Intervista alla Professoressa Tiziana Catarci. Un dialogo tra ingegneria informatica e psicoanalisi

Interessante intervista alla Professoressa Tiziana Catarci, Direttrice del DIAG - Dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale Sapienza Università di Roma - che illustra le innumerevoli potenzialità del digitale unite ai non pochi rischi legati al suo uso incontrollato ma soprattutto inconsapevole

Da psichiatra poco avvezzo alle cifre, se non a quelle che servono ad indicare i codici della classificazione internazionale dei disturbi psichici (ad es, F20.0: schizofrenia paranoide), chiedo, un po’ imbarazzato, alla Prof.ssa Tiziana Catarci che mi ha gentilmente concesso quest’intervista, di illustrarmi le basi del digitale.

Le basi del digitale

Con elegante pazienza la professoressa mi ricorda che le radici di quest’ultimo affondano nell’architettura teorica di Von Neumann e dunque nel linguaggio universale 0/1, on/off, dei modelli discreti. Poiché però l’analogico usa invece la matematica del continuo, si è fin dall’inizio posto il problema del passaggio da una lingua all’altra, della traduzione per così dire dal digitale all’analogico e viceversa – fatico a non pensare a questo punto che un’altra traduzione è sempre in corso nella nostra mente, quella da inconscio a conscio, dal caos cioè delle nostre ambivalenti emozioni e complesse sensazioni all’univoca precisione della nostra razionalità, che assomiglia al digitale. Inizialmente, quando ancora si lavorava con le schede perforate – stiamo parlando di poche decine di anni fa ma sembrano ormai migliaia – erano gli operatori a dover apprendere la lingua del computer, che come una divinità inaccessibile, stava nei sancta sanctorum del laboratorio, cui avevano accesso solo i suoi sommi sacerdoti informatici. Con il passar del tempo, da quando cioè il digitale non è più solo un’innovazione tecnologica ma è diventato una caratteristica precipua della nostra società modificandone profondamente il carattere da un punto di vista anche economico, politico e sociale, l’interazione macchina/persona  si è risolta invece a favore dell’utente e della sua lingua. Con il PC l’intermediazione dei sommi sacerdoti informatici viene eliminata e sostituita da un’interazione diretta tra computer ed utente, al quale divengono possibili gradi sempre maggiori di manipolazione diretta del computer stesso. Con l’introduzione poi dei LLM, Large Language Model, il sistema parla la lingua dell’utente. Il ché è al tempo stesso uno straordinario vantaggio ma, mi fa gentilmente notare la professoressa, anche un pericolo perché, a maggior ragione ora con l’Intelligenza Artificiale, diviene sempre più labile il confine tra i due sistemi e le due lingue, quella digitale della macchina e quella analogica dell’uomo.

Labilità del confine uomo-macchina 

Di questo passo si rischia di dimenticare chi c’è al di là del confine. Si rischia cioè di immaginare, inconsciamente – aggiungo io – che chi ci risponde abbia le nostre stesse caratteristiche, di pensiero, affetti e comportamenti, cosa che ovviamente non è. Quel “si rischia” è intenzionalmente impersonale, perché a cadere nella trappola possono essere non sono solo le categorie a rischio quali  le “mentally disabled persons”  indicate dall’EU ARTIFICIAL INTELLIGENCE ACT  ma anche, mi fa notare la professoressa, tutte/i coloro che si accostano al digitale e in particolare all’IA, senza avere la  consapevolezza dei professionisti. Proprio per questo è così importante che tutte/i noi sviluppiamo una consapevolezza non solo dell’AI ma più in generale del digitale, laddove per consapevolezza non si intende – sottolinea la Professoressa Catarci – l’acquisizione delle abilità digitali, ma una capacità critica di approccio complessivo al digitale, che può essere favorita da una prospettiva interdisciplinare.

E qui, approfittando dell’interdisciplinarietà, mi permetto una digressione psicoanalitico-letteraria. Il giovane protagonista della novella di ETA Hoffmann L’uomo della sabbia (1816) – da cui Freud trarrà cent’anni dopo il famoso saggio psicoanalitico, Il perturbante – distraendo lo sguardo dai suoi testi di studio universitari, osserva dalla sua camera nella finestra di fronte una giovane donna che gli appare subito meravigliosa. Ne rimane sempre più affascinato e non perde l’occasione di invitarla a ballare quando il padre di quest’ultima, suo professore di fisica della locale Università, organizza una festa da ballo per presentarla in società. Il fascino si accresce nonostante o forse meglio a causa della passività della fanciulla che altro non dice che “sì” e “ah”. Nathaniel, così si chiama il giovane protagonista della novella, se ne innamora ma la sua passione e la sua mente vanno in frantumi quando dovrà constatare che Olimpia, la giovane fanciulla, è un automa. Noi ci troviamo tutti i giorni di fronte a questa situazione davanti ai nostri PC, smartphone e device di ogni tipo. Non so però se siamo sempre in grado di giungere all’amara constatazione di Nathaniel, se riusciamo a e vogliamo comprendere che Siri, Alexa e chissà quali altre meraviglie ancora, sempre automi sono, anche se infinitamente più abili di Olimpia. Automi tra l’altro che imitano la nostra lingua razionale ma non comprendono – almeno fino ad ora – quella dell’inconscio, che per il momento rimane solo nostra.

Le speranze del digitale

Ritorno al digitale ed alle speranze che vi sono collegate. La Professoressa Catarci mi illustra le straordinarie possibilità che il digitale già oggi offre e sempre più  offrirà in futuro, per cambiare in meglio la società, per sconfiggere le malattie, sempre più rapidamente e sempre più diffusamente, anche negli angoli più remoti del pianeta, consentendo ovunque operazioni a distanza, riabilitazione, raccolta ed elaborazione dei dati per una medicina sempre più personalizzata. Lo stesso può dirsi per la fame, che, grazie alle tecniche di miglioramento delle coltivazioni, di produzione in luoghi remoti, di risparmio dei mezzi e di evitamento degli sprechi, potrebbe essere davvero definitivamente sconfitta. Per non parlare della possibilità di portare una risorsa come l’acqua a disposizione di tutti/e nonché di porre freno, purché vi sia la volontà politica di farlo, al cambiamento climatico e di invertire anzi la rotta in modo da realizzare davvero gli scopi dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite. La sostenibilità infatti non può che essere intesa a tutto tondo, non solo ambientale ma anche economica e sociale.

I rischi del digitale

Non mancano peraltro i rischi del digitale, osserva la Professoressa: quelli ambientali, derivanti dall’enorme consumo di energia che i super-calcolatori portano con sé ma anche dall’aumentato sfruttamento delle miniere di metalli rari e dunque di impoverimento del pianeta. Ma anche rischi sociali, laddove il reale pericolo non è quello della perdita del lavoro. Certo, vecchie professioni verranno meno, ma se ne creeranno di nuove, com’è avvenuto durante la rivoluzione industriale con il passaggio per es. dai maniscalchi ai gommisti. Il vero pericolo è piuttosto lo sfruttamento dei lavoratori, da quelli addetti alle miniere a quelli addetti alla “ripulitura” dei dati del WEB, che possono andare incontro a disturbi psichici a causa dei contenuti traumatizzanti che devono rimuovere.

Ma – aggiunge la Professoressa Catarci – vi sono anche gli usi malevoli del digitale: i Fake, i Deep Fake sempre più verosimili ed insidiosi, le Fake News e tutta la vasta gamma della disinformazione digitale. Ma anche l’abuso del controllo biometrico, – stigmatizzato e vietato peraltro dall’EU AI ACT – l’abuso del social scoring che avviene in Cina e che può potenzialmente attecchire anche in altri contesti, magari lavorativi ove il credito potrebbe diventare lavorativo (job scoring) e derivare dalla registrazione del comportamento dei lavoratori

Vi è poi l’ampio campo del cyber-crime: dal Fishing che ha registrato in Italia nel 2022 10.000.000 di casi, in maggioranza a danno di persone appartenenti alla generazione Z, all’impiego delle cyber-currencies per il riciclaggio di denaro sporco.

I rischi delle piattaforme

La Professoressa Catarci si sofferma poi sui rischi derivanti dalle Big Five, laddove con 5 grandi non sono intesi i cinque grandi tratti utili per tracciare un profilo di personalità, ma le Big Tech le cinque maggiori multinazionali dell’IT, dunque società private, che risiedono tutte negli USA, il cui strapotere sembra ormai invincibile ed inavvicinabile. Ciò comporta enormi problemi economici tali per cui non solo l’ascesa di società concorrenti è di fatto impedita tramite l’acquisto sistematico di start up che arrivino ad impensierire le big five ma anche per il fatto che le risorse economiche di imprenditori come Musk  consentono loro potenzialmente di acquistare o quanto meno condizionare Stati sovrani. Ma non mancano i problemi etici e conseguentemente sociali: chi controlla la correttezza delle piattaforme nella conservazione e protezione di dati sensibili, gli algoritmi delle piattaforme, i loro criteri di censura, e dunque le bias che ne derivano? Il loro  strapotere è così scontato e la nostra impotenza così radicata che il tema non viene trattato con la preoccupazione che dovrebbe suscitare, sostiene la professoressa.

A me sovviene il concetto di coazione a ripetere, cioè la “tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze”. Detto in altri termini è la fuga dalla libertà di cui parla Fromm, la tendenza cioè a non voler accettare la nostra responsabilità di auto-determinarci e dunque a fuggire dalla nostra responsabilità alla ricerca di qualcuno che l’assuma per noi anche a costo di perdere la nostra libertà a favore di quel qualcuno cui consentiamo dunque di divenire il nostro padrone. Nel caso del digitale addirittura cinque. Ma il concetto di coazione a ripetere si può associare anche ai bias di cui gli algoritmi si nutrono e che a loro volta proiettano sulle loro previsioni. È il tema della giustizia predittiva: se, in quanto nero, ispanico, extracomunitario etc. mi viene attribuita dall’ algoritmo la probabilità statistica di compiere un maggior numero di reati, verrò condannato ancora prima di aver compiuto il prossimo e soprattutto non riuscirò a liberarmi io stesso dal sentimento di essere effettivamente un malfattore.

Donne e formazione STEM

La Professoressa Catarci, sempre appassionata ed ironica nella sua illustrazione, diviene ancora più appassionata quando passiamo a parlare di donne e della loro scarsa rappresentanza nelle professioni STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), e in particolare nell’ICT (Information and Communication Technologies). Sono state fatte tante ricerche per arrivare alla causa del fenomeno, mi dice, ma i dati sembrano ormai dimostrare che il principale problema alla sua base sia lo stereotipo che colpisce lo studio e le professioni ICT, il fatto cioè che sarebbero professioni aride, prive di soddisfazioni e che non comporterebbero un miglioramento della società, a differenza dei tradizionali lavori di cura. In realtà chi lavora in ambito STEM sta progettando il futuro e purtroppo le ragazze non lo stanno progettando, se non in misura molto limitata. Ciò si traduce in un mancato empowerment per le ragazze ma anche in una mancanza di diversità per tutti, nel senso che la percezione femminile della realtà e dunque la diversa sensibilità e il diverso approccio alla realtà delle donne non possono venire presi in considerazione né ora né in futuro. Da questo punto di vista non si può dire che nelle professioni ICT vi sia discriminazione, che è invece presente ad esempio nelle professioni sanitarie. In Medicina ad es. le studentesse sono il 60% del totale ma le primarie sono solo il 23%. Nelle professioni ICT invece la percentuale di donne è così bassa, in Italia ma anche nei paesi occidentali, 15-18%, per cui tutte le donne vengono assunte e in alcune aziende, che fanno “pink-washing”, anche preferite ai maschi. Il problema è dunque in ingresso o meglio ancora più a monte nella creazione fin dall’età infantile di quello stereotipo tale per cui le professioni ICT sarebbero aride e le donne sarebbero “naturalmente” portate alle professioni di cura o alle arti. La Professoressa Catarci ritiene dunque quanto mai necessario intervenire fin dalle scuole elementari per promuovere la conoscenza e la mentalità scientifica, il problem solving, una consapevolezza critica per evitare che lo stereotipo insorga. Lei peraltro non si limita ad auspicare ma si è data da fare per favorire l’accesso delle ragazze, contribuendo a dar vita sia a corsi di laurea in cui informatica e filosofia si intersecano, sia a progetti che coniugano informatica e sostenibilità – A Greed(y) Training Strategy to Attract High School Girls to Undertake Studies in ICT.

Rischi reazionari

A pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, cui sono purtroppo già seguiti molti altri, chiedo alla professoressa Catarci cosa legge lei, da donna e da studiosa, nel tragico fenomeno del femminicidio. Mi risponde che a fronte di un desiderio delle donne di reale emancipazione, le sembra stiamo vivendo un periodo storico, in Italia, in Europa e nel mondo intero, in cui “si torna indietro”, politicamente, economicamente, in tema di diritti sociali. Non a caso Bauman aveva intitolato il suo ultimo libro Retrotopia, mi sovviene poi. In queste fasi di reazione la cultura patriarcale si accentua, mi dice la professoressa, torna a farsi sentire con ancor maggior forza e pericolosità. Una donna giovane, intelligente, che si stava laureando in ingegneria biomedica, fa paura. In qualche modo è stata ammazzata anche perché si stava laureando in ingegneria, soggiunge la professoressa.

E si sarebbe laureata prima di chi l’ha uccisa, penso io. Dietro la violenza c’è spesso la paura, la debolezza, il vuoto, l’incapacità di gareggiare ad armi pari, l’incapacità di accettare la sconfitta e la superiorità altrui, soprattutto se l’altro è una donna. Forse oltre ai colpi di coda del patriarcato, dobbiamo anche fare i conti con l’ inquietudine di una società in rapida trasformazione, di fronte alla quale si accentuano da una parte tendenze progressiste ma dall’altra anche tendenze regressive, impotenti quanto violente.

A maggior ragione servono donne che progettano il futuro!

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