Il 24 novembre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un report su come prevenire la violenza online sui bambini. All’inizio del documento, una frase ricorda perché a volte bisogna parlare anche di insostenibilità, come nel caso di una tematica come quella della violenza sui minori, soprattutto in relazione agli effetti che essa è in grado di generare:
“La violenza è uno dei maggiori driver della cattiva salute in tutto il mondo, sia direttamente tramite le lesioni fisiche e psicologiche che provoca, sia indirettamente attraverso il suo impatto sulle famiglie, sulle comunità e sulla società”.
Un tema, questo, rispetto al quale il digitale ha un duplice ruolo. Infatti, se per parlare di trasformazione digitale sembra essere necessario partire dall’assunto per cui le tecnologie hanno migliorato le condizioni dell’uomo, non bisogna dimenticare tutti gli elementi critici da considerare. La rete è viva, e ciò che succede in rete modifica la rete stessa e – come riporta l’OMS –: “negli ultimi anni, a seguito del cambiamento tecnologico, la violenza contro i bambini ha assunto nuove forme e si è evoluta in modi che devono essere attentamente monitorati e affrontati rapidamente. Queste forme includono nuovi ambienti per lo sfruttamento sessuale e veicoli per l’aggressività e l’abuso interpersonale”.
What works to prevent online violence against children? Illustra alcuni dati: “Una meta-analisi di nove studi sulla prevalenza della sollecitazione sessuale online indesiderata ha trovato un tasso medio di prevalenza dell’11,5%. Uno studio che ha limitato il conteggio alle sollecitazioni aggressive o angoscianti ha stimato il tasso dell’ultimo anno tra un campione nazionale dagli Stati Uniti di bambini dai 10 ai 17 anni del 3% per le sollecitazioni aggressive e del 2% per le sollecitazioni angoscianti”. O ancora: nel 2021, circa 29 milioni di immagini riguardanti lo sfruttamento sessuale dei minori sono state identificate dai fornitori di servizi elettronici; mentre un’altra meta-analisi di studi internazionali ha affermato che l’8% degli adolescenti ha visto inoltrata senza consenso un’immagine sessualmente esplicita che ritraeva il loro corpo.
“La violenza contro i bambini è una forma particolarmente tossica di violenza a causa della sua capacità di interrompere il normale sviluppo e di portare a una vita di scarsa salute fisica e mentale. Le risorse di sanità pubblica possono essere utilizzate efficacemente per prevenire la violenza contro i bambini fornendo assistenza diretta in quattro aree chiave: sostegno alla raccolta di dati sulla violenza contro i bambini; ricerca sui fattori che possono aumentare o diminuire la violenza; la progettazione, l’attuazione e la valutazione degli interventi; e l’aumento degli interventi di successo e la prova del rapporto costo-efficacia del programma”.
Tra le altre cose, il documento dell’OMS analizza i programmi di prevenzione attuali e quanto impatti l’educazione digitale, la prevenzione sui minori. I programmi educativi hanno un forte potenziale, ed emerge come “l’educazione alla prevenzione per i bambini può funzionare, e che questa è una strategia chiave per affrontare la VAC online (Violence Against Children)”. In questo contesto si inserisce anche la sostenibilità digitale. Sono stati creati numerosi programmi di protezione dei bambini che hanno al centro il digitale. La tecnologia può compensare i rischi del virtuale dentro il reale e viceversa, creando ambienti più sicuri attraverso la “sicurezza per progettazione”:
“Questo termine si riferisce agli sforzi per costruire piattaforme utente e ambienti tecnologici che siano intrinsecamente più sicuri per i bambini, isolando i pericoli. Il concetto è ancora in fase di sviluppo, ma trae ispirazione da altri ambienti ingegnerizzati come automobili o luoghi di lavoro e dai loro elementi di sicurezza”.
Alcuni esempi sono intrinsechi alle piattaforme. Queste ultime possono implementare elementi di sicurezza in grado di escludere automaticamente determinati tipi di contenuti (basti pensare al parental control sullo smartphone) o di categorie di utenti – come adulti e/o estranei. Dal momento in cui spesso non è possibile impedire a minorenni di iscriversi ad un social network – basta mentire sulla propria età al momento della registrazione – stanno emergendo sforzi da parte delle aziende tecnologiche per creare piattaforme più sicure: “questi includono la limitazione della capacità degli utenti di cercare materiali per abusi sessuali su minori; pubblicare avvertimenti ai ricercatori sui contenuti illegali e sforzi per accedervi; facilitare e informare gli utenti su come fare segnalazioni; sistemi di intelligenza artificiale proattivi che cercano di interrompere il grooming e la diffusione di nuovi contenuti pericolosi”. Però, tecniche come il leetspeak – utilizzo di numeri al posto delle lettere per evitare la censura di una frase – consentono di aggirare gli algoritmi. Un’analisi di Newsguard di qualche giorno fa ha messo in luce come su TikTok circolino centinaia di video (visualizzati più di un miliardo di volte) che inneggiano alla violenza, promuovendo i mercenari della Wagner, nonostante le regole della piattaforma vietino i contenuti violenti. Il documento dell’OMS, però, sostiene che i messaggi di avvertimenti sono lo strumento migliore per evitare che i bambini entrino in contatto con immagini, video violenti o sessualmente espliciti o altre forme di violenze. Tra i contro però vi è il fatto che “gli utenti possono abituarsi e poi ignorare i messaggi di avviso di routine. Gli utenti possono anche essere frustrati da barriere e interruzioni per un facile accesso, spingendo molti a disattivare le opzioni di controllo. L’obiettivo è identificare le situazioni problematiche e interporre con precisione deterrenti e blocchi mirati”.
Ecco perché gli sforzi di prevenzione della violenza online si concentrano maggiormente sull’istruzione e l’informazione ai bambini e ai genitori. E simili iniziative sono state portate avanti anche nel contesto italiano. Come dichiara Alberto Marinelli – Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale (CoRiS) all’Università La Sapienza di Roma, nonché professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi:
“Molte iniziative sono state portate avanti nelle scuole italiane ad ampio spettro: dalla prevenzione del cyberbullismo fino alle tecniche di apprendimento del coding. Come spesso accade in Italia, purtroppo, la risposta dei singoli istituti scolastici non è omogenea sul territorio e non sappiamo bene chi è stato raggiunto e con quale livello di profondità. Si deve operare una verifica in tal senso e – se necessario – intervenire in supplenza rispetto alle istituzioni inadempienti. Dal punto di vista delle priorità penso sia indispensabile operare un’azione sistematica di acquisizione di competenze rispetto all’ecosistema delle piattaforme digitali all’interno delle quali viviamo. Questo investimento porta solo vantaggi rispetto alla gestione del profilo di privacy individuale – con una ricaduta sulla prevenzione dei rischi legati a cyberbullismo e cyberstalking – ma favorisce un comportamento consapevole rispetto a molti aspetti della vita in cui sono coinvolte attività che comportano cessione dei dati e profilazione (sanità, stili di consumo, accesso alle news, ecc.)”.
Come si legge anche nel report, inoltre, “è stato ampiamente dimostrato che i programmi educativi aumentano la sicurezza e la salute in generale” e che “hanno successo nel prevenire la violenza contro i bambini in generale e sono efficaci nel prevenire una forma di VAC online: il cyberbullismo (sia vittimizzazione che perpetrazione). La prevenzione del cyberbullismo funziona: ci sono una grande quantità di prove che dimostrano che i programmi educativi per bambini possono ridurre il cyberbullismo – una delle forme più diffuse di VAC online. Il cyberbullismo può essere ridotto sia dai tradizionali programmi di prevenzione del bullismo che da programmi specificamente mirati al cyberbullismo”.
Rispetto a questo fenomeno in particolare, Marinelli aggiunge la necessità di coinvolgere nelle azioni di formazione anche le famiglie, in quanto: “si è vittima del branco (o si partecipa al branco) anche perché si sperimenta una condizione di solitudine, di impotenza e di assenza di dialogo. Evitare che le ragazze e i ragazzi si sentano soli, soprattutto nelle fasi in cui acquisiscono consapevolezza dell’esperienza che stanno vivendo, dipende dalla capacità di ascolto e dall’attivazione rapida di un network che in modo professionale possa fornire supporto e indicazioni pratiche. Questo è possibile solo se le famiglie sono coinvolte (e formate) e dialogano costantemente con le scuole e le altre istituzioni che si occupano di prevenzione del rischio”.
Esistono anche altri approcci di educazione alla prevenzione che necessitano di essere oggetto di studi scientifici, come i programmi online-only. Tra questi si possono citare Friendly ATTAC (Adaptive Technological Tools Against Cyberbullying) o KiVa: ambienti digitali dove giochi o app educative contribuiscono a ridurre il bullismo e il cyber-bullismo; anche se “alcuni dei risultati della revisione e della letteratura più ampia suggeriscono che possono essere meno efficaci perché non influenzano in modo così affidabile l’ambiente dell’intera scuola, compresi insegnanti e coetanei”.
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