Il futuro della mobilità nelle auto elettriche non è esente da problemi

Crediamo che l'auto elettrica sia necessaria per la riduzione di emissioni di gas, ma non sappiamo quanto in realtà possa essere inquinante

Immagine distribuita da Pixabay con licenza CCO

Nella lotta all’inquinamento atmosferico viviamo un paradosso di non poco conto. Da anni si dice che le automobili inquinano e che è necessario passare alle auto elettriche per ridurre l’emissione di gas. Ebbene, le auto elettriche sono i veicoli più inquinanti. A dimostrazione di questo Romeo Besgibassi nel suo articolo Perché l’auto elettrica è il veicolo più inquinante porta all’attenzione, calcoli alla mano, del valore notevole di consumo non solo relativo al veicolo ma anche per l’Italia che per sostenere il quantitativo di automobili elettriche previsto dovrebbe costruire decine di nuove centrali, perché quelle che ci sono, sono già impiegate per la totalità.

L’automobile elettrica necessita di una batteria molto potente che presuppone inquinamento, non solo nel momento dello smaltimento, ma anche nella sua realizzazione perché è costituita da minerali rari la cui estrazione è, appunto, fortemente inquinante. Già nel 2018 l’Agenzia Europea dell’Ambiente aveva dichiarato che «già adesso, nel suo intero ciclo di vita, un’auto elettrica media in Europa produce meno gas serra e inquinanti atmosferici di una corrispettiva auto a benzina o diesel».

Mettendo a confronto un’auto a benzina con un’auto ibrida e puntando al fatto che  l’energia prodotta sarà sempre più pulita grazie a tecnologie sempre più all’avanguardia, l’auto elettrica inquinerà meno di un’auto a benzina, ma questo non basta a convincere tutti, anche se sono state vendute quasi otto milioni di auto elettriche nel 2022 superando la soglia del 10% del totale globale.

Incredibilmente a restare indietro sono gli Stati Uniti mentre il mercato tedesco ha raggiunto il 25% della produzione.

Tra chi è a favore e chi no, c’è da sottolineare che fare scelte green può solo essere un valore aggiunto da cui farci guidare per salvaguardare il Pianeta che ci ospita. Alimentazione sana e a kilometro zero, moda ecosostenibile, auto elettriche, riuso degli oggetti, risparmio idrico, diminuire il monouso, sono solo alcuni degli accorgimenti che ognuno di noi può prendere per contribuire al grande piano di sostenibilità ambientale.

Nel frattempo, il “petrolio del futuro”, come dice Federico Rampini in un suo articolo per il corriere, è conteso da quattro continenti: la Cina che domina la produzione, l’America che vuole accordarsi con l’Australia, che, a sua volta, vuole divincolarsi dalla Cina che, nel frattempo cerca accordi con l’Africa e con l’America Latina e l’Europa che ancora sta ferma a guardare. La ricerca del litio è a tutti gli effetti una competizione globale con la notevole partecipazione dell’Australia, appunto, che possiede miniere di litio da cui si estrae il 53% del prodotto a livello mondiale, ma che viene venduto quasi tutto alla Cina. Ci sono anche miniere di litio in tre paesi africani (Mali, Nigeria, Zimbabwe) e in due paesi latinoamericani (Messico, Cile) ma gli accordi al momento non sono così semplici.

Il Cile detiene le maggiori riserve di litio al mondo ed è il secondo produttore mondiale. Il litio viene attualmente prodotto da miniere di roccia dura o di salamoia. L’Australia è il maggior fornitore mondiale, con una produzione da miniere di roccia dura, mentre Argentina, Cile e Cina lo producono principalmente da laghi salati.

La discussione è ancora aperta soprattutto sul tema degli approvvigionamenti del litio e sui processi di lavorazione, con implicazioni geopolitiche non indifferenti.

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