Gli italiani tra e-commerce e sostenibilità: la ricerca della Fondazione per la Sostenibilità Digitale

Si è svolto, ieri pomeriggio, il Sustainable Commerce Digital Summit: il racconto del webinar di presentazione della nuova ricerca realizzata dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale, con i commenti degli esperti intervenuti

Il processo d’acquisto è cambiato profondamente e oramai, come molti altri ambiti della nostra vita quotidiana, è fortemente mediato dalle tecnologie e dalle piattaforme digitali. La crescita del commercio elettronico – senz’altro il tema del momento nel comparto – ne è una chiara dimostrazione: “L’e-commerce è entrato a pieno titolo nelle abitudini di acquisto degli italiani. Nel 2023 gli acquisti online B2C cresceranno del 13% e raggiungeranno il valore di 54 miliardi di euro. La penetrazione dell’online sul totale acquisti Retail è del 12%, stabile rispetto al 2022”, ha spiegato Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale.

Ed è proprio alla luce di questo cambiamento che è oggi di fondamentale importanza comprendere quale sia l’impatto del commercio elettronico e degli altri strumenti che la trasformazione digitale mette a disposizione in questo comparto non solo rispetto alle dinamiche del settore, ma anche rispetto ai temi della sostenibilità – ambientale, economica e sociale – che tali strumenti consentono di intercettare. E, ancor di più, capire quale sia il punto di vista dei cittadini sulle relazioni tra digitale e sostenibilità in questo campo, essendo loro i principali protagonisti della rivoluzione in atto nell’ambito del commercio. “Quello del Retail è uno dei comparti che dal digitale potrebbe ottenere i maggiori benefici”, ha continuato Stefano Epifani, “e proprio per tale ragione esaminare il punto di vista dei cittadini italiani su questi temi è di fondamentale importanza”.

È a questo obiettivo che risponde il nuovo Rapporto 2023 “Sustainable Commerce – gli italiani tra digitale e retail”, realizzato dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale nell’ambito del percorso di ricerca condotto attraverso il proprio Osservatorio sulla Sostenibilità Digitale e presentato, ieri pomeriggio, nel corso di un webinar condotto da Massimo Cerofolini, autore e conduttore Rai.

Il rapporto è basato sul DiSI City, l’indice – presentato ad aprile durante il Digital Sustainability Day – nato dalla partnership della Fondazione con l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” per misurare quanto il ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità sia percepito da parte dei cittadini delle 14 Città Metropolitane italiane: i risultati, presentati e commentati durante il webinar, hanno illustrato dunque il punto di vista e i comportamenti dei cittadini delle città metropolitane rispetto ai principali strumenti e servizi digitali disponibili in quest’ambito, e le loro opinioni rispetto al cambiamento in atto nel comparto.

Molti i temi affrontati a partire dai dati della ricerca, in un pomeriggio aperto da un Keynote speech di Giovanni Cara, Director Fashion&Retail Operation eXcellence di BIP, che ha spiegato perché il digitale possa rappresentare un potenziale abilitatore di sostenibilità nel contesto del Retail: “Il commercio, fisico e digitale, ha soprattutto la responsabilità di introdurre semplificazione. Le scelte dei consumatori risultano tanto più impulsive, e dunque non necessariamente sostenibili, quanto più complesso da comprendere è il processo informativo a cui vengono esposti durante l’acquisto. Per questo, il digitale ha le caratteristiche giuste per fare la differenza e generare un impatto positivo”.

Commercio elettronico: opportunità o minaccia?

I risultati mostrano come l’uso delle tecnologie digitali abbia migliorato l’esperienza d’acquisto per il 77% dei cittadini italiani che, però, hanno posizioni ambivalenti – o apparentemente tali – rispetto agli impatti di sostenibilità complessivi del cambiamento in atto nel settore. Ciò risulta evidente, anzitutto, guardando alle loro percezioni rispetto all’impatto ambientale del commercio elettronico: mentre infatti il 71% dei cittadini ritiene che sia in grado di generare un effetto positivo sull’ambiente consentendo di evitare gli spostamenti dei cittadini, allo stesso tempo il 64% degli stessi lo considera una minaccia, per via dell’aumento del numero di spedizioni e dunque di pacchi in circolazione. Inoltre, rimanendo in tema ambientale, circa un italiano su cinque (19%) non ritiene che le app o i siti che consentono di acquistare prodotti usati diminuiscano gli sprechi e favoriscano, quindi, lo sviluppo dell’economia circolare: un dato significativo, che mostra la necessità di lavorare alla costruzione di consapevolezza condivisa su questo tema. E ciò appare ancora più evidente in considerazione del fatto che, se a dichiararsi in disaccordo con l’affermazione è il 28% degli Insostenibili Analogici, tale percentuale scende all’11% tra i Sostenibili Digitali: i cittadini che sono più consapevoli del ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità.

Le risposte degli italiani appaiono ancora più contrastanti, anche se solo apparentemente ambivalenti, in merito all’impatto economico del commercio elettronico, in particolar modo in relazione alle piccole realtà. Da una parte, infatti, il 73% degli intervistati è convinto che sia destinato a distruggere i piccoli negozi; dall’altra, però, se messi di fronte a un ulteriore elemento – la capacità di adattamento al cambiamento dei piccoli esercizi – una percentuale pressoché analoga di cittadini (72%) sostiene che rappresenti un’opportunità per quei negozi che sapranno adeguarsi. In altri termini, risulta pervasiva la consapevolezza del fatto che, nonostante l’innovazione rappresenti un’opportunità, è di fondamentale importanza strutturarsi per coglierne i vantaggi.

Vantaggi che, come evidenziato dagli esperti intervenuti nel corso del webinar, derivano in primo luogo dalla oramai grande presenza online del consumatore: e se per qualsiasi azienda è fondamentale cogliere l’opportunità di interfacciarsi con esso in questo “mondo”, ciò è altrettanto vero per le più piccole realtà commerciali. “Un dato fondamentale da prendere in considerazione è che oggi, mediamente, il 70% dei consumatori ricerca informazioni sui prodotti online: ciò significa che al di là che l’acquisto venga fatto in negozio oppure online, quello del digitale è un mondo in cui bisogna essere presenti proprio per non perdere l’opportunità di parlare al consumatore”, ha sottolineato Lorenzo Savini Nicci, Head of E-Commerce di Manetti & Roberts. “In questo senso, se è vero che il digitale aumenta la competizione, sono convinto che rappresenti una grande opportunità: permette infatti ai punti vendita, soprattutto di piccole dimensioni, di parlare a sempre più persone, e di gestire un business in alcuni casi nettamente più grande”.

Bisogna dire, tuttavia, che utilizzare grandi piattaforme è complesso e costoso per i piccoli negozianti”, ha sottolineato Paola Pisano, Professoressa di Gestione dell’Innovazione all’Università di Torino ed ex Ministro dell’Innovazione, sollevando un tema di sostenibilità economica che, pur non potendo essere trascurato, vede oggi delle possibili soluzioni. “quello che stiamo osservando nel settore è però un aumento del numero di piattaforme: alle più grandi, come Amazon, se ne stanno aggiungendo di più piccole, più economiche e più semplici da utilizzare: i piccoli commercianti devono essere consapevoli dell’esistenza di queste alternative, che possono facilitare il loro ingresso nell’e-commerce. Bisogna però anche sottolineare che se è vero che oggi il consumatore compra molto online, ha bisogno di essere fidelizzato. Per questo i piccoli negozi dovrebbero puntare anche su servizi complementari all’e-commerce, che possono aiutarli a vendere meglio”.

Insomma, gli interventi che si sono susseguiti nella tavola rotonda sul tema hanno evidenziato l’importanza, per i piccoli negozi, di cavalcare l’onda del cambiamento, di comprenderne i vantaggi e di attrezzarsi al meglio per coglierli. E questo è un tema che, come sottolineato con forza da Luciano Gaiotti, Direttore Centrale Politiche e Servizi per il Sistema di Confcommercio, nell’ambito della trasformazione in atto nel settore non riguarda soltanto l’e-commerce. “Qui parliamo di e-commerce, ma credo sia un concetto oramai superato: bisogna parlare di digitale, in senso generale. Tutte le aziende, di qualunque dimensione e a prescindere dal settore in cui operano, devono oggi confrontarsi con un consumatore che cambia continuamente le proprie preferenze, le proprie aspettative, e devono cercare di soddisfarlo sia quando è in negozio, sia dopo. E questo rende evidente come non sia un tema soltanto di commercio elettronico, ma di digitale a tutto tondo. Sono quindi convinto che, guardando ai piccoli negozi, se non saranno in grado di innovare il proprio modello di business grazie al digitale saranno destinati alla chiusura: siamo in un mondo che evolve e, per sopravvivere, devono comprendere l’importanza di adottare la tecnologia. Ed è questo il lavoro che facciamo con il Digital Innovation Hub creato da Confcommercio: aiutare le aziende, prevalentemente quelle piccole, a confrontarsi con il digitale, cercando soprattutto di fargli comprendere che, se non fanno nulla, hanno una data di scadenza”.

Il portafoglio frena le scelte sostenibili negli acquisti?

Nelle scelte d’acquisto degli italiani c’è più attenzione alla sostenibilità sociale rispetto a quella ambientale. Il 75% di essi dichiara di essere disposto a spendere di più nel caso abbia la certezza che i lavoratori non sono sfruttati, e la percentuale scende al 64% nel caso ci sia garanzia del rispetto dell’ambiente.

Per quanto riguarda la disponibilità a una maggiore spesa per l’acquisto di prodotti sostenibili a livello ambientale, differenze si riscontrano in base all’età dei rispondenti: più virtuosi i giovani – spenderebbe di più l’88% dei cittadini tra i 16 e i 17 anni e il 70% tra i 18 e i 24 – meno i cittadini tra i 55 e i 64 anni (63%) e tra i 31 e i 44 anni (59%). Prevedibile, guardando ai cluster del DiSI, la maggiore disponibilità dichiarata dagli utenti “sostenibili” rispetto a quelli “insostenibili”. Anche nel caso della sostenibilità sociale, tra coloro che si dichiarano disposti a spendere di più, risulta significativa la distanza – di oltre venti punti percentuali – tra i cluster dei “sostenibili” rispetto a quelli degli “insostenibili”, così come si conferma la più elevata disponibilità da parte dei giovani – l’81% nella fascia d’età tra i 16 e i 24 anni.

La sostenibilità ha un prezzo. Per questo motivo, se il cambiamento deve partire dalla società, è fondamentale comprendere prima di tutto quale sia il ruolo della sostenibilità nelle intenzioni d’acquisto dei cittadini italiani”, ha commentato Stefano Epifani. “In tal senso, pur considerandola un elemento prioritario nei propri acquisti, una parte significativa della popolazione non è disposta a spendere di più per acquistare prodotti sostenibili. Questo è un dato estremamente significativo su cui pensiamo si debbano attivare le Istituzioni del nostro Paese. Bisognerebbe far meglio comprendere ai nostri concittadini che il prezzo della sostenibilità non risiede solo nel valore economico del singolo acquisto, ma, se proiettati nel medio e lungo termine, dai molteplici impatti che ogni scelta non lungimirante produce su ambiente, società ed economia”.

Allo stesso tempo, però, è proprio in questo campo che è imprescindibile riflettere su quale sia il ruolo potenzialmente decisivo dell’innovazione. “C’è spesso l’opinione condivisa che la sostenibilità costi troppo, e che quindi finché non saremo in grado di abbassare i costi gli interventi sulla cultura serviranno a poco: se un prodotto con un packaging perfettamente sostenibile costa anche un solo euro in più, è probabile che le persone continuino a comprare quello con un packaging normale”, ha spiegato Stefano Denicolai, Professore di Innovation Management all’Università di Pavia. “Ed è qui che entra in gioco l’innovazione legata alla sostenibilità: occorre infatti guardare oggi all’innovazione come lo strumento che sia in grado di abbattere il costo della sostenibilità, anche e in particolare in questo settore. Affinché nessuno debba più scegliere tra il portafoglio e la volontà di fare acquisti sostenibili”.

Retail e digitale: gli strumenti utilizzati dai cittadini italiani

Diffuso, tra i cittadini delle città metropolitane italiane, l’utilizzo di siti e applicazioni di commercio elettronico e di siti e app che forniscono servizi di supporto ai pagamenti elettronici – usati rispettivamente dal 63% e dal 56% degli intervistati. In entrambi i casi, i dati confermano la forte influenza delle competenze digitali sull’utilizzo di tali strumenti: basti pensare che, per le applicazioni di e-commerce, le percentuali d’uso passano dall’87% e 85% rispettivamente dei cluster dei Sostenibili Digitali e degli Insostenibili Digitali al 45% e 41% dei Sostenibili Analogici e degli Insostenibili Analogici – gli utenti che, per l’appunto, sanno meno di digitale. Una simile distanza può dipendere anche dalle caratteristiche di alcune piattaforme, che talvolta ne rendono difficile l’utilizzo per coloro che hanno meno familiarità con i nuovi strumenti. “Per rimanere sugli aspetti tecnici, un tema fondamentale è sicuramente quello dell’usabilità, ha spiegato Maurizio Pecori, Direttore Divisione Industry, Retail & Services di Engineering: “usabilità significa rendere il processo di navigazione, di interazione con l’applicazione, semplice, facile e intuitivo, in maniera tale che non ci sia bisogno di leggersi un ‘manuale’ ogni qual volta si vuole comprare un prodotto. E questa è chiaramente una caratteristica di cruciale importanza nel processo di acquisto online”.

Molto meno diffuso, invece, l’uso di strumenti che consentirebbero di intercettare i temi della sostenibilità. Oltre la metà degli italiani (52%) non usa infatti siti e app per la compravendita di prodotti usati, solo il 16% utilizza app che monitorano l’impatto ambientale dei prodotti del supermercato e, infine, a usare app che permettono di sapere se un prodotto rispetta ambiente e lavoratori e il 19% dei rispondenti. Significativo osservare come, sebbene tali strumenti siano utili alla sostenibilità, ad usarli sono anche in questo caso soprattutto gli utenti più “digitali” piuttosto che i più “sostenibili”: ciò significa che è il livello di digitalizzazione dei cittadini, più che il loro livello di sostenibilità, a guidare i comportamenti sostenibili attraverso l’uso del digitale.

Per ognuno degli strumenti esaminati sono significative le percentuali di cittadini che, pur conoscendoli, non ne fanno uso”, ha sottolineato Stefano Epifani, “e se questo può non essere un problema quando si tratta di sistemi di commercio elettronico in generale, più preoccupante è quando ciò avviene rispetto a strumenti pensati per la sostenibilità. E il fatto che molte persone che si dichiarano sostenibili, pur conoscendoli, non usino questo tipo di strumenti, ci dice che oggi la sostenibilità sposta ancora molto poco i comportamenti dei cittadini”.

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