Come co-costruire il futuro della Terra

Siamo in un'era della collaborazione, in cui le organizzazioni si apriranno sempre più a formare comunità per reciproci vantaggi, sviluppando ecosistemi che diano opportunità di crescita collettiva. È in quest'ottica collaborativa che è possibile co-costruire il futuro della Terra

Immagine distribuita da Pixabay

Come ampiamente detto, gli ultimi anni hanno visto il susseguirsi di cambiamenti radicali che hanno portato alla progressiva rimodulazione delle strutture delle organizzazioni aziendali, all’interno delle quali nuovi sistemi moderni come la collaborazione ed il networking stanno definitivamente sostituendo le forme arcaiche di gerarchia e burocrazia. Strutture organizzative che tendono ad essere dinamiche, liquide, modulari e ad approcciare ad una leadership collaborativa sia per meglio rispondere alla complessità del cambiamento, sia per generare nuovi profili che le compongono, con skills, come abbiamo visto nel precedente capitolo, finalizzate sempre più alla realizzazione di un progetto, piuttosto che ad una vision a lungo termine. Abbiamo assistito alla trasformazione del vecchio posto di lavoro, alla riformulazione dei contratti, al modellamento della società in comunità, ad un diverso approccio all’apprendimento dove ciò che conta è il know how, l’esperienza, la conoscenza dei singoli all’interno dei team. In questa era della collaborazione le organizzazioni si apriranno sempre di più a formare delle comunità per tendere ad un reciproco vantaggio, mantenendo la propria identità. Si genereranno dunque nuovi ecosistemi in cui i collaboratori, i fornitori e i clienti si troveranno a collaborare, a cocreare e ad evidenziare eventuali criticità, dando vita a nuove opportunità di crescita collettive.

A ben vedere, a rimodellarsi non è soltanto l’organizzazione in sé, ma proprio il suo interno dove si evidenzia una marcata differenziazione tra le stesse aree di appartenenza. Ad esempio un cambiamento proprio dell’era digitale è la diversificazione della classe operaia. Le condizioni di lavoro non sono più omogenee ma si diversificano a seconda del ruolo: al top l’aristocrazia della fabbrica digitale, nel mezzo le tute blu dei reparti fordisti insieme con le cassiere del supermercato e al terzo posto gli addetti della logistica e le badanti, in gran parte stranieri.

I dipendenti entrati nella nuova dimensione professionale, la vetta della classe operaia, “sono figure tenute in palmo di mano dai datori di lavoro perché, oltre a interagire con sistemi tecnologici complessi, hanno fatto proprio un concetto di responsabilizzazione” dice lo studioso Luciano Pero. “Quando succede qualcosa questi operai non parlano con il loro capo ma interrogano il sistema e la soluzione che viene fuori fa scuola”. Aggiunge il sociologo Daniele Marini: “quando un imprenditore innova sospinge verso l’alto tutte le professionalità della sua fabbrica. Cambia lo spartito e i codici di comportamento e si crea potenzialmente una chance di mobilità professionale”.

Tentativi italiani in questa direzione ci sono sicuramente, ma timidi e troppo poco numerosi rispetto alla dimensione del Paese. Esempi da poter visitare, dai quali poter prendere spunto, sono l’innovation district Kilometro Rosso, vicino Milano, H-Farm di Treviso o Dallara Academy, che ha visto la costituzione di una motor valley per supportare la formazione di figure professionali nell’ingegneria meccanica attraverso l’istituzione di master e lauree specialistiche. Esempi buoni, che dimostrano come le eccellenti capacità imprenditoriali italiane possano dare vita a ecosistemi locali e a un indotto della conoscenza che portino benefici sui territori. Si dovrebbe puntare sui parchi tecnologici, rafforzare la formazione che abbiamo invece tagliato con grande danno per le imprese, e puntare sulla creatività e la conoscenza.

E come ci dice Vandana Shiva sulle pagine de La Repubblica anche «le economie di Madre Terra si basano sulla co-creatività e sulla co-produzione, nel rispetto dei diritti e dell’integrità di tutti, nella cura del prossimo. In questo senso, nella prospettiva della democrazia della Terra l’economia è un sottoinsieme dell’ecologia». E ancora: «Abbiamo bisogno di democrazia. Abbiamo bisogno di una vera e propria democrazia di Madre Terra. La democrazia della Terra è una visione del mondo, un paradigma. Una rivoluzione. È un insieme di pratiche basate sul reciproco riconoscimento. La democrazia della Terra riconosce non solo che gli esseri umani sono esseri interconnessi, ma che tutte le forme di vita hanno diritto di accedere ai doni della Terra. Tutti i problemi di natura ecologica hanno radici nella negazione che la Terra sia un sistema vivente. Una negazione che ha dato forma a economie predatorie. Madre Terra, però, chiede un cambio di paradigma: passare dall’avidità alla cura».

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Roberto Panzarani è docente di Innovation Management. Studioso delle problematiche relative al capitale intellettuale in contesti ad elevata innovazione e autore di svariate pubblicazioni. Da molti anni opera nella formazione in Italia. Esperto di Business Innovation, attualmente si occupa dello sviluppo di programmi di innovazione manageriale per il top management delle principali aziende e istituzioni italiane e internazionali. Viaggia continuamente per il mondo, accompagnando le aziende italiane nei principali luoghi dell’innovazione dalla Silicon alla Bangalore Valley, all’Electronic City di Tel Aviv, ai paesi emergenti del Bric e del Civets. L’intento è quello di facilitare cambiamenti interni alle aziende stesse e di creare per loro occasioni di Business nel “nuovo mondo”. L’ultimo suo libro è “Viaggio nell'innovazione. Dentro gli ecosistemi del cambiamento globale”, Guerini e Associati, 2019.

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