Sport, digitale e sviluppo sostenibile: le tecnologie per incentivare all’attività fisica e sportiva

In occasione della Giornata Internazionale dello sport per lo sviluppo e per la pace, una riflessione sul ruolo dello sport per il raggiungimento di molti degli SDG definiti da Agenda 2030. E una domanda: in che modo il digitale può supportare l'aumento dei livelli di attività fisica e sportiva nella popolazione?

Il 6 aprile di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale dello sport per lo sviluppo e per la pace: un’occasione per ricordare l’importanza del ruolo dell’attività sportiva per le comunità, ed in generale per la vita delle persone di tutto il mondo.

L’importanza dei princìpi sulla base dei quali le Nazioni Unite hanno deciso di istituire questa celebrazione, è aumentata esponenzialmente in questo periodo pandemico, nel momento in cui le misure restrittive per cercare di contrastare l’emergenza hanno toccato ogni tassello della nostra vita, compreso lo sport. La mancanza di momenti di aggregazione sportiva ha quindi avuto – e continua ad avere – un impatto enorme sotto molteplici punti di vista: dal punto di vista individuale e sociale, dove l’attività sportiva è promotrice e veicolo, tra gli altri, di valori fondamentali come l’uguaglianza e l’inclusione, ma anche economico, non dimenticando il valore che lo sport professionistico, ricopre dal punto di vista occupazionale.

A partire da ciò, non si può quindi non considerare la rilevanza che lo sport e l’attività fisica possono ricoprire nel perseguire uno sviluppo sostenibile, e in particolare nel raggiungimento di molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti da Agenda 2030. La loro promozione può infatti contribuire a ridurre forme di malnutrizione come l’obesità (SDG 2), con importanti ricadute sulla salute e il benessere individuale (SDG 3), permettendo inoltre di aumentare la possibilità di prevenire l’insorgere delle NCD – (malattie non trasmissibili) nella popolazione, che hanno tra le loro cause anche il comportamento sedentario. Questo obiettivo può essere perseguito, ad esempio, aumentando il numero di infrastrutture sostenibili  (SDG 9), come reti pedonali e ciclabili, che oltre ad offrire maggiori opportunità di partecipazione ad attività fisiche, contribuiscono anche a favorire un trasporto sostenibile e maggiori possibilità di occupazione e sviluppo economico.

E questi sono solo alcuni dei motivi che rendono evidente lo stretto rapporto che lega lo sport, l’attività fisica e il perseguimento di uno sviluppo sostenibile a livello globale. Nonostante questo, i livelli di inattività nel mondo restano ancora importanti. Infatti, recenti stime realizzate da esperti dell’OMS , l’Organizzazione Mondiale della Sanità, mostrano che più di un adulto su quattro a livello mondiale – il 28%, ossia 1,4 miliardi di persone – è fisicamente inattivo. Un dato, questo, che con molta chiarezza testimonia la necessità di aumentare gli sforzi e le azioni per aumentare le opportunità per le persone di essere fisicamente attive.

Proprio in funzione di questo obiettivo l’OMS ha realizzato un “Piano d’azione globale per l’Attività Fisica 2018-2030”, documento che fornisce un quadro d’azione volto a guidare gli Stati membri ad accelerare nel raggiungimento di maggiori livelli di attività fisica, con l’obiettivo di ridurre l’inattività del 10% entro il 2025, e del 15% entro il 2030. Come? attraverso la definizione di quattro obiettivi strategici, che offrono un quadro universalmente applicabile per 20 azioni politiche, che costituiscono la base per creare una società che valorizzi e dia priorità agli investimenti politici nell’attività fisica.

Sulla base di questi, la domanda che ci siamo posti, e che abbiamo posto ad alcuni membri del comitato d’indirizzo del Digital Transformation Institute e della redazione di Tech Economy 2030, è: in che modo il digitale può aiutare nel sostenere le azioni volte al raggiungimento degli obiettivi previsti?

Creare società attive

Il primo obiettivo previsto dal report dell’OMS è quello di “creare un cambio di paradigma nell’intera società, aumentando la conoscenza, la comprensione e l’apprezzamento per i molteplici benefici della regolare attività fisica, in base alle capacità e a tutte le età”.

È particolarmente significativo come il primo punto rimarchi la questione della cultura, della conoscenza e della consapevolezza del ruolo dello sport come elementi centrali della strategia d’azione dell’OMS. Ed in questo, evidenzia Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute, la rete ha un ruolo fondamentale. “Spesso si stigmatizza il ruolo di Internet ed in generale del digitale come se da esso dipendesse il fatto che le persone si isolano, o si muovono meno. Stereotipi spesso privi di fondamento. Proprio questo periodo ha mostrato come la rete possa essere centrale anche per ricreare connessioni tra le persone e per creare consapevolezza. Oltre che per abilitare modelli nuovi. In un ormai vecchio saggio del 2008, Sport al Grandangolo, illustravo come la rete avrebbe cambiato le modalità di fruizione degli eventi sportivi. Molto di quello che immaginavamo è successo, ma come spesso succede la realtà ha superato le previsioni ed è successo molto di più. Da una parte i social media, dall’altra l’IoT hanno creato modelli di fruizione condivisa degli eventi sportivi e trasformato anche la performance individuale in un atto di comunicazione condiviso. Oggi la rete ha ridefinito il ruolo dello sport così come ha ridefinito quello dello sportivo. È fondamentale, quindi, che si sviluppi consapevolezza nelle istituzioni sulle modalità con le quali si può guardare a questi strumenti come leve di crescita nella consapevolezza di giovani e meno giovani rispetto al ruolo dello sport ed alla sua importanza. La trasformazione digitale abilita la possibilità di supportare la creazione di una cultura condivisa dello sport come pochi altri strumenti. Perché ciò accada, però, serve consapevolezza nelle Istituzioni, nelle Federazioni sportive, negli atleti che – lo vogliano o no – diventano esempio ora più di prima. Una consapevolezza che le porti a pensare alle forme di comunicazione abilitate dal digitale in modo nuovo. Consapevolezza che oggi è ancora poco diffusa”. 

Creare ambienti attivi

Nel secondo obiettivo, la strada da seguire è quella volta a “creare e mantenere ambienti che promuovano e salvaguardino i diritti di tutte le persone, di ogni età, ad avere accesso equo a luoghi e spazi sicuri, nelle loro città e comunità, in cui impegnarsi in attività fisica regolare, in base alle proprie capacità”.

La pandemia e le restrizioni che ne sono seguite hanno finito con il modificare – forzatamente – le abitudini dell’attività fisica e sportiva nei cittadini, che non potendo più sfruttare gli ambienti predisposti come, tra gli altri, le palestre e i campi sportivi, hanno trovato nelle tecnologie digitali una preziosa alternativa. Nonostante ciò, spiega Luigi Mundula, gli allenamenti “tradizionali” sembrano mantenere, oggi come nel post-pandemia, la preferenza da parte della popolazione. Tuttavia, anche per poter sfruttare e gestire le molteplici possibilità di fare attività sportiva, nei luoghi atti come nelle vie cittadine, le stesse tecnologie potranno ricoprire un ruolo decisivo. Infatti, “secondo una recente indagine realizzata da Sportclubby su 600 sportivi italiani, nel 2021 lo sport diventerà ‘ibrido’: i tradizionali allenamenti in palestra verranno affiancati da corsi online e outdoor. Se però, per gli sportivi intervistati, i corsi online presentano diversi limiti che hanno portato la metà di essi ad abbandonarli durante il lockdown, le attività outdoor riscontrano un deciso incremento, sia quelle supportate da centri o istruttori, sia quelle praticate in modo informale in parchi attrezzati o nelle vie cittadine. In questo quadro, si stanno modificando anche gli orari in cui si praticherà sport, influenzati dalla crescita dello smart working in molte aziende italiane. Per consentire agli utenti di usufruire di un’offerta così variegata e in continuo divenire, le tecnologie digitali si stanno rivelando un prezioso alleato – spiega Luigi Mundula – da un lato, troviamo app che consentono di prenotare l’offerta formale (campi sportivi disponibili per praticare sport specifici) o visualizzare quella informale (pachi o percorsi attrezzati) presente su una certa porzione di territorio (non necessariamente limitata al confine comunale); dall’altra, si stanno sempre più diffondendo spazi web e app, grazie anche alla diffusione dei “wearable” – i dispositivi indossabili – che consentono di lasciare traccia dei percorsi effettuati (in bicicletta, a piedi o a cavallo), di scaricare quelli lasciati dagli altri, e di scoprire così percorsi e attività sempre nuove”.

Ma non solo: l’innovazione tecnologica, oltre a permettere, come abbiamo visto, una migliore gestione degli ambienti, ha anche il potenziale per incentivare l’aumento del livello di partecipazione all’attività sportiva da parte della popolazione, insieme a nuove forme di mobilità meno impattanti sull’ambiente. E questo, chiaramente, può avere importanti effetti sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. È il caso, ad esempio, “del contributo dato dagli sviluppi tecnologici legati alla mobilità ciclabile (a pedalata assistita o e-bike) che, grazie al minor costo dovuto sia agli incentivi statali che alla competizione tra le aziende, ha portato ad un’esplosione della domanda per questo tipo di mezzo. Secondo uno studio dell’Università di Zurigo, che ha preso in esame le abitudini di più di 10.000 adulti in sette diverse città europee, i possessori di biciclette elettriche fanno più attività fisica rispetto ai ciclisti classici, perché chi usa una e-bike, grazie al fatto che lo sforzo è minore, è portato ad utilizzarla mediamente per più ore a settimana”.

Creare persone attive

E a questo punto, secondo il report, è fondamentale “creare e promuovere l’accesso a opportunità e programmi, attraverso molteplici setting per aiutare le persone di tutte le età e abilità ad impegnarsi in attività fisiche regolari come individui, famiglie e comunità”.

Ed è in quel “tutti” che la tecnologia può essere davvero centrale. “la digitalizzazione – continua Epifani – è infatti un imprescindibile strumento di inclusione. Grazie alla digitalizzazione si può restituire accesso allo sport agli anziani così come alle persone con disabilità, ed in generale a tutte le categorie a rischio di esclusione sociale in funzione di loro particolari fragilità. La società ‘smart’ deve essere prima di tutto una società inclusiva, ed in questo la tecnologia ha ed avrà sempre di più un ruolo centrale. La digitalizzazione consente di praticare attività sportiva in condizioni controllate (si pensi al telecontrollo delle condizioni fisiche), di facilitare l’accesso ai luoghi ove si può praticare sport (si pensi alla mobilità smart e facilitata), di praticare sport anche per chi senza di essa avrebbe difficoltà a farlo (si pensi alle possibilità offerte dall’IoT e dalla stampa 3d applicate alle disabilità), di creare momenti di contatto e di interazione anche con persone che non possono lasciare per periodi più o meno lunghi la propria casa o i luoghi di cura). Insomma: la tecnologia, contrariamente a quanto talvolta si è portati a pensare, se correttamente declinata non ci isola, ma ci rende più attivi”. 

Creare sistemi attivi

Il quarto ed ultimo obiettivo strategico individuato è finalizzato invece a “creare leadership, governance, partnership multisettoriali, capacità di forza lavoro, advocacy e sistemi di informazione in tutti i settori per raggiungere l’eccellenza nella mobilitazione delle risorse e l’attuazione di un’azione coordinata internazionale, nazionale e subnazionale per aumentare l’attività fisica e ridurre il comportamento sedentario”.

In questa direzione, si legge nel report, migliorare i sistemi di raccolta dati a livello nazionale e, nel caso, a livello subnazionale, permetterebbe una regolare osservazione sull’attività fisica e il comportamento sedentario della popolazione nelle diverse fasce d’età e categorie, così come lo sviluppo di sistemi di monitoraggio dei fattori socioculturali ed ambientali che determinano l’inattività. Allo stesso modo, secondo Giorgia Lodi, l’apertura dei dati, quando accompagnata da azioni e politiche mirate, può avere un ruolo fondamentale nell’accompagnare la popolazione nel percorso verso la comprensione dei benefici legati all’attività fisica, e viceversa dei rischi connessi alla sedentarietà. “Come vedremo nella rubrica Open Data per la Sostenibilità, anche in questo, come per tanti altri casi, l’apertura dei dati può sicuramente favorire una maggiore partecipazione della cittadinanza, sensibilizzandola su questi temi. Per farlo, tuttavia, non è sufficiente mettere un dato, se pur aperto nel migliore dei casi, sul Web. Occorre accompagnare l’apertura ad azioni mirate per il maggior coinvolgimento possibile rispetto a tutti quelli che potrebbero riutilizzare i dati, anche per costruire servizi sugli stessi a supporto di azioni virtuose della società; è necessario per i decisori accompagnare l’apertura con politiche mirate che li utilizzano, e per questo bisogna anche assicurarsi di aprire dati in modo che siano disaggregati, completi su scala nazionale, armonizzati e integrabili con altri dati: in altre parole, di qualità. Solo così a mio avviso si può affrontare il tema in maniera più ampia e integrata, guardando non solo agli aspetti strettamente legati all’attività fisica ma anche a quelli relativi agli stili di vita in generale.

Il contributo dell’attività fisica e sportiva per gli obiettivi delineati ad Agenda 2030 non può essere trascurato e, come evidenziato dal report dell’OMS, devono essere messe in pratica tutte le azioni volte a far sì che questo contributo possa prendere forma. Noi tutti ci auguriamo che, quanto prima, possano tornare quei momenti di aggregazione sociale che caratterizzano lo sport, e che le tecnologie e l’innovazione digitale possano rendere quei momenti ancora migliori.

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