Memoria, oblio e rimozione digitale

Nell'era dell'overload informativo, per non diventare "contenitori viventi" di dati e informazioni occorre saper scegliere quali conservare: la soluzione nei percorsi dell'innovazione e degli affetti

Immagine distribuita da Pixabay

Exegi monumentum aere perennius 

Orazio, Odi, III, 30, 1

 

“I greci hanno inventato tutto” diceva il mio professore di greco al liceo. Come non dargli ragione quando si considera l‘articolata e mirabile narrativa che essi hanno costruito sulla dialettica memoria/oblio? 

Dialettica memoria/oblio 

Esiodo, nella sua Teogonia, narra che Mnemosine, la Memoria, sia nata dall’unione di Gea, la dea della terra, con Urano, il dio del cielo stellato. Attratto dalla giovane e bella Mnemosine, Zeus si sarebbe travestito da pastore, avrebbe fatto l‘amore con lei per nove giorni consecutivi e dalla loro unione sarebbero nate le Muse che, ispirando e proteggendo le arti, sono divenute il simbolo di una attiva memoria culturale. A loro si rivolgono poeti ed artisti per celebrare, come fa Esiodo, “le cose che saranno e che furono”. 

Tra memoria e oblio si instaura una dinamica dialettica, in base alla quale tanto la coltivazione attiva della memoria quanto la dimenticanza coscientemente ricercata sono necessarie per poter vivere consapevoli del proprio passato ma anche sufficientemente liberi dallo stesso per procedere oltre nelle tappe della vita

Lete, appartiene invece alla stirpe della notte e nasce da Eris, la dea della discordia (ma anche della competizione), e rappresenta l’altrettanto necessaria funzione dell’oblio. Tra memoria e oblio si instaura una dinamica dialettica, in base alla quale tanto la coltivazione attiva della memoria quanto la dimenticanza coscientemente ricercata sono necessarie per poter vivere consapevoli del proprio passato (personale, familiare e collettivo) ma anche sufficientemente liberi dallo stesso per procedere oltre nelle tappe della vita. Se la memoria viene tradizionalmente simboleggiata dal libro, in cui il sapere viene elaborato, raccolto, conservato e tramandato, l’oblio si configura invece come una lacuna del testo, un vuoto da riempire ma che al tempo stesso “rende enigmatico e interessante il testo lacunoso” (Weinrich), così come il silenzio è essenziale per creare la partitura musicale. L’oblio della vita stessa si rende necessario all’atto della reincarnazione. Il Lete diviene infatti nel mito di Er, citato da Platone nella sua Repubblica, anche il fiume in cui le anime si immergono per dimenticare la loro vita passata preparandosi così alla reincarnazione. Dante riprenderà l’immagine descrivendo il Letè come un fiume situato sul monte del Purgatorio che consente alle anime che vi si immergono di dimenticare le loro colpe prima di salire in Paradiso. Accanto al Letè scorre, secondo Dante, un altro fiume, l’Eunoè, che consente di ricordare le cose buone del nostro passato. Si potrebbe scrivere un’intera storia della letteratura, se non dell’intera civiltà occidentale, alla luce della dialettica memoria/oblio come d’altro canto ha già fatto Harald Weinrich nel suo “Lete. Arte e critica dell’oblio” (1997) partendo appunto dalla mitologia greca per arrivare a Freud e oltre. Il padre della psicoanalisi trasforma genialmente l’oblio in rimosso, il quale va a costituire o comunque ad ingrossare un nuovo fiume anzi oceano carsico, quello dell’inconscio. A partire dalla fine del secolo scorso assistiamo invece al progressivo incremento di un altro oceano, quello dei dati, in gran parte disponibili alla comunità ma umanamente impossibili da ricordare. Lo stesso Weinrich era consapevole già all‘epoca della pubblicazione del suo testo (1997) che, a seguito dell’overload informativo nessuna disciplina scientifica può più essere praticata “senza una precisa componente di oblio”. Weinrich afferma inoltre che noi dobbiamo anche imparare ad apprendere «l’arte di rifiutare e di scegliere cosa conservare»: «un’operazione necessaria per ritrovare la tranquillità della nostra anima nell’epoca moderna e postmoderna». 

Ipermnesia 

Il problema dell’overload informativo era d’altro canto stato già anticipato in forma letteraria da Jorge Luis Borges nel suo racconto Funes, o della memoria del 1942. Il protagonista della novella, in seguito a un incidente, perde la capacità di dimenticare per cui ogni dettaglio rimane impresso nella sua mente. Come il potere di rendere oro tutto quello che tocca condanna Re Mida alla fame, anche per Funes l’apparente vantaggio di ricordare tutto diventa una maledizione. Egli rimane prigioniero del flusso dei ricordi, che non è neppure in grado di raccontare. Quando prova a farlo, impiega esattamente lo stesso tempo del loro svolgimento. Funes è cioè diventato un registratore vivente. Consumato dai ricordi, non può vivere il presente. Inoltre, prestando attenzione a ogni cosa, non riesce più a dormire e non è in grado di ragionare. 

A conferma che la fantasia talvolta precede la realtà e ne viene riconfermata il celebre  medico e psicologo russo Alexander Lurija descriverà un caso analogo a quello di Funes nel 1968 nel suo libro, Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla. È la vicenda di Solomon Šereševskij, un uomo che ricordava tutto, ma che proprio per la sua incapacità di dimenticare i dettagli e di distinguere tra particolari importanti e insignificanti, era incapace di qualsiasi argomentazione logica. 

Big data e overload informativo 

Siamo o diventeremo presto anche noi come Funes o Solomon Šereševskij? La domanda, visto l’incremento esponenziale dell’overload informativo e al contempo la semplificazione argomentativa che affligge mass- e social media, è tutt‘altro che peregrina. Nel nostro mondo digitale, in cui il silicio rende tutto perenne, il problema consiste infatti, come per Funes e Solomon Šereševskij, nell’accumulo di una gigantesca massa di informazioni che non possono essere elaborate e rischiano di trasformarci in amorfi contenitori viventi di dati. Per non parlare poi del pericolo che la permanenza perenne in rete di dati relativi alle persone scomparse renda più difficile l’elaborazione del processo del lutto e dunque il superamento della perdita. (Ma questo è un tema per un altro articolo). 

Memoria, innovazione e affetti 

Quali liane scegliere tra le infinite che la giungla comunicativa mette a nostra disposizione, senza perdersi e senza cadere nel rischio dell’ipermnesia alogica di Funes e Solomon Šereševskij? Credo sia possibile individuare almeno due percorsi: quello dell’innovazione e quello degli affetti. 

Partiamo dal primo. Se avessi utilizzato solo la mia conoscenza e la mia memoria non avrei potuto scrivere quest’articolo come l’ho scritto. Mi sarei arenato alla genealogia di Mnemosine e se anche avessi potuto consultare dizionari mitologici avrei impiegato un tempo decisamente maggiore per raccogliere i dati. Ma soprattutto non mi sarei imbattuto in Weinrich, in Funes, in Solomon Šereševskij di cui, tramite una breve ricerca, sono casualmente venuto a conoscenza. Naturalmente Freud avrebbe qualcosa da ridire su questa presunta casualità (perché mi hanno colpito queste persone e personaggi e non altri? Forse perché mi rispecchio nelle loro storie o le aborro? etc).

Della sterminata mole di dati resi perenni in epoca digitale dal silicio e costantemente a nostra disposizione, alcuni divengono particolarmente significativi per la loro felice combinazione con altri, ovvero con i nostri ricordi personali o collettivi e danno luogo, con un modalità anti-fragile (Taleb), ad un processo di evoluzione culturale

Rimane però il fatto che Internet è un grande sistema ricombinante o ricombinatorio, che dir si voglia – forse non poi così diverso dal nostro inconscio – in cui si creano nuove associazioni, siano esse logiche, causali o casuali, conseguenti ad assonanze, similitudini, antitesi etc. Tali associazioni favoriscono nuovi concetti e nuovi sviluppi alcuni dei quali particolarmente propizi. Vecchi ricordi si possono così mescolare a nuove conoscenze dando luogo a nuovi punti di vista, spunti interpretativi diversi, processi innovativi, creativi e trasformativiQuando richiamiamo alla mente un ricordo le proteine in cui il ricordo è racchiuso divengono labili consentendo una nuova configurazione in cui verrà inglobato anche il nostro stato d’animo di quel momento e la nuova informazione che aggiungiamo. E così via all’infinito. Naturalmente per ogni idea innovativa si creano anche mille sciocchezze ma così è anche nell’evoluzione naturale. Delle mille nuove ricombinazioni genetiche che si creano resistono solo quelle che consentono un miglior adattamento. Della sterminata mole di dati resi perenni in epoca digitale dal silicio e costantemente a nostra disposizione, alcuni divengono particolarmente significativi per la loro felice combinazione con altri, ovvero con i nostri ricordi personali o collettivi e danno luogo, con un modalità anti-fragile (Taleb), ad un processo di evoluzione culturale. Il carattere innovativo di questi dati composti ci porta dunque a sceglierli tra un’infinità di altri e ad attribuire loro un particolare valore che li rende in qualche modo speciali e pertanto degni di accompagnarci nel tempo. Cos‘altro sono tante app se non modi nuovi ed innovativi di fare cose molto vecchie?  

Mass- e social media sfruttano le emozioni per attirare la nostra attenzione. Ma se ciò basta per i like e i RT, non basta per la nostra memoria. Perché il dato, la traccia divenga memoria stabile in noi, dobbiamo curarlo nel tempo con un affetto più o meno stabile

Vi sono poi dati che noi sottraiamo alla dimenticanza investendoli dei nostri affetti. Alcune informazioni suscitano in qualche modo in noi emozioni più intense, positive o anche negative, e questa “sottolineatura fluorescente” le rende nel nostro cervello più facilmente ritrovabili e richiamabili alla memoria. Mass- e social media sfruttano proprio le emozioni per attirare la nostra attenzione. Ma se ciò basta per la tiratura, i like, i RT, non basta per la nostra memoria. Perché il dato, la traccia divenga memoria stabile in noi, parte di noi, dobbiamo per così dire curarlo nel tempo con un affetto più o meno stabile. È d’altro canto quello che facciamo con i nostri cari dopo la loro scomparsa. Ne curiamo la memoria perché rimangano in noi. Come accade nel film Coco in cui il protagonista scopre che neanche l’Aldilà è eterno e che i morti svaniscono se non c’è più nessun vivente che si ricordi di loro, anche i nostri ricordi più preziosi svaniscono se non li curiamo. Il silicio li tiene sullo schermo, noi possiamo tenerli in vita.

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