Psicopatologia della vita quotidiana digitale sostenibile

Così come è necessario rispettare le risorse ambientali, sociali ed economiche, lo è allo stesso modo tener conto delle proprie risorse psicologiche, che non sono infinite e seguono pure leggi precise: e per farlo, si possono sfruttare anche le potenzialità del digitale

Se la filosofia, secondo Hegel, è come la civetta di Minerva che inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo, la psicologia è un bradipo che inizia a camminare solo all’alba del giorno dopo. Questo non vuol dire che non abbiamo reazioni psicologiche immediate come ci insegna qualsiasi insuccesso, dalla sbucciatura del ginocchio da bambini ai traumi più gravi, alle perdite della vecchiaia. L’insuccesso, la ferita, la delusione onlife, il trauma portano inevitabilmente con sé processi psichici che si avviano immediatamente ma il cui significato ci diviene però chiaro solo molto più tardi, a cose ormai avvenute.

Ad oltre un anno di distanza dallo scoppio della pandemia, mentre noi stiamo ancora litigando sulle statistiche della catastrofe e su tempi e modi di distribuzione dell’unica concreta possibilità di salvezza, cioè il vaccino, molti studi (Lancet Psychiatry) dimostrano ormai un aumento della percentuale di disturbi psichici nella popolazione (sia di adulte/i che di bambine/i e adolescenti) durante la pandemia: in particolare di ansia, depressione, disturbi di adattamento e da stress post traumatico in conseguenza dei fattori stressanti della pandemia quali scombussolamento della vita, paura della malattia, timore delle conseguenze economiche negative. Le ricerche evidenziano inoltre che tale incremento è molto eterogeneo colpendo in particolare i gruppi sociali più deboli oltre che soggetti già precedentemente gravati da disturbi psichici.

Nel caso però dei disturbi psichici indotti o associati alla pandemia ci troviamo di fronte a un singolare paradosso: mentre fino all’arrivo del vaccino non avevamo a disposizione terapie per sconfiggere il COVID-19 alla cui mortale espansione abbiamo dovuto assistere impotenti, abbiamo avuto e continuiamo ad avere i mezzi per curare e prevenire i disturbi psichici ma, soprattutto nel nostro paese, colpito più di altri dal COVID-19, l’abbiamo fatto e continuiamo a farlo poco e male, parlandone poco e non mettendo a disposizione di chi ne ha bisogno tutte le risorse psicologiche e psichiatriche, off e online, di cui l’Italia dispone.

Lasciamo perdere ora i “io l’avevo detto” e  “è tutta colpa di”. Credo piuttosto ci aiuterebbe comprendere appunto che i fenomeni psichici sono dei processi, delle manifestazioni cioè che si sviluppano nel tempo secondo tempi e modi che in parte conosciamo e possiamo dunque approssimativamente prevedere ma solo in minima parte volontariamente controllare. Facciamo l’esempio, a tutti tristemente noto, del lutto. Tutti conosciamo  purtroppo il dolore che comporta la perdita di una persona cara, tutti sappiamo anche che le prime reazioni oltre che di sofferenza, sono di rabbia, isolamento, chiusura e che solo dopo molto tempo e diversi tentativi ritorniamo alla vita „normale“. Naturalmente molti fattori influenzano l’andamento del processo di lutto: la nostra personalità, quella della persona scomparsa, il tipo di rapporto che avevamo con lei, il contesto e il momento in cui si è verificata la perdita etc. Nel caso in cui, facendo fatica a superare il lutto, ci rivolgessimo, off o online, ad uno psicoterapeuta, sappiamo di non potergli chiedere di farci stare magicamente bene. Possiamo invece aspettarci che ci aiuti a comprendere cosa sta succedendo dentro di noi durante le diverse fasi del processo di lutto (negazione, rabbia, patteggiamento, afflizione, accettazione, da tempo studiate in psicologia e psichiatria) e che ci sostenga con la sua presenza e la sua fiducia nelle nostre capacità in momenti difficili.

Di fronte a perdite significative, siano esse concrete o ideali (la patria, un ideale etc) reagiamo con processi analoghi a quelli del lutto. La pandemia è stata ed è una perdita, non solo di persone care, posti di lavoro, prospettive di guadagno, ma anche di abitudini personali, riti collettivi, momenti di incontro e di socializzazione, insomma di quella “normalità” che caratterizzava la nostra vita precedente e della sicurezza che le era connessa. Affrontare il tema delle emozioni che la pandemia e le sue ripercussioni scatenano in noi, dar loro un nome, esprimerle, condividerle, discuterne tra noi e noi, in famiglia, con amiche/i, è un modo per superare la paralisi della paura, la trappola della rabbia, il baratro della tristezza, il deserto dell’impotenza, l’illusione dell’onnipotenza (e se tutto ciò non basta e i sintomi ci riducono all’impotenza, possiamo rivolgerci ad uno psicoterapeuta e se necessario ad uno psichiatra). Parlare senza vergogna e senza timore dei fenomeni e dei disturbi psichici provocati dalla pandemia significa anche passare dalla biologia alla psicologia, sviluppare, accanto ad un’agognata e doverosa immunizzazione fisica tramite il vaccino, una maggiore resilienza allo stress psichico. Quella che abbiamo vissuto e che purtroppo continuiamo a vivere è una perdita di normalità e di sicurezza dalla quale possiamo uscire solo con un processo di lutto strutturato in fasi attraverso le quali dobbiamo passare, una o più volte, per arrivare dall’altra parte del fiume e cominciare così una nuova vita possibilmente in un mondo migliore. Proprio la pandemia infatti ci ha fatto scoprire, se non ce ne fossimo accorti prima, ingiustizie e disuguaglianze che è quanto mai necessario ridurre ed abolire.

Perché parlo allora di psicologia digitale sostenibile? Perché esattamente come dobbiamo rispettare le risorse ambientali, sociali ed economiche per non compromettere, nel soddisfacimento dei nostri bisogni, la possibilità delle generazioni future di realizzare i loro, dobbiamo parimenti tener conto delle nostre risorse psicologiche, che non sono infinite e seguono pure leggi precise, analoghe a quelle biologiche. Come non possiamo pretendere che una persona si riprenda da un grave lutto o un grave trauma in pochi giorni sulla base della forza di volontà, della capacità di reazione etc, non possiamo aspettarci di fronte alla pandemia una „trasformazione magica“ (Wurmser)  che ci renda migliori. È solo l’elaborazione faticosa e progressiva del processo di perdita che ci può portare a trascenderla nel tentativo di costruire una società più a misura d’uomo. Gli appelli morali a “reagire”, per quanto nobili, o i divieti, per quanto rigidi, non servono, come a nulla serve sentenziare di fronte all’alcolista o al tossicodipendente che deve smettere (lo sa anche lui) o minacciarlo (lo fa già dentro di sé). D’altro canto non ha senso drogarci con farmaci (o promesse) euforizzanti per illuderci di tornare a vivere presto nel migliore dei mondi possibili o intontirci con farmaci (o rimedi) sedativi per rimuovere il dramma che è dentro e fuori di noi. L’erba, dice un proverbio tedesco, non cresce più alla svelta se la si tira. Lo sa anche Domenico – il protagonista del bell’apologo di Stefano Epifani sulla sostenibilità digitale – che, avendo da subito confidato nel biologico, fa delle scelte coerenti anche in ambito sociale ed economico, perché, come scrive Stefano Epifani, viviamo in sistemi complessi che si influenzano a vicenda. Se bariamo in uno, lo squilibrio si trasferisce all’altro.

Possiamo però prenderci cura dell’erba e a maggior ragione della nostra psiche. Possiamo  coltivare i nostri processi psichici, dentro di noi, in famiglia, con amiche/amici, collettivamente, sui social, onlife. La potenzialità del digitale e dei SM nella promozione della salute in generale e di quella psicologica in particolare è sempre più sotto gli occhi di tutti. L’impiego di TW è stato, ad esempio, considerato e positivamente valutato in caso di disastri ambientali, quali il terremoto di Haiti, per favorire il contatto tra i sopravvissuti e incrementarne la resilienza, attraverso «la sostituzione della loro impotenza con dignità, controllo, così come di responsabilità personale e collettiva» (Keim e Noji). (Ecco una lista dei servizi psicologici gratuiti di supporto psicologico Covid-19 raggiungibili online o via telefono in Italia)

Forse, di fronte ai disastri sanitari, finanziari, sociali e psicologici provocati dalla pandemia e dalla nostra insipienza nel combatterla, conviene tornare alle parole che Freud ha scritto dopo la prima guerra mondiale nel suo breve quanto folgorante saggio „Caducità.

„Ma questi altri beni, ora perduti, hanno perso davvero per noi il loro valore, perché si sono dimostrati cos’ precari e incapaci di resistere? A molti di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a torto. Io credo che coloro che la pensano così e sembrano preparati a una rinuncia definitiva perché ciò che è prezioso si è dimostrato perituro, si trovano soltanto in ino stato di lutto per ciò che hanno perduto. Noi sappiamo che il lutto, per doloroso che sia, si estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a tutto ciò che è perduto, ciò significa che esso stesso si è consunto e allora la nostra libido è di nuovo libera (nella misura in cui siamo ancora giovani e vitali) di rimpiazzare gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi ancora. C’è da sperare che le cosa non vadano diversamente per le perdite provocate da questa guerra. Una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l’esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima.“

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