Un mix di competenze per la Sostenibilità Digitale: intervista a Giuseppe Borruso

Servono competenze di diversa natura, non solamente digitali, per indirizzare il cambiamento nella giusta direzione: quella della Sostenibilità Digitale. Ne ha parlato Giuseppe Borruso, Professore Associato di Geografia Economico-Politica all’Università degli Studi di Trieste, nel nuovo appuntamento con University 4 Digital Sustainability

È Giuseppe Borruso il nono ospite di University 4 Digital Sustainability. Professore Associato di Geografia Economico-Politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche “Bruno De Finetti” dell’Università degli Studi di Trieste, dove tiene gli insegnamenti di Economic Geography, Sistemi Informativi Geografici e di Geografia delle Reti. Si occupa, inoltre, di geografia urbana e dei trasporti, con particolare riferimento alle Smart Cities e alle relazioni città-porto, e dell’impatto delle nuove tecnologie sulla società e sull’economia.

Sostenibilità, un tema centrale nelle università

Le università italiane hanno oramai ben chiara l’importanza di affrontare il tema della sostenibilità, che ha assunto oggi un ruolo di primaria importanza in tutte le loro attività. Un pensiero, questo, emerso spesso nei contributi di questa rubrica, e sul quale si allinea anche Giuseppe Borruso: “è un tema oramai ampiamente diffuso e parte integrante della nostra vita accademica, sia per quanto riguarda le attività di ricerca, sia per ciò che riguarda le attività didattiche. Per fare un esempio, nei programmi dei nostri corsi e dei nostri insegnamenti siamo tenuti a specificare, tra le varie caratteristiche, anche quali sono i Sustainable Development Goals (SDGs) che saranno affrontati, o che sono pertinenti a quella data materia. Per cui ritengo che certamente nella realtà in cui sono inserito, ma anche in generale, questo sia un argomento ormai trasversale e fondante.

Sicuramente negli ultimi anni la sensibilità verso la sostenibilità è aumentata moltissimo, e non soltanto rispetto alla sua dimensione ambientale. Chiaramente quest’ultima è quella che è forse più mediatica, e che ha una presa diretta sulle persone. Tuttavia, nell’ambito della formazione e della ricerca, è ben chiaro che la sola componente ambientale, seppur rilevante, non è sufficiente: questa, infatti, deve essere affrontata in un contesto in cui vengono pesate adeguatamente anche le altre, a partire da quelle sociale ed economica. In questo percorso, però, vedo ancora indietro proprio la dimensione della sostenibilità digitale, sulla quale credo ci sia ancora molto da lavorare”.

Sfruttare il potenziale trasformativo del digitale

Le relazioni esistenti tra le tematiche della sostenibilità e la trasformazione digitale, dunque, non sembrano ancora adeguatamente riconosciute, e ciò sembra dipendere anche da un passato nel quale il ruolo del digitale stesso non era sufficientemente considerato.

Oggi, però, la situazione è cambiata. Gli eventi degli ultimi anni, che hanno riguardato le università e non solo, hanno infatti portato – in primis per necessità – a una maggiore attenzione rispetto al tema del digitale. In altre parole hanno contribuito ad aprire una strada, nelle difficoltà, a nuove opportunità: ed è da qui che bisogna però lavorare, per sfruttare il reale e pieno potenziale che i nuovi strumenti mettono a disposizione. “Come tutti, anche le università hanno avuto, nel 2020, con l’avvento della pandemia, un passaggio ‘forzato’ al digitale, e nel giro di poche settimane hanno dovuto traslare tutte le proprie attività in questo mondo”, racconta Giuseppe Borruso. “E questo è stato sicuramente un evento che ha costretto a fare i conti con l’importanza del digitale, con le sue luci e le sue ombre nello svolgere determinate funzioni. Mentre sulle attività di ricerca questo aveva già un ruolo importante, con l’abitudine già precedente di portare avanti collaborazioni con colleghi da remoto da altre parti d’Italia e del mondo, in questo periodo ci si è resi conto che certe attività didattiche non solo erano fattibili anche digitalmente, ma anche che il digitale poteva essere utilizzato come moltiplicatore di efficacia.

Nonostante ciò, credo che proprio nel campo didattico e delle procedure ci sia ancora parecchio da fare. Il principale aspetto critico che noto, infatti, è che al di là di alcune eccezioni, finora il ruolo del digitale è stato inquadrato molto spesso nella trasformazione in digitale delle procedure esistenti in presenza. Questo è un errore: bisognerebbe cavalcare il cambiamento, e sfruttare tutte le caratteristiche di questo strumento per cambiare direttamente il paradigma di queste attività”.

Serve un mix di competenze

Per raggiungere questo scopo, secondo Giuseppe Borruso, serve acquisire una nuova visione, per la quale il possesso delle sole competenze digitali è una condizione necessaria ma non sufficiente. “È chiaro, possedere adeguate competenze digitali è fondamentale, e lo vediamo nella differenza tra i giovani di oggi e le precedenti generazioni: mentre nei decenni passati c’era un livello maggiore di attenzione e di approfondimento degli aspetti digitali, oggi i giovani danno molto per scontata la presenza del digitale, e lo riducono spesso all’utilizzo dei dispositivi mobili o dei vari strumenti di comunicazione. Ciò dipende anche dal fatto che i programmi scolastici, pur trattando questo argomento, lo fanno spesso dando per scontato che i ragazzi, i cosiddetti nativi digitali, sappiano già cosa sia realmente il digitale. Per questo credo sia molto importante, a partire dalle scuole, aumentare il livello di alfabetizzazione digitale e la consapevolezza di ciò che si può fare e di ciò che comporta l’uso del digitale, magari trovando le modalità con cui adattare al meglio questi concetti ai diversi uditori e alle diverse classi d’età.

Allo stesso tempo, però, occorre sviluppare competenze di diversa natura, attinenti ad altri ambiti anche apparentemente distanti, perché sono queste che consentono di acquisire la capacità di pensare in modo alternativo l’utilizzo del digitale. È chiaro che questo rende le competenze da sviluppare in funzione della sostenibilità digitale un obiettivo complesso, perché le offerte formative attuali hanno inevitabilmente delle ‘gabbie’, non necessariamente intese in senso negativo: ma avere a disposizione anche dei percorsi più ampi, che abilitino il possesso di diverse competenze che tengano conto di questi aspetti, è secondo me molto importante”.

In altre parole, in questo contesto in trasformazione, è necessario possedere un mix di competenze, che si affianchino e integrino a quelle digitali. Ciò nella consapevolezza che, come detto, la transizione digitale non è semplicemente una trasformazione dell’esistente in formato digitale, e che la possibilità di sfruttarne il potenziale nell’ottica della sostenibilità richiede di comprendere tutti gli effetti che l’uso dei nuovi strumenti può generare. “Questa visione complessiva è fondamentale, ad esempio, se si guarda al ruolo del digitale nel rispondere alle sfide attuali della sostenibilità ambientale”, sottolinea Borruso, “Da un lato bisogna capire quali possano essere le tecnologie in grado di abilitare una migliore salvaguardia dell’ambiente, in termini di monitoraggio degli sprechi e dei consumi, e di ottimizzazione nell’uso delle risorse. Dall’altra occorre essere consapevoli che anche il digitale ha un impatto ambientale non indifferente, che deve essere gestito per massimizzare il suo potenziale positivo per l’ambiente stesso”.

Per una trasformazione digitale sostenibile e inclusiva

Pensare l’uso del digitale in modo diverso, e guardare al suo impatto complessivo nella direzione delle sempre più urgenti sfide della sostenibilità: sono questi gli obiettivi da raggiungere per consentire lo sviluppo della Sostenibilità Digitale. “Obiettivi che, nelle università, possono essere raggiunti procedendo per gradi”, evidenzia Giuseppe Borruso: “anzitutto, bisognerebbe aumentare le occasioni come incontri, seminari, attività collaterali a quelle accademiche tradizionali, per avvicinare gli studenti a queste tematiche, e questo può essere fatto a partire da subito. E poi, a seguire, bisognerebbe cominciare ad inserire questi argomenti all’interno dei singoli insegnamenti, oltre che iniziare a proporre degli insegnamenti ad hoc su queste tematiche. Sono queste le prime strade immediatamente percorribili dalle università, su cui, di fatto, si sta già lavorando”.

Ma guardare alla trasformazione digitale da una diversa prospettiva, da quella della sostenibilità digitale, significa anche comprendere come indirizzarla affinché sia inclusiva, e che non lasci indietro nessuno. Perché l’impatto sociale del cambiamento non è trascurabile, e ciò richiede, come sottolineato in conclusione da Giuseppe Borruso, un grande impegno anche da parte delle Istituzioni. “Il digitale ha un impatto positivo quando il suo utilizzo è pensato per risolvere dei problemi, e non per copiare digitalmente delle procedure svolte nel mondo fisico. In questo senso, sebbene la Pubblica Amministrazione abbia fatto un grande sforzo di digitalizzazione, molto spesso il timore è che i risultati di tale sforzo non siano molto inclusivi: ci sono infatti delle procedure che, a volte, risultano difficili anche per coloro che hanno buone competenze digitali. Per questo credo che lo sforzo successivo che dovrebbero fare sia quello di abilitare delle nuove modalità di accesso a determinati servizi, che siano pensati in modo più facile e più agile soprattutto verso le fasce più deboli della popolazione, come le persone anziane o coloro che non hanno avuto la possibilità di avere un’istruzione adeguata. Insomma, bisognerebbe impostare alcune procedure in modo che siano più semplici. E questo non vuol dire non utilizzare il digitale, ma spingerlo ancora di più.

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