenibile. Ciò implica, da una parte, riflettere sulle opportunità del digitale, dall’altra sui rischi che esso si porta dietro. Il digitale sta rivoluzionando il mondo del lavoro. Perché tale rivoluzione sia incardinata sui principi di giustizia sociale è necessaria una riflessione condivisa sul ruolo delle piattaforme.

  • Come garantire che l’impatto sul lavoro sia compatibile con una visione di società basata sui princìpi di Agenda2030?
  • Come far si che gli utenti siano consapevoli delle informazioni che cedono alle piattaforme quando pensano di utilizzare servizi gratuiti che invece vengono pagati con il valore dei propri dati?
  • Come evitare che i sistemi di intelligenza artificiale, invece di garantire equità sociale, sviluppino bias che possono dipendere tanto dal modo in cui vengono sviluppati gli algoritmi che dal modo in cui essi vengono “addestrati”?
  • Come far si che i modelli di business dei nuovi intermediari non producano valore solo per gli intermediari stessi ma lo restituiscano anche a chi li utilizza?

Trasparenza degli algoritmi, apertura delle procedure di gestione dei dati, interoperabilità, sono questioni che non riguardano tanto le tecnologie, quanto le caratteristiche del mondo in cui vorremmo che venissero applicate.

Per questo serve ragionare in termini di sostenibilità digitale, declinando cioè possibilità e limiti delle tecnologie nel più amplio sistema di riferimento della sostenibilità, così da disporre di uno schema interpretativo complessivo nel quale muoversi per prendere quelle decisioni che definiranno il senso della società nella nuova normalità”.

Nuove prospettive dalle piattaforme per il mondo del lavoro

Partendo da questa premessa, è indubbio che la portata trasformativa delle tecnologie digitali, nel contesto lavorativo, debba essere sfruttata appieno. Ma questo deve essere fatto nel rispetto dei diritti degli individui e, in generale, dei principi della sostenibilità, in modo da spianare la strada non solo ad un miglioramento delle condizioni lavorative, ma ad un miglioramento della vita stessa dei lavoratori. Infatti, per la Professoressa Tiziana Catarci, Direttrice del DIAG alla Sapienza, Università di Roma, “come le macchine elettriche hanno sollevato gli esseri umani dai lavori manuali più pesanti, così le tecnologie digitali più moderne dovrebbero sollevarli dai lavori intellettuali più monotoni e ripetitivi, lasciando maggior spazio alla creatività, alla qualità del lavoro e della vita in generale. Questi strumenti devono supportare, ed in qualche misura aumentare le capacità umane, superare i limiti legati alla fisicità e alle abilità individuali, permettendo a chiunque di poter ottenere migliori risultati, in minor tempo, con minor fatica e consumo di risorse”.

Da questo punto di vista, secondo l’avvocato Giovanni Battista Gallus, “la diffusione massiva – ma ragionata – della robotica e della AI, non soltanto nelle grandi imprese ma anche nelle PMI, potrà promuovere, cercando di essere ottimisti, condizioni di lavoro migliori e più gratificanti, riducendo le mansioni ripetitive e ottimizzando i processi. Non solo: la pandemia ha dimostrato che, per molte mansioni, la presenza in ufficio sia una variabile non indispensabile. Questo può indurre a un ripensamento del modo di vivere (e dell’organizzazione stessa degli agglomerati urbani), in un’ottica di sostenibilità. E nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, le variabili del luogo di residenza e la sede dell’azienda tendono a perdere d’importanza, generando nuove opportunità”.

Di questo stesso avviso è Luciano Guglielmi, CIO del Gruppo Mondadori, secondo il quale questa possibilità – abilitata dalle tecnologie – di lavorare in modo diverso da quello cui eravamo abituati, con analoga efficacia, ha portato vantaggi sotto diversi punti di vista: “Si sono potuti diminuire gli spostamenti, bilanciare le attività della propria vita privata con quelle della sfera lavorativa, guardando davvero al raggiungimento degli obiettivi del lavoro al quale siamo addetti, e non alla semplice presenza per un certo numero di ore. Inoltre, ora si può essere giudicati per quello che si fa, e non soltanto per i rapporti personali diretti o la capacità di ‘vendersi’ agli altri: si è riscoperta la cultura del ‘fare’, invece che dell’’apparire’. Sotto questo aspetto, penso che la giustizia sociale, in questa accezione, ne abbia beneficiato”.

Ma le modalità secondo le quali le tecnologie permettono agli individui di potenziare le proprie possibilità si ripercuotono, chiaramente, nel proprio contesto aziendale di riferimento. Questo è chiaro a Giovanni Vaia, Professore di Business Administration and Global Sourcing all’Università Ca’ Foscari di Venezia, secondo il quale “la complessa interazione fra abilità dei lavoratori e capitale digitale disponibile, che caratterizza la rivoluzione digitale, ha portato profondi cambiamenti sul luogo di lavoro, come la veloce introduzione di strutture di gestione piatte, processi decisionali altamente decentralizzati, nuove forme di condivisione di informazioni e di collaborazione fra gruppi dispersi a livello geografico. Questi aspetti di dinamicità, però, suggeriscono politiche di istruzione e formazione per incidere sulle competenze dei lavoratori del futuro, nonché delle politiche del lavoro e di reddito basate sulla redistribuzione, al fine di garantire che i benefici della rivoluzione digitale siano ampliamente condivisi”.

Ma non solo. Uno dei temi più importanti nell’ambito di Agenda 2030 è sicuramente quello della parità di genere richiamato dall’ SDG 5 – e che nel mondo del lavoro rappresenta uno dei tasti maggiormente “dolenti”. Quanto può essere fatto, anche qui, grazie alle tecnologie? Secondo Roberto Ferrari, Head of Digital Communication Strategy di Eni, “la tecnologia sta favorendo un grande cambiamento in questa direzione, e questo lo vedo nel contesto in cui opero quotidianamente. Ci sono alcune professioni che prima erano precluse al mondo femminile: non parlo solo di STEM, ma di quelle attività che richiedevano una notevole forza fisica, e che grazie alle tecnologie possono essere svolte oggi da operatori in remoto, andando di fatto ad annullare le diversità”.

Ma quali sono i rischi?

La pandemia è stata un fulmine a ciel sereno che ha avuto, tra i suoi effetti, quello di accelerare – come mai prima d’ora – la trasformazione digitale già in atto, diffondendo la consapevolezza rispetto al ruolo centrale delle tecnologie nel garantire continuità, ma anche una maggiore efficienza, ai processi aziendali. Ma se da un lato, ad esempio, il grande vantaggio è quello di poter monitorare questi ultimi assumendo le tecnologie come importanti strumenti di garanzia e di controllo, dall’altro, come spiegato anche da Renato Grottola, Global Director Growth and Innovation di DNV GL, il rischio è che i lavoratori possano percepire sé stessi come inseriti all’interno di un panopticon, ossia di una società iper-controllata.

Concetto, questo, ribadito con forza anche da Giovanni Battista Gallus: “le nubi più fosche che vedo all’orizzonte sono legate in primo luogo alla ‘normalizzazione’ del tecnocontrollo: l’abitudine ad essere registrati, misurati, controllati in ogni interazione, sia pubblica che privata, tende a far ritenere accettabile – e anzi auspicabile – il controllo invasivo e pervasivo del lavoratore, anche nella sua sfera privata. Stabilire degli invalicabili paletti, non ritenendo lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile, sarà una delle sfide più importanti per salvaguardare la dignità dell’individuo”. Se questo è un aspetto di primaria importanza, per Giovanni Battista Gallus lo è altrettanto “monitorare in maniera più attenta l’area delle ‘nuove’ discriminazioni introdotte dagli algoritmi, che in ambito lavorativo sono pericolose in quanto difficilmente riconoscibili. La reale trasparenza di ogni processo decisionale automatizzato è un’altra sfida che non possiamo permetterci di perdere”.

Questa grande trasformazione in atto è destinata, secondo Roberto Ferrari, a “portare profondi cambiamenti nei prossimi anni, e la principale preoccupazione, in questo senso, è legata alla capacità di programmazione: se quest’ultima dovesse mancare, infatti, si correrà il rischio di creare ulteriori disparità”. Da questo punto di vista, infatti, secondo Giovanni Vaiala trasformazione del lavoro, dovuta al crescente impiego di tecnologie come IoT e Intelligenza artificiale, nei prossimi anni suggerisce un approccio analitico volto a chiarire la connessione tra tecnologia, abilità e mansioni, e impone la costruzione di nuovi modelli organizzativi, in un mercato del lavoro che si prevede sempre più polarizzato. Mappare, sviluppare o potenziare le competenze trasversali adatte a fronteggiare il cambiamento tecnologico in atto è uno dei presupposti per rendere sempre più produttivo il binomio uomo-macchina nella fabbrica del futuro”.

E sono molte le esperienze virtuose abilitate dalle tecnologie che possono tradursi, se mal gestite, nel risultato esattamente opposto a quello per le quali sono state concepite. Un esempio in questo senso, secondo Giancarlo Ferrari, Direttore di Legacoop, sono le “piattaforme digitali cooperative per il lavoro, nelle quali si può incrociare domanda e offerta di lavoro, network di opportunità e forme di mutualismo solidale per aiutare i soci temporaneamente senza lavoro. Il rischio, in questo senso, è che si possano affermare nuove forme di sfruttamento delle persone senza tutela, e che lo storytelling della condivisione si trasformi in estrazione di valore per pochi, a danno di molti. Per questo la tecnologia e l’innovazione devono, per essere davvero utili, essere disponibili per tutti, aiutare le persone e promuoverne la dignità e la libertà”.

Ed è proprio quest’ultimo aspetto a fare realmente la differenza, quindi, per cercare di evitare l’esasperazione del già esistente “digital divide”, e per evitare che questo dislivello continui ad accentuare le disuguaglianze. Come ribadito da Tiziana Catarci, “sarà possibile evitare i rischi insiti nella trasformazione digitale e sfruttarne le enormi potenzialità soltanto se tutte e tutti avranno la possibilità di sviluppare i meccanismi cognitivi necessari a comprenderla e non subirla, tramite l’istruzione, la formazione superiore, la cultura scientifica”. Ed è anche in questo modo che si potranno assottigliare queste differenze, che si potranno offrire opportunità di lavoro dignitoso per tutti proteggendo i diritti umani nell’era delle tecnologie digitali: l’obiettivo che la commemorazione di quest’anno, puntando a promuovere il dialogo tra gli Stati e le istituzioni pertinenti delle Nazioni Unite, si è preposto.

Obiettivo che, aggiungiamo noi, non può essere che raggiunto guardando alla sostenibilità digitale.

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