Claudio Mazzini, Coop Italia: digitale necessario per una “nuova agricoltura”

È necessario andare verso una “nuova agricoltura”, in cui il ruolo delle nuove tecnologie è centrale per la sostenibilità delle produzioni, ma serviranno importanti investimenti in tecnologie e competenze: ce ne parla Claudio Mazzini, Responsabile prodotti freschi e freschissimi di Coop Italia

I ritmi della natura e quindi dell’agricoltura spesso non coincidono con quelli della digitalizzazione e dello sviluppo tecnologico. Allo stesso modo, per innovare il settore agroalimentare serve fare investimenti importanti, in termini sia appunto di tecnologie che di nuove competenze da formare. Non tutti sono in grado di stare al passo non l’innovazione, ma chi può è meglio che lo faccia, e anche subito. Produttività, riduzione dell’impatto ambientale, sfide climatiche ancora tutte da raccogliere e possibilmente da vincere. In Italia uno degli attori più impegnati in questo senso è Coop, principale attore sul mercato italiano della grande distribuzione organizzata, per cui è necessario affacciarsi verso una “nuova agricoltura” che, in quanto tale, porti a produrre di più consumando meno risorse. Possibilmente senza ripetere gli errori del passato. Ne parliamo con Claudio Mazzini, Responsabile prodotti freschi e freschissimi di Coop Italia.

Qual è per Coop l’importanza di quella che alcuni chiamano la “nuova agricoltura”, in cui il ruolo delle nuove tecnologie è centrale per la sostenibilità delle produzioni?

Coop guarda a questa nuova agricoltura con molto interesse. Un’agricoltura molto diversa, perché spesso priva di suolo, o perché ne utilizza molto poco. Usciamo da un modello agricolo della cosiddetta “Rivoluzione verde” degli anni ‘60/’70, quando abbiamo sfamato la gran parte della popolazione mondiale, affrancandoci dal problema nutrizionale, ma facendo di più con di più: usando più cose come acqua, territorio, fitofarmaci, suolo. La nuova sfida è fare di più con meno, o al massimo di fare di più con uguale. Per farlo, ovviamente, c’è bisogno di cambiare modello. Questa “nuova agricoltura” raccoglie questa grande sfida, cioè ottenere maggiori e migliori produzioni utilizzano meno input.

La stiamo seguendo in tutti i suoi aspetti: dalle prime esperienze di serre tecnologiche, di coltivazioni flottanti, fino alle soluzioni delle fattorie verticali. Alle porte di Milano, infatti, sorgerà una vertical farm che riesce ad avere dei livelli davvero importanti di sostenibilità. È chiaro che le economie di scala porteranno anche ad una maggiore sostenibilità economica.

Vuole farci qualche esempio di innovazione utilizzata nella produzione dei freschi e freschissimi reperibili nei vostri punti vendita?

Nei nostri supermercati troviamo pomodori che vengono da serre tecnologiche senza illuminazione forzata, o ad illuminazione a led produttive anche in inverno, o ad altitudini non tipiche per il pomodoro. Abbiamo anche aziende che hanno fatto investimenti per le insalate con coltivazione flottante, con riduzione di consumo di suolo e di acqua molto rilevanti. Fino ad arrivare appunto alle ultime esperienze di vertical farming, tutte iniziative che però hanno alle spalle un fattore comune: la necessità di investimenti in tecnologie e in infrastrutture, e quindi in capacità tecniche molto diverse da quelle che si potevano avere un tempo.

Fare una lattuga in acqua (floating) significa avere capitali importanti da investire. E serve avere manodopera altamente qualificata. Se ho bisogno di droni, sensoristica per avere una sostenibilità ecc., è chiaro che le tecnologie da usare sono differenti.

Come ha accennato, recentemente in alcune Coop a Milano è partito un interessante test sulle insalate prodotte in aeroponica. Ce ne vuole parlare brevemente?

A Milano l’esperienza “Local Green” è uno step avanti, cioè si parla di un vertical farming un po’ più evoluto. Si coltivi in verticale anziché in orizzontale, quindi in aeroponica. Qui anche le tecnologie si susseguono a ritmi non forse veloci come succede in altri ambiti (ad esempio quello dei telefoni cellulari), ma in cinque o sei anni si è potuto già assistere al susseguirsi di almeno tre nuove tecnologie. L’avanzamento tecnologico e le economie di scala, nel tempo, renderanno queste esperienze sostenibili a livello economico, oltre che sociale ed ambientale.

Qual è l’apporto delle tecnologie digitali in questo senso?

Il digitale è importante, anzi direi fondamentale per usare al meglio tutte le tecnologie a supporto della “nuova agricoltura”. È chiaro che la tecnologia digitale non serve per coltivare, ma è straordinariamente necessaria per elaborare i dati, gestire le coltivazioni e in generale per supportare tutta la parte impiantistica.

Tutto questo non si scontra con il sempre maggiore successo del biologico, e quindi di un’immagine forse più bucolica che reale dell’agricoltura?

Il biologico non considera queste tecnologie perché quando è nata la legge non c’erano. È come avere il codice della strada e non considerare che adesso esistono anche le auto elettriche. È ovvio che la normativa dovrà adattarsi. Ad oggi il biologico fuori suolo non è consentito, ma è una questione di scelta. Cioè non vi è un motivo agronomico perché non possa essere fuori suolo.

Il vero tema è che ci sarà sempre un’agricoltura che avrà bisogno della terra. I frutteti ad esempio sono incompatibili con le tecnologie utilizzabili al chiuso. Ma anche qui, se vogliamo contrastare il cambiamento climatico, l’agricoltura dovrà essere in grado di proteggere le colture dagli eventi estremi, dai parassiti, dalle specie aliene, dalla siccità o piogge forti. Quindi è chiaro che anche l’agricoltura tradizionale dovrà servirsi maggiormente della tecnologia.

Ci sono prodotti che si prestano a tecnologie indoor e prodotti che non si prestano per nulla. Ma sarà sempre più importante adottare certe innovazioni, per garantire un prodotto sempre più sostenibile e standard sempre più elevati per i consumatori, agendo con tutte le tecnologie disponibili.

In tutto questo la digitalizzazione ha ed avrà un impatto enorme, solo che in ambito agricolo avrà tempi più lunghi per essere adottata di quanto non sia in altri settori. Se ipotizzo di rifare un impianto implementando digitalizzazione e sensoristica, infatti, l’investimento per le aziende è grande. Chi adotta queste tecnologie inizia ad esempio ad acquistare tutta la sensoristica per calcolare l’aeroponica, quella per calcolare la percentuale di fertilizzanti utilizzata, poi dei computer che applichino i modelli, che facciano funzionare delle centraline, che mettano in azione la fertirrigazione ecc. ecc. È chiaro che vada fatto un po’ alla volta, e che quando si fa un investimento del genere, il prossimo lo si rifarà molti anni dopo.

L’agricoltura ha cicli più lunghi, così come la natura. Che ci sarà un forte impatto della tecnologia nel settore agroindustriale è fuori dubbio. Bisogna capire solo quando.

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