Digital Twin, rappresentazione virtuale di oggetti e processi al fine di rendere la produzione intelligente e ridurre costi e sprechi con algoritmi predittivi; sensori in grado di riconoscere e separare i rifiuti e i materiali di scarto risultanti dalla produzione dell’acciaio; manifattura additiva, capace di utilizzare minore quantità di materie prime, recupero dell’energia termica dalla produzione industriale. Sono solo alcune delle soluzioni progettate dai “young manufacturing leaders” per costruire un nuovo modello di produzione di oggetti e servizi alternativo a quello lineare.
Una necessità che abbiamo visto riguardare ogni aspetto dello sviluppo umano: i consumi, e quindi i consumatori, la politica, i decisori, le imprese, gli organismi sovranazionali, ma prima di tutto l’innovazione digitale.
Per questo, il World Manufacturing Report 2021 si concentra su questa sinergia indispensabile, mettendo in luce tutte le soluzioni digitali che costruiscono, facilitano, accelerano la transizione al modello circolare.
La necessità di un quadro comune (e comunitario)
Il digitale può governare i processi di produzione perché siano più sostenibili: per farlo sono necessarie reti, infrastrutture, condivisione di dati, sinergia industriale, policy pubbliche e incentivi.
Nessuno dei paesi del mondo è in grado, ad oggi, di utilizzare in modo efficiente le risorse che preleva dalla Terra, l’overshoot day (il giorno che indica l’esaurimento ufficiale delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare nell’arco di 365 giorni) arretra ogni anno di più e pericolosamente, se pensiamo che solo per il fabbisogno italiano sarebbero state necessarie più di due terre e mezzo per arrivare alla fine del 2020. Per questo motivo bisogna agire sul settore manifatturiero, ci dicono dalla World Manufacturing Foundation, ovvero il settore più affamato di risorse e materie prime.
Se il contributo dell’economia circolare finora si è concentrato sulla transizione energetica che può ridurre il 55% dei gas serra, è arrivato il momento di puntare sul restante 45% causato dalla produzione e dagli stili di vita
È una risoluzione comune anche all’UNIDO (United Nations Industrial Development Organization) che, durante le consultazioni del 2020 con diversi paesi del mondo, ha elaborato come obiettivo primario quello di ottimizzare l’uso delle risorse: se il contributo dell’economia circolare finora si è concentrato sulla transizione energetica che può ridurre il 55% dei gas serra, è arrivato il momento di puntare sul restante 45% causato dalla produzione e dagli stili di vita.
È questa l’applicazione dell’economia a ciclo chiuso che dobbiamo ricercare con azioni politiche, istituzionali e di comunità secondo lo studio della Fondazione: stabilire quadri normativi adeguati per consentire alle imprese di intraprendere la transizione, definire la responsabilità obbligatoria del produttore, aumentare il senso di responsabilità aziendale relativo all’inquinamento, costruire modelli economici circolari integrati con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, definire indicatori standardizzati dell’economia circolare per monitorare i miglioramenti a livello regionale, nazionale e internazionale.
Quest’ultimo punto è particolarmente sentito: ad oggi – riferisce lo studio – “non esiste una definizione precisa, completa e universalmente accettata dell’economia circolare, con molti paesi che utilizzano le proprie interpretazioni o concetti sviluppati da organizzazioni competenti, spesso diversi l’uno dall’altro. Ciò può potenzialmente influire su un’azione internazionale coerente, sull’applicazione coerente di linee guida e politiche e sulle sinergie tra le azioni dei diversi stakeholder”.
I fattori del cambiamento a tutti i livelli
Secondo i risultati dell’OECD Survey on the Circular Economy in Cities and Regions, i principali driver per la transizione verso un’economia circolare sono ambientali (cambiamento climatico, 73%), istituzionali (agende globali, 52%) e socio-economici (cambiamento delle condizioni economiche, 51%). Una percentuale importante è rappresentata dalla creazione di posti di lavoro (47%), dalle iniziative del settore privato (46%), dai nuovi modelli di business (43%), dagli sviluppi tecnici (43%) e dai settori di ricerca e sviluppo (41%).
Una transizione di successo all’economia circolare dipende in gran parte dai consumatori, poiché sono loro a richiedere un cambiamento sostenibile e, a loro volta, a creare opportunità di business
Una transizione di successo all’economia circolare dipende in gran parte dai consumatori, poiché sono loro a richiedere un cambiamento sostenibile e, a loro volta, a creare opportunità di business. In pochi fanno questo passo da soli, per questo sono necessarie nuove iniziative per aiutarli, iniziative che hanno a che fare con la trasparenza della filiera produttiva e che devono partire dall’industria e in modo coordinato in tutti i paesi.
Nel 2020 la Commissione Europea ha firmato il Circular Economy Action Plan, promuovendo la riprogettazione di prodotti che consenta la rigenerazione delle risorse, l’introduzione di processi circolari supportati dalle tecnologie e il coinvolgimento dei consumatori finali. Negli Stati Uniti, l’EPA (Agenzia per la protezione dell’ambiente) e il Dipartimento dell’energia (DoE) stanno promuovendo in modo olistico le iniziative di sostenibilità nel settore manifatturiero e chiedono una maggiore efficienza operativa riducendo i costi e gli sprechi. Tutte queste iniziative emergenti evidenziano la necessità diffusa a livello globale di essere supportate dai governi per perseguire una transizione completa.
Il report ci aggiorna sugli effetti della pandemia sull’economia mondiale e sulla necessità di ripensare la produzione in base ai fatti recenti: “la pandemia di COVID-19 ha messo in luce le vulnerabilità dei modelli di produzione che si basano sulla disponibilità continua di risorse naturali economiche e illimitate e ha rinnovato l’interesse dei governi per l’economia circolare come strategia per fornire una ripresa duratura e resiliente”.
Secondo la World Manufacturing Foundation, in definitiva, i fattori che permetteranno la transizione sono: in primis la consapevolezza ambientale, una conoscenza approfondita di tutti sui temi della sostenibilità e dell’uso delle risorse. Secondo un sondaggio di Boston Consulting Group sulla consapevolezza delle questioni ambientali dopo la pandemia, l’87% degli intervistati ha affermato che “le aziende dovrebbero integrare le preoccupazioni ambientali nei loro prodotti, servizi e operazioni in misura maggiore rispetto al passato“. Questa tendenza è particolarmente forte tra i giovani, con importanti implicazioni demografiche per governi e aziende. Seguono trasparenza e fiducia, raggiungibili grazie al tracciamento dei prodotti e a una “filiera di vetro” certificata tramite le tecnologie blockchain, unite alla convenienza, se non in termini di prezzi, certamente in termini di qualità: da uno studio IBM sappiamo che oltre il 70% del campione intervistato pagherebbe il 35% in più, in media, per marchi sostenibili e rispettosi dell’ambiente.
Naturalmente sia da parte dei consumatori che delle aziende, ci dice lo studio in questione, risulta fondamentale come driver per una rivoluzione circolare, l’alfabetizzazione digitale, la capacità di riconoscere e usare al meglio le tecnologie che consentono di risparmiare risorse. Queste, insieme alle competenze necessarie per utilizzarle al meglio dovrebbero essere accessibili a tutti tramite investimenti che nelle imprese si devono poi tradurre in innovazione.
Sfide tecniche e soluzioni digitali
Di contro, l’ultimo Circularity Gap Report di Circle Economy mostra che, di fronte alla duplice sfida dell’aumento delle emissioni di CO2 e dell’aumento dell’estrazione di risorse, l’economia globale è circolare solo per l’8,6%. Dei 90 miliardi di tonnellate di materie prime che vengono estratte e utilizzate a livello globale ogni anno, solo il 9% viene riciclato. Secondo le interviste OCSE, non sono le sfide tecniche a spaventare i governi, ma barriere culturali, quadri normativi inadeguati e mancanza di risorse finanziarie.
L’economia globale è circolare solo per l’8,6%. Dei 90 miliardi di tonnellate di materie prime che vengono estratte e utilizzate a livello globale ogni anno, solo il 9% viene riciclato
I produttori hanno un ruolo speciale nella transizione circolare, dal momento che possono decidere sulla progettazione e sul design del prodotto, hanno visione e controllo della supply chain ed è demandato a loro la costruzione della catena inversa, quella di recupero e riciclo dei materiali. Per questo è opportuno riconoscere alcune delle sfide con cui si dovranno confrontare, ad esempio problemi di qualità nei materiali riciclati, complessità della catena di fornitura, problemi di coordinamento tra le aziende e di conseguenza la condivisione trasparente ma protetta dei dati come importante fattore di collaborazione tra le parti interessate.
È qui che entrano in gioco le tecnologie digitali che oltre al monitoraggio dei processi produttivi tramite intelligenza artificiale, sensori IoT, algoritmi previsionali sul funzionamento delle attività e delle quantità prodotte, in prima linea contro gli sprechi, permette di risolvere il grande ostacolo di cui soffre la transizione all’economia circolare: la standardizzazione di determinati requisiti da applicare ai processi sostenibili nella filiera produttiva.
Una produzione completamente digitale può promuovere lo standard comune del Life Cycle Assessment (Analisi del ciclo di vita del prodotto) ma anche l’interoperabilità, la condivisione dei dati e i trasferimenti di tecnologia, che sono essenziali per favorire l’adozione dell’IA e consentire l’emergere di nuove applicazioni.
Secondo l’ultima indagine della World Manufacturing Foundation più del 30% delle aziende intervistate usa attualmente la capacità di analisi degli algoritmi (predittivi e prescrittivi), insieme alla stampa 3D e l’Internet of Things, mentre solo il 26% si serve di sistemi di machine learning e il 19% dell’intelligenza artificiale. Ancora ai margini sono i sistemi decentralizzati di blockchain, utilizzati solo dall’8% del campione.
Le applicazioni del digitale alla produzione possono facilitare il cambiamento limitando gli ostacoli e favorendo l’innovazione sostenibile nei processi produttivi non solo nel design dei prodotti, ad esempio progettando oggetti facilmente disassemblabili e componenti a obsolescenza ridotta ma anche nei modelli di business circolari e nell’economia di sharing, potendo utilizzare strumenti predittivi per i consumi e per gli inventari e gestire infine tutta un’infrastruttura con requisiti comuni e tracciabilità che programmi una logistica inversa fatta di riciclo, riuso ed efficienza dei materiali.
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