Il lockdown non basta: serve un cambiamento sociale per la decarbonizzazione del pianeta

Il rallentamento industriale dovuto alla pandemia non ha ridotto i livelli record di emissioni dei gas serra, che continuano ad intrappolare il calore nell'atmosfera. Vediamo cosa può essere fatto, anche grazie alle nuove tecnologie, per ridurre le emissioni

Alla fine di novembre del 2020, la World Meteorological Organization (WMO), agenzia per lo studio del clima delle Nazioni Unite, ha fatto sapere che il rallentamento industriale dovuto alla pandemia COVID-19 non ha ridotto i livelli record di emissioni dei gas serra che continuano pericolosamente ad intrappolare il calore nell’atmosfera. Secondo la WMO, quindi, il Mondo continua a trovarsi in quella pericolosa condizione che sta progressivamente portando all’innalzamento delle temperature, allo sviluppo di fenomeni meteorologici estremi, allo scioglimento dei ghiacci polari, all’aumento del livello dei mari ed alla acidificazione degli oceani.

Secondo la World Meteorological Organization, infatti, il “lockdown planetario” avvenuto a più riprese durante il 2020, ha contributo a ridurre fortemente le emissioni di molte sostanze inquinanti e di gas serra (in particolare anidride carbonica) nell’atmosfera; tuttavia, l’impatto sulle concentrazioni stabili di CO2, già presenti in atmosfera accumulatesi in anni di emissioni, è stato pressoché nullo. Nei fatti il lockdown, ed il drastico calo temporaneo delle emissioni di gas serra in atmosfera, è risultato essere poco più di una “fluttuazione” congiunturale, non più incisiva della fluttuazione stagionale registrata ogni anno per il “ciclo naturale del carbonio”.

Il Global Carbon Project ha infatti stimato che, durante il periodo più intenso di “spegnimento” dei sistemi produttivi e di consumo durante il lockdown, le emissioni giornaliere di CO2 si sarebbero ridotte fino ad un –17% su scala globale. Sempre secondo lo stesso Istituto, le stime preliminari sul 2020 indicherebbero una riduzione annuale su scala globale delle emissioni compresa tra il –4,2% ed il –7,5%. Tuttavia, una riduzione delle emissioni di questa portata non contribuirà a far scendere la CO2 ed i gas serra già presenti in atmosfera, tutto ciò ha fatto semplicemente registrare una leggera riduzione su base annuale, non tanto differente dalle fluttuazioni che solitamente avvengono nell’arco di un anno (comprese in una forbice di variazione complessiva che si aggira solitamente tra lo 0,08% e lo 0,23%).

Complessivamente, il livello di anidride carbonica continua a salire

Contrariamente alle aspettative dei più, come si è detto, i livelli di anidride carbonica presenti in atmosfera secondo i bollettini del WMO vedono un trend di crescita costante nel tempo su base annua. Basti ricordare che nel 2018 la quantità media di CO2 presente in atmosfera raggiungeva le 407,9ppm (parti per milione), nel 2019 sono state raggiunte le 410ppm, e la quota ha continuato a crescere per tutto il 2020. Un trend che è in costante crescita dal 1990: da allora, c’è stato un aumento complessivo del 45% della quota di CO2 presente in atmosfera.

Anche il MET Office, l’agenzia per il servizio meteorologico del Regno Unito, ha confermato questa progressione e per il 2021 prevede che le emissioni di anidride carbonica aumenteranno fino addirittura a raggiungere livelli del 50% superiori rispetto a quelli dell’epoca preindustriale (1750-1800). Si passerà dunque da un’epoca nella quale l’impatto dell’uomo ed il ciclo dell’ecosistema registravano complessivamente livelli medi annui di 278 ppm (parti per milione) di CO2, ad una fase storica in cui tra i mesi di Aprile e Giugno 2021 supereremo le 417ppm.

L’ultima volta che le emissioni hanno stabilmente e notevolmente superato la soglia dei 400 ppm, è stato quattro milioni di anni fa e, conseguentemente, la temperatura media sul pianeta era all’epoca superiore a quella attuale di circa 3 °C ed il livello dei mari era molto più alto.

Abbiamo superato la soglia globale di 400 parti per milione nel 2015. E solo quattro anni dopo, abbiamo superato le 410 ppm – ha ricordato il Professor Petteri Taalas, Segretario Generale del WMO, che ha aggiunto – Un tale tasso di aumento non è mai stato visto nella storia dei nostri registri. Il calo delle emissioni legato al lockdown è solo un minuscolo punto sul trend a lungo termine. Abbiamo, invece, bisogno di un appiattimento sostenuto della curva”.

Come si può agire per decarbonizzare (davvero) l’atmosfera?

Per quanti hanno visto nel lockdown una piccola opportunità per poter almeno sperare in un miglioramento del clima, i dati ufficiali a livello mondiale rappresentano una notizia terribilmente frustrante. Tuttavia, da ciò emergono due aspetti rilevanti sui quali riflettere: il primo è che un anno di riduzione dei consumi individuali, e di forte riduzione della produzione, ha certificato che non sono sufficienti le azioni individuali per contrastare l’impatto sul clima, al contrario sono necessarie azioni “strutturali” di grande impatto. Il secondo punto, che discende dal precedente, è che se il solo mutamento dei comportamenti individuali non è sufficiente, allora occorre agire approfittando di questo periodo per studiare quali sono gli interventi in grado di invertire in modo definitivo (ed appunto “strutturale”) l’impatto che noi esseri umani abbiamo come società sull’ecosistema.

In questa direzione vanno, innanzitutto, le ricerche di alcuni specifici progetti del WMO per comprendere quali elementi inquinanti, con quale incidenza e con quale origine hanno il maggior impatto negativo sull’atmosfera. Oggi è evidente che il più dannoso alla base dell’effetto serra è l’anidride carbonica, che incide per due terzi del totale sull’inquinamento atmosferico. È anche la molecola maggiormente legata all’attività umana (emissioni di gas di scarico, produzione energetica da fonti fossili, produzioni industriali, produzione di cemento, ecc.). Il suo livello medio in atmosfera ha raggiunto nel 2019 le 410,5 parti per milione, un dato che continua a salire anche per un’altra folle azione dell’uomo che è la deforestazione massiccia la quale contribuisce ulteriormente alla capacità di assorbimento della CO2.

Alla CO2 si aggiungono il metano (che rappresenta il 16% del totale) derivante per il 60% da azioni antropogeniche (ad esempio gli allevamenti, le coltivazioni del riso, sfruttamento dei combustibili fossili, discariche e combustione delle biomasse); ed il protossido di azoto, che oltre ad essere un gas serra distrugge lo strato di ozono, ed ha superato il 123% in atmosfera rispetto ai livelli preindustriali.

Le nuove tecnologie per ridurre le emissioni possono essere impiegate in vari modi, innanzitutto, preservando le foreste, sia contrastando la deforestazione sia ripopolando le aree verdi preesistenti. In entrambi i casi, i sistemi satellitari di monitoraggio e prevenzione sono una soluzione centrale, affiancata ad esempio anche dall’uso dei droni per la riforestazione. Un secondo fattore rilevante è quello della riduzione delle emissioni derivanti dall’agricoltura, che può essere contrastato con gli strumenti dell’agricoltura di precisione; ma anche con un intervento diretto sulla riduzione della chimica impiegata per le coltivazioni, in particolare riducendo l’impiego dei nitrati e dei suoi derivati nelle coltivazioni intensive. L’aspetto decisivo, però, riguarda la riduzione delle emissioni di CO2 connesse alla produzione e consumo di energia, che secondo le stime più diffuse, contribuisce alle emissioni complessive di CO2 per più del 70% sul totale. Al riguardo, la soluzione principale secondo gli scienziati, riguarda la “cattura” e lo stoccaggio della CO2, attraverso l’immediato filtraggio ed accumulo del particolato in fase di emissione dagli impianti produttivi e successivamente attraverso lo stoccaggio in appositi impianti.

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