La telemedicina in Italia tra vantaggi e rischi da evitare

Una ricerca condotta da Kaspersky evidenzia come l’89% delle organizzazioni sanitarie italiane abbia già implementato servizi di telemedicina. Servizi che, tuttavia, devono ancora fare i conti con la diffidenza dei pazienti, che spesso non si fidano della gestione dei propri dati

Immagine distribuita da Max Pixel con licenza CC0 (https://www.maxpixel.net/Laptop-Telemedicine-Doctor-Telehealth-Stethoscope-6161898)

Può essere la digitalizzazione la chiave per la sanità del futuro? Una domanda ricorrente, soprattutto da quando gli eventi della pandemia hanno accelerato – per necessità – la trasformazione digitale di questo settore. In questo senso, se per pensare al futuro occorre, intanto, guardare al presente, la strada in Italia sembra essere tracciata: come emerge da una ricerca condotta da Kaspersky, infatti, la maggior parte delle organizzazioni sanitarie italiane ha già implementato servizi di telemedicina. Tuttavia, ciò che emerge con ancor più chiarezza dal quadro realizzato dallo studio, è che perché questi servizi possano diffondersi nei prossimi anni, sarà necessario renderli più efficienti in termini di sicurezza, per affrontare la diffidenza dei pazienti.

Insomma, se è vero che la tecnologia ha il potenziale per abilitare enormi opportunità, anche in questo settore, lo è altrettanto la necessità di gestire con attenzione il suo utilizzo, affinché possa diventare, concretamente, uno strumento di sostenibilità.

Lo sviluppo della telemedicina in Italia

La ricerca, che ha coinvolto un campione di 389 fornitori di servizi sanitari di 36 Paesi, evidenzia come l’89% delle organizzazioni sanitarie italiane – il 91% a livello globale – abbia già implementato servizi di telemedicina, e che l’emergenza ha rappresentato, in questo senso, uno spartiacque: il 50% (il 44% a livello globale) ha iniziato infatti ad utilizzarli a seguito della pandemia.

Una diffusione che rispecchia la percezione degli intervistati rispetto alle opportunità che questi servizi sono in grado di offrire: seppur in misura minore rispetto al dato globale (71%), il 40% degli intervistati italiani sostiene infatti che, entro i prossimi cinque anni, i servizi di telemedicina porteranno numerosi vantaggi in questo settore, tra i quali comunicazioni più veloci, minore trasmissione di malattie tra pazienti e personale, e la possibilità di aiutare più persone in minor tempo.

Quanto al lato “utente”, i dati della ricerca sottolineano che, in virtù dei loro benefici, i servizi di telemedicina sono sempre più richiesti da pazienti di tutte le fasce d’età. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nonostante si parli di nuove tecnologie, non sono solo i più giovani a richiederne l’utilizzo, anzi: infatti, soltanto il 38% dei fornitori italiani di questi servizi (51% a livello globale) ha dichiarato che la maggior parte dei pazienti che fanno uso dei format virtuali hanno meno di 50 anni. Quanto ai servizi più diffusi forniti dalle organizzazioni italiane, troviamo il monitoraggio da remoto del paziente tramite dispositivi wearable (per il 44% in Italia contro il 41% a livello globale) e la telemedicina sincrona (anche qui 44%, rispetto al 51% a livello mondo), che consiste nella comunicazione in tempo reale con i pazienti, incluse chat o videochiamate. A seguire, più in basso, c’è la tecnologia di telemedicina asincrona (11% in Italia, 39% nel mondo), ossia la raccolta e l’archiviazione dei dati dei pazienti in una piattaforma sicura basata su cloud per un successivo recupero e utilizzo da parte di un professionista del trattamento.

Questione di privacy

Nel complesso, i dati dipingono un quadro di una telemedicina che, in Italia, è sulla via dello sviluppo e della diffusione, con una sostanziale consapevolezza degli operatori intervistati rispetto ai vantaggi che questa può offrire, oggi e nei prossimi anni.

Nonostante ciò, il 75% degli intervistati italiani ha dichiarato di essersi trovato di fronte a pazienti che si sono rifiutati di realizzare una videochiamata con il personale medico. Tra i principali motivi, c’è il rifiuto di apparire in video (50%), l’assenza di attrezzature adeguate (25%) e la mancanza di fiducia verso i servizi di telemedicina (25%).

Quello della privacy è un tema molto caldo per quanto riguarda l’uso di questi servizi e che, se non considerato con attenzione, rischia di diventare limitante per la loro diffusione. Un tema che, peraltro, non riguarda solamente i pazienti: infatti, la metà degli operatori sanitari italiani intervistati – e quindi al di sotto dell’81% registrato a livello globale – ha dichiarato che i medici della loro organizzazione hanno espresso preoccupazioni rispetto la protezione dei dati dei pazienti, mentre soltanto il 22% (anche qui al di sotto del dato globale del 36%) è fiducioso del fatto che la propria organizzazione disponga delle necessarie misure di sicurezza.

L’emergenza Covid-19 ha contribuito considerevolmente alla diffusione della Telemedicina anche nelle strutture sanitarie italiane, come dimostra questo studio di Kaspersky”, commenta Paolo Colli Franzone, Responsabile del canale Healthcare2030 di Tech Economy 2030. “Le prospettive per il futuro sono interessanti, se è vero che il 40% delle strutture intervistate ritiene che il fenomeno continuerà nei prossimi 5 anni. Resta da risolvere il problema del rifiuto di molti pazienti a utilizzare questo strumento, ma qui – se vogliamo – il problema è di relativamente semplice risoluzione: i medici devono rassicurare i loro pazienti illustrando loro gli indiscutibili vantaggi conseguibili, oltre a tranquillizzarli sotto il profilo della tutela della privacy. Non ha sicuramente aiutato il fatto che molte strutture sanitarie, colte alla sprovvista dall’emergenza, hanno fatto ricorso a piattaforme come Zoom o a soluzioni ancora più improvvisate come Whatsapp.

I fondi del PNRR contribuiranno a dotare le aziende sanitarie e ospedaliere italiane di piattaforme robuste e sicure, e questo renderà possibile portare in Telemedicina una buona parte delle prestazioni erogate, soprattutto per quanto riguarda la gestione di cronicità”.

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