Recovery Plan: suggerimenti (non richiesti) per la progettualità in ambito Sanità

Con il Governo Draghi e il gruppo di tecnici al lavoro sulla nuova versione del PNRR, alcuni consigli (non richiesti) per i progetti in ambito Sanità

Ancora non sappiamo se il Governo Draghi e il gruppo di tecnici al lavoro sulla nuova versione del Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza deciderà di stravolgere le ormai mitiche “schede” preparate dal governo precedente oppure si limiterà a migliorarle in termini di profondità progettuale. Certo è che qualsiasi strada verrà percorsa dovrà essere veloce, considerando che fra meno di un mese dovremmo presentare il Piano a Bruxelles.

La vox populi dice che, perlomeno per quanto riguarda la voce “Innovazione e Trasformazione Digitale della Sanità”, gli assi di intervento saranno quelli già stabiliti: telemedicina, potenziamento dei sistemi informativi a supporto della sanità territoriale, potenziamento dell’infrastruttura tecnologica.

SI tratta di un’ottima scelta, corrispondente alle esigenze di trasformazione complessiva del Servizio Sanitario Nazionale ed alle effettive esigenze delle Regioni e delle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche.

Ci permettiamo qui di dare qualche consiglio, assolutamente non richiesto, a chi dovrà mettere mano alle schede progettuali e – soprattutto – alle regole del gioco: definizione dei beneficiari delle risorse, modalità e tempi di attivazione dei finanziamenti, disegno della governance dell’iniziativa e definizione delle prescrizioni in materia di rendicontazione.

Partiamo dai beneficiari: saranno esclusivamente le Regioni, oppure no?

Diamo pure per scontato che MEF e Ministero Salute decidano di trattenere una parte dei fondi per progettualità di livello nazionale. Ci sta.

Ma il resto, a chi andrà? Esclusivamente alle Regioni, o si deciderà di accettare richieste di finanziamento e proposte progettuali dalle singole aziende sanitarie e ospedaliere?

È evidente che fermarsi al livello regionale aiuta parecchio in termini di semplificazione: ventuno interlocutori, e i giochi sono fatti.

Resta però un dubbio: siamo sicuri che tutte le Regioni saranno capaci di interpretare sino in fondo gli effettivi bisogni delle aziende sanitarie e ospedaliere, o piuttosto decideranno di portare avanti solamente iniziative a loro gradite, a prescindere da un reale ascolto preliminare dei livelli subordinati?

Non sarebbe la prima volta che le Regioni (non tutte, sia chiaro!) avviano progettualità senza una fase preliminare di ascolto puntuale dei bisogni reali delle aziende, così come non sarebbe la prima volta che – di fronte a finanziamenti – si riesumano dal cassetto progetti un tantino vecchiotti e li si spaccino per “nuovi di zecca”.

Le aziende sanitarie e ospedaliere hanno tutta la capacità di individuare le reali priorità ma hanno anche voglia (in moltissimi casi) di governare i progetti di trasformazione digitale in autonomia, ovviamente nel rispetto dei limiti posti dalla necessità di impedire frammentazioni eccessive che poi diventano difficili da gestire, oltre che costosissime.

Le Regioni dovrebbero quindi disegnare un framework cogente, dentro al quale si possano inserire le progettualità locali, con tanto di vincoli e regole da rispettare scrupolosamente.

Sia chiaro, a scanso di equivoci: è chiaro che il miglior mondo possibile sarebbe quello dove tutti gli ospedali di una Regione utilizzano un unico sistema informativo ospedaliero, un’unica piattaforma di telemedicina, un unico sistema di prenotazione delle prestazioni, eccetera. Ma non è sempre vero che le aziende sanitarie e ospedaliere sono d’accordo con questo approccio, soprattutto quando scelte di questo tipo “smontano” sistemi informativi preesistenti che funzionavano benissimo e magari avevano solo bisogno di un refresh tecnologico o dell’implementazione di nuove funzionalità.

Se escludiamo Regioni che storicamente possiedono sistemi informativi sanitari unificati (Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Basilicata, Molise, Sardegna), quella che ha già avviato un percorso di omogeneizzazione (Veneto) e quelle che per loro stessa natura sono “unificate ex-ante” (Valle d’Aosta, Province Autonome di Bolzano e di Trento), le rimanenti dovrebbero tenersi rispettosamente distanti dall’accarezzare sogni di centralizzazione accarezzati magari al solo scopo di rivitalizzare qualche società “in-house” incapace di conquistarsi fiducia e mercato da parte delle aziende sanitarie e ospedaliere, soprattutto quando lo cercano di fare a spese del mercato.

Veniamo ai tempi: se è vero che il PNRR ha orizzonti temporali di medio periodo (5-6 anni) è altrettanto vero che la Sanità italiana ha estremo bisogno di riformarsi in tempi molto più brevi e per farlo ha necessità di contare su sistemi informativi adeguati. Se l’orizzonte temporale complessivo viene mutilato da 1-2 anni di lungaggini burocratiche, partiamo malissimo. Il rischio è di fare la fine dei tanti progetti europei quinquennali che inevitabilmente sforano perché sono partiti dopo un paio d’anni trascorsi a far passare carte da una scrivania all’altra, e noi tutto questo non possiamo permettercelo.

Il governo deve trovare il modo di garantire la più rigorosa correttezza formale dei processi di sottomissione, approvazione e finanziamento trovando al contempo i modi per farlo nel più breve tempo possibile.

La governance: anche qui, facciamo tesoro degli errori commessi nel passato e troviamo soluzioni.

È opportuno che venga istituito un gruppo di governance partecipato da Regioni e Aziende sanitarie e ospedaliere, e che soprattutto a questo gruppo non vengano affidati esclusivamente compiti di controllo amministrativo. Questa del PNRR è un’occasione irripetibile di restart del Paese, non facciamone un mero fatto burocratico di governo dei fondi.

La governance di progetti in ambito sanitario non può essere affidata esclusivamente a burocrati e informatici. All’interno dei gruppi di governo delle iniziative devono essere inseriti gli operatori sanitari, altrimenti non funziona.

Infine, le prescrizioni relative alle modalità e ai processi di rendicontazione: anche qui, non ci dovremo limitare a un impianto regolatorio e di controllo meramente burocratico. Fortunatamente qui ci aiuta l’Europa, che finalmente ha sposato la logica del finanziamento condizionato alla verifica puntuale non solamente dell’avanzamento cronologico delle iniziative ma al loro effettivo impatto sulle organizzazioni finanziate e sugli outcome “veri”.

Parlando ad esempio di Telemedicina, ci si aspetta che la rendicontazione non si limiti a misurare la quantità di progetti avviati e il loro avanzamento quantitativo. Si dovrà misurare il numero di pazienti gestiti, e soprattutto l’impatto in termini di qualità della cura.

Altrimenti finiremo col perpetuare gli errori dei vari progetti europei e nazionali che si sono “addormentati” a causa della mancanza di pazienti gestiti e – soprattutto – di continuità una volta esauriti gli aspetti formali di rendicontazione.

Quella che abbiamo di fronte, ripetiamo, è un’occasione unica per rimettere l’Italia in condizioni di competitività e di efficienza rispetto agli altri Paesi UE.

Sarebbe un peccato non approfittarne.

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