Informazione sostenibile, pandemia e disintermediazione nella Giornata mondiale della libertà di stampa

Il 2020 ha rappresentato un anno complicato per la libertà di stampa, considerato il contesto pandemico e la necessaria comunicazione del rischio. In questo scenario, nel 2021 urge porre rimedio alle crescenti difficoltà del giornalismo tradizionale, con un’informazione sostenibile che sappia fronteggiare la crescente disintermediazione in atto

Il 3 Maggio segna l’anniversario della dichiarazione di Windhoek, importante documento emesso nel 1991 in difesa della libera informazione, del pluralismo e dell’indipendenza dei media. Dal 1993 l’assemblea generale dell’ONU ha dichiarato questo giorno Giornata mondiale della libertà di stampa. Scopo di tale commemorazione è evidenziare e ricordare ai governi il dovere di rispettare l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani. 

La ricorrenza assume quanto mai significato nell’attuale contesto sociale, culturale ed economico, profondamente mutato a causa dello scenario pandemico e dell’esplosivo imporsi del digitale. Con il moltiplicarsi delle opportunità di espressione e comunicazione e con l’emergenza sanitaria, difatti, è diventato quanto mai necessario sollecitare le Istituzioni a considerare l’informazione come bene pubblico da salvaguardare. 

Il tema centrale di quest’anno – il trentesimo anniversario da Windhoek – è la correlazione fra libertà di stampa e pandemia. In questo senso, spunti interessanti possono essere ricavati dalle pubblicazioni di Reporter senza frontiere (RFS), organizzazione non governativa e no-profit che promuove e difende la libertà di informazione. Ogni anno RFS compila e pubblica una classifica annuale dei paesi per la libertà di stampa. Il rapporto è realizzato grazie alla collaborazione di organizzazioni partner e di 150 corrispondenti in tutto il mondo, ai quali si aggiungono giornalisti, ricercatori, attivisti e giuristi. Oltre alla classifica, RFS pubblica annualmente un rapporto World Press Freedom, conosciuto in Italia come Rapporto Senza Frontiere (RWB). 

Dalla correlazione di queste due fonti emerge che – nonostante l’Europa sia ancora il paese più favorevole in cui esercitare la libertà di stampa – il 2021 è stato un anno estremamente difficoltoso per i giornalisti, complice l’epidemia e la necessaria comunicazione del rischio pandemico. 

Il pubblico: l’approccio alle notizie e alle fonti informative durante la pandemia 

Un’ottima ricostruzione su come il pubblico si sia approcciato alle notizie durante i mesi dell’emergenza sanitaria viene dal primo Rapporto Ital Communications-Censis, denominato “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”. 

Prima di tutto, il rapporto mette in evidenza un aumento intensivo dell’utilizzo delle piattaforme web per la ricerca di informazioni sul virus. All’arrivo della pandemia in Italia, l’esigenza di capire cosa stesse succedendo ha portato molti utenti a ricorre a fonti informative non verificate. Hanno utilizzato internet per informarsi oltre 50 milioni di italiani (il 99,4% degli adulti); fra questi, ben 29 milioni hanno fruito di notizie che successivamente si sono rivelate scorrette o completamente false. 

Le fonti utilizzate sono state comunque molteplici: stampa, radio, tv; la scelta dei media tradizionali è stata preferita da 38 milioni di italiani. In molti hanno cercato informazioni anche dai siti di fonti ufficiali, primi tra tutti Protezione civile e l’Istituto superiore della sanità (a cui si sono rivolti 26 milioni di italiani). Un italiano su quattro, infine, ha preferito chiedere spiegazioni al medico generale (12,6 milioni).

L’impatto delle piattaforme digitali, in ogni caso, non può considerarsi irrilevante: davanti alla dichiarazione dello stato d’emergenza, circa 15 milioni di italiani hanno consultato in primis i social network.

Il massivo incremento nell’utilizzo delle piattaforme a scopo informativo è stato messo in evidenza anche dal presidente della Commissione Vigilanza Rai Alberto Barachini: ”Ad aprile scorso si erano registrati picchi su YouTube con + 39 milioni di visualizzazioni in ricerche legate alla pandemia”. Ancora, il commissario Agcom Laura Aria ha dichiarato: “Dopo il messaggio del presidente Mattarella e una serie di interventi istituzionali i numeri sono notevolmente scesi”. 

Ovviamente, la comunicazione confusa e approssimativa è stata un forte veicolo di paura – stando al rapporto, per il 65% degli italiani – che spesso hanno dato per vere informazioni errate. Due esempi non irrilevanti: ben 19,4 milioni di utenti hanno creduto alla storia del virus fuggito dal laboratorio, e allo stesso modo 2,3 milioni di persone hanno dato per vera la correlazione fra il virus e il 5G. In ogni caso lo stesso Rapporto definisce lo scenario comunicativo del 2021 “confuso, ansiogeno, eccessivo”. 

Considerazioni che vengono confermate anche dalle dichiarazioni delle giovani generazioni, fortemente deluse dall’approccio comunicativo adottato: il 14,1% dei giovani ha definito la comunicazione dello stato di emergenza generalmente “sbagliato”, mentre il 14,6% dei millennial – fascia compra tra i 18 e i 34 anni – ha definito la manovra informativa “pessima”.  

Il decreto Cura Italia e l’accesso limitato a documenti urgenti 

Veniamo ora al quadro generale della situazione italiana relativa alla libertà di stampa. All’interno della classifica RWB soprammenzionata, il nostro paese occupa il 41° posto, esattamente come nel 2020. Difatti, nonostante la forte confusione e le innumerevoli difficoltà, i media italiani sono generalmente riusciti a continuare il proprio lavoro di informazione anche in un contesto di emergenza sanitaria.

Tuttavia, il lavoro è stato enormemente complicato dall’accesso limitato a documenti di estrema urgenza. Difatti, oltre alla compressione di alcuni diritti fondamentali – fra cui quello di movimento e di riunione – l’emergenza Covid-19 ha portato diversi paesi del mondo ad una limitazione del diritto di accesso ai dati (FOIA) e a tutte le informazioni detenute dalla pubbliche amministrazioni. 

In Italia, in particolare, l’emanazione del decreto legge Cura Italia (D. L. 18/2020) del 17 marzo ha sancito una sospensione temporanea delle richieste di accesso che non avessero “carattere di indifferibile urgenza”. Ciò ha fortemente limitato il controllo generalizzato dell’attività del governo e della pubblica amministrazione, reso possibile dal FOIA.

Inoltre, non è scontato ricordare che i provvedimenti messi in atto per il contenimento della pandemia hanno messo in difficoltà anche molti dipendenti publici, che pur lavorando da remoto hanno sicuramente avuto un minore accesso agli archivi cartacei delle amministrazioni. 

Raddoppiamento di aggressioni e querele 

Torniamo al rapporto RWB per mettere in evidenza un altro punto problematico, ossia quello riguardante il raddoppiamento di aggressioni e delle querele contro i giornalisti. L’aumento di tale fenomeno sarebbe stato massiccio in Germania, Francia, Italia, Polonia, Grecia, Serbia e Bulgaria. 

La Germania in particolare ha perso due posizioni nella classifica generale per le aggressioni alla stampa da parte di manifestanti negazionisti ed estremisti. A livello globale, sulla Bielorussia (al 158° posto) si sarebbe abbattuta una “Repressione dalle dimensioni senza eguali”. La Russia (al 150°), invece, ha fortemente represso e limitato e la copertura mediatica legata all’attivista Alexeï Navalny. 

In ogni caso, la cartina riportata su rsf.org offre una buona rappresentazione visiva dello scenario globale contesto pandemico: in nero i Paesi dove la situazione è molto grave (11,88%), in rosso “difficile” (28,71%), arancione “problematica”. In giallo i Paesi dove la libertà è “piuttosto buona” (19,80%) e giallo chiaro “buona” (6,93%). Rilevante evidenziare come quest’ultima sia una fetta calata dell’1% negli ultimi 12 mesi.

Mediazione, disintermediazione e informazione sostenibile

Il contesto pandemico ha sicuramente visto l’insorgere e il predominare dei nuovi intermediari informativi digitali, ben lontani dalla classiche agenzie informative. Le difficoltà del mondo giornalistico e – più in generale – del mantenimento della libertà di stampa, inoltre, sono insorte anche in correlazione ad una crescente sfiducia verso gli stessi giornalisti. 

Tale carenza non chiama in causa semplicemente la qualità dell’informazione e l’operato degli stessi, quanto anche la tempestività delle notizie, che è ovviamente maggiormente garantita dal mondo social. 

Lo scenario pandemico ha comunque rivestito un ruolo di estrema importanza per dimostrare in maniera definitiva la necessità di ripensare il panorama informativo al fine di evitare fake news e gestire correttamente la comunicazione del rischio. Occorre evitare, difatti, che anche negli stati emergenziali si possa godere di una libertà di stampa sostenibile e concretamente utile alla società civile. 

Per fare ciò, i tradizionali agenti di comunicazione devono ripensare le proprie modalità fruitive e comunicative adattandosi al nuovo scenario delle piattaforme digitali. Dallo stesso rapporto Censis emerge come sia fondamentale istituire figure affidabili e competenti in materia informativa, in grado di porsi come intermediari tra la domanda di informazione e l’ingente mole di notizie a disposizione. 

Secondo il documento, la sostenibilità informativa potrebbe essere aiutata grazie all’intervento delle agenzie di comunicazione, che rappresentano un valido argine contro la cattiva comunicazione. Difatti, nel loro quotidiano lavoro di valorizzazione e supporto, le agenzie possono essere centrali per garantire la qualità dell’informazione veicolata.

Il settore delle agenzie di comunicazione italiane, del resto, è in forte espansione, sebbene caratterizzato da piccole realtà. In Italia – dice il rapporto – sono attive 4389 agenzie di comunicazione. Aziende che, dal 2015 al 2020 hanno fatto registrare una crescita (+12,5%), che non si è fermata neanche nell’anno della pandemia sanitaria (+1,2%). Tali realtà sono concentrate per lo più al nord del Paese, e hanno una media di 1,9 addetti per impresa. Per arginare la proliferazione delle fake news, inoltre, servono misure che pongano in primo piano la responsabilizzazione dei diversi attori che si muovono sul web. Secondo il 52,2% degli italiani, le piattaforme social dovrebbero intervenire per rimuovere le notizie false e attivare dei sistemi di fact checking. Prioritario anche l’avvio di campagne di sensibilizzazione e prevenzione sull’uso consapevole dei social.

“La marea di fake che circola sui social – ha sottolineato il sottosegretario Giuseppe Moles – deve essere una preoccupazione, dato che influisce pesantemente sul funzionamento della democrazia. La pandemia ha sicuramente acuito le difficoltà. Ad oggi, i social rischiano di svolgere inconsapevolmente una funzione impropria, divenendo uno strumento di manipolazione del consenso e di polarizzazione dell’informazione. C’è il rischio che ci si limiti alla veicolazione indiscriminata di fake news. I singoli giornalisti devono prendere consapevolezza di tutto ciò, e devono essere i primi a mettere in atto comportamenti di autoregolamentazione”.

Nel pieno imporsi delle tecnologie digitali, dunque, urge lavorare per la realizzazione di uno scenario informativo che tenga conto dei social network e della loro potenzialità divulgativa, affinché sia evitata la manipolazione e la cattiva gestione di informazioni e consenso. Ricordiamo, infine, che una concreta sostenibilità per i processi di disintermediazione in atto potrà realizzarsi solo tramite nuove proposte legislative. Grazie ad essere sarà concretamente possibile mirare ad  una sostenibilità sociale e informativa, ad oggi quanto mai necessaria anche per la corretta prosecuzione della campagna vaccinale. 

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