Agenda 2030: servono incentivi alla produzione sostenibile

Sarebbe bello se per salvaguardare il Pianeta bastassero solo le azioni dal basso e l’impegno degli uomini di buona volontà: scambiare l’automobile col bus o la bici; comprare la frutta di stagione; schiacciare lattine e bottigliette prima di gettarle nel cassonetto giusto. Per quanto l’impegno, la coscienza del problema e i comportamenti individuali siano encomiabili e desiderabili, e per quanto certamente continueremo a premere sul tasto dell’impegno civico verso la sostenibilità, in realtà sono i grandi attori dell’economia e della politica a dover dare l’impulso principale al cambiamento”. Pierluigi Sassi, presidente Earth Day Italia, parla di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, provando a definire le azioni necessarie e urgenti da mettere in campo prima possibile.

Quale l’obiettivo di Agenda 2030 che ritiene sia più difficile da raggiungere e perché?

Difficile individuarne uno singolo, anche perché ognuno dei 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile è un insieme di target specifici. Quindi, ad esempio, per un obiettivo importante come il settimo,“Energia pulita e accessibile”, potrebbe essere relativamente facile completare un target di massima come “Aumentare considerevolmente entro il 2030 la quota di energie rinnovabili nel consumo totale di energia”; ma sarà sicuramente più complesso centrare quello più specifico che chiede di “Raddoppiare entro il 2030 il tasso globale di miglioramento dell’efficienza energetica”.
Non bisogna però sottovalutare il fatto che i target energetici sono strettamente interconnessi: difficilmente, ad esempio, la diffusione su scala globale delle energie rinnovabili (target 7.2) potrà prescindere dall’aumento (il target 7.3 in realtà chiedono il raddoppio) dell’efficienza energetica che contribuirebbe a renderne accessibili i prezzi come vuole il target 7.1. La nostra sensazione è che, purtroppo, gli obiettivi sociali siano quelli più ardui da raggiungere. Cancellare la povertà e la fame dal mondo (obiettivi 1 e 2); garantire salute e benessere a tutti gli abitanti del pianeta (come vuole l’obiettivo 3); far cessare lo sfruttamento, gli abusi e il traffico dei minori (come si legge tra i target dell’obiettivo 16); sembrano oggi delle utopie. Infatti, a poco più di dieci anni dal 2030, viviamo in un mondo con ancora quasi 800 milioni di persone denutrite; dove ogni anno muoiono ancora 6 milioni di persone per una malattia come la malaria; e dove nel 2019, in 83 Paesi del mondo, 8 bambini su 10 sotto i 14 anni hanno subito aggressioni punitive psicologiche o fisiche all’interno delle mura domestiche.

Quali i target sui quali si sta lavorando meglio?

Probabilmente gli obiettivi economici, produttivi e tecnologici sono quelli più alla portata di un consesso internazionale motivato, semplicemente perché sono legati agli interessi dei grandi attori dell’auspicato cambiamento di rotta: ovvero i Governi, il mondo finanziario e quello imprenditoriale. Target come “garantire a tutti accesso a servizi energetici affidabili e moderni”, parte dell’obiettivo 7, o “ridurre l’impatto ambientale delle città, prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti urbani”, parte dell’obiettivo 11, si possono raggiungere “semplicemente” con investimenti e buona volontà da parte di tutti, senza dover cambiare radicalmente la mentalità della società o l’attuale sistema politico-economico. In fondo ci sono voluti pochi anni per passare dall’economia del carbone a quella del petrolio: appena la seconda è diventata più conveniente e remunerativa della prima, le tecnologie e le dinamiche produttive sono radicalmente cambiate per adeguarsi. Non appena l’economia circolare e le fonti di energia rinnovabili saranno più convenienti, grazie all’innovazione, alla volontà politica e alla spinta del mercato, la transizione sarà molto rapida. Già oggi gran parte dell’economia legata alle fonti fossili si mantiene solo con i contributi e la fiscalità agevolata accordata in passato da governi miopi, e mantenuta nel presente da governi ancora più miopi. Per questo si moltiplicano nel mondo le richieste di scienziati, economisti, mondo associativo e movimenti dal basso come quello dei ragazzi dei Climate Strike, per disincentivare una volta per tutte l’economia fossile. C’è soltanto da sperare che non si arrivi troppo tardi a spostare competenze, finanziamenti ed energie ai settori più sostenibili e dunque a chiudere pozzi, discariche, inceneritori e ciminiere, e sostituirli definitivamente con pale, turbine, pannelli fotovoltaici e impianti di riciclaggio.

Quali gli interventi da mettere in campo?

Servono incentivi alla produzione sostenibile; leggi restrittive sullo sfruttamento delle risorse, come ad esempio quella sul consumo di suolo che il Parlamento italiano ancora non riesce ad approvare; azioni punitive e sanzioni pesanti per chi impoverisce o distrugge il patrimonio naturale; piani economici sovranazionali totalmente orientati alla sostenibilità ambientale e sociale. Questo fin da subito, anche a costo di realizzare minori profitti. Ma chi può cambiare l’economia su scala globale? La risposta è duplice: da una parte le istituzioni economiche internazionali e i Governi, ad esempio disincentivando la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia da fonti fossili; oppure con interventi legislativi in favore dell’eco design per l’utilizzo di materiali facilmente riciclabili e per la riduzione ai minimi termini degli imballaggi. Dall’altra parte, un ruolo decisivo possono ricoprirlo i cittadini, ad esempio con il cosiddetto “voto col portafoglio” che premi le imprese etiche e i prodotti che rispettino la sostenibilità ambientale e sociale. Sul secondo tema partecipiamo e condividiamo iniziative come il #CashMobEtico di NEXT Nuova Economia per Tutti e, più recentemente, ai #SaturdaysForFuture dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che promuovono comportamenti consapevoli dei consumatori al momento dell’acquisto.

Tutto questo però dovrebbe succedere a livello globale, contemporaneamente e in tutti i Paesi. La sola Cina, una nazione destinata a guidare l’economia mondiale, emette oggi il 28% dei gas serra del pianeta; se il Governo e le aziende cinesi prendessero una decisione coraggiosa in direzione della sostenibilità, le ripercussioni si avvertirebbero in ogni angolo del globo, e la causa della tutela del Pianeta vedrebbe un’accelerazione esponenziale e probabilmente decisiva. Per questo i grandi meeting dell’ONU, le COP e i summit, sono fondamentali. Per questo i politici, le istituzioni e le aziende devo essere pungolati di continuo. E per questo le mobilitazioni globali come i Fridays For Future e l’Earth Day devono essere costantemente affiancati, sostenuti e incoraggiati.

Quali le attività che come associazione state sostenendo e perché sono importanti?

Al momento siamo impegnati in diverse campagne nazionali e internazionali. Come membro dell’Earth Day Network, presente in 190 Paesi, Earth Day Italia è parte di un movimento mondiale che coinvolge oltre 75 mila partner in iniziative per la tutela del pianeta. La più importante è l’Earth Day, la Giornata Mondiale della Terra, che ogni 22 aprile mobilita circa un miliardo di persone per quella che è la più imponente manifestazione civica del mondo. Ogni anno, nell’occasione, organizziamo con il Movimento dei Focolari il Villaggio per la Terra che riunisce a Roma centinaia di migliaia di persone per discutere, confrontarsi, educare, ma anche divertire, con i temi della sostenibilità. Con ASVIS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile promuoviamo la conoscenza e il perseguimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e abbiamo avviato la piattaforma www.obiettivo2030.it per far dialogare istituzioni, associazioni, innovatori, imprenditori e comunità, al fine di mettere in pratica azioni e politiche di sostenibilità. In base al rapporto ASVIS 2018, l’Italia è all’avanguardia su alcuni fronti, ad esempio le filiere del riciclo di materiali come carta, metalli e oli; ma ancora in forte ritardo, o addirittura in regresso, su obiettivi cruciali, come l’insicurezza alimentare, le disuguaglianze sociali e la qualità degli ecosistemi. L’ultima sfida in cui ci siamo impegnati, in ordine di tempo, è quel “Global Compact on Education” lanciato da papa Francesco pochi giorni fa: un’adunata di volenterosi (personalità, educatori, studenti, intellettuali) invitati dal Papa a Roma il 14 maggio 2020, a “dialogare sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta” per dirla con le sue parole. Il Villaggio per la Terra del prossimo aprile sarà una delle tappe ufficiali di avvicinamento a quella data, e daremo tutti insieme il nostro contributo a questo Patto Educativo Globale.

Quale il contributo della tecnologia digitale?

La tecnologia in generale, e quella digitale in particolare, può rappresentare sia una svolta, sia una minaccia per la salvaguardia del Pianeta. Da una parte innegabilmente avvicina gli uomini, abbatte le barriere sociali e politiche, favorisce il dialogo, lo scambio, gli spostamenti attorno al globo; accelera e favorisce il flusso di informazioni, conoscenze, idee e soluzioni. A tale proposito posso citare un caso che ci sta a cuore: le rivendicazioni delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, che abbiamo iniziato a sostenere nella primavera scorsa grazie alla collaborazione con Survival International Italia. Quest’associazione dà voce a quelle lontane comunità minacciate dall’assimilazione culturale forzata, dal furto delle loro terre e soprattutto dalla distruzione dell’ecosistema amazzonico. Proprio la tecnologia è il mezzo con cui questi uomini e donne del Sud America riescono a far ascoltare il loro grido al resto del mondo: tramite il canale Youtube di Survival International diffondono video ripresi con videocamere e cellulari, accomunati dall’hashtag #TribalVoice al momento della diffusione che, una volta messi in rete, portano ovunque le loro testimonianze, i racconti delle vessazioni, le denunce dei crimini perpetrati ai loro danni. Per chiunque è perciò semplice e immediato ciò che qualche anno fa avrebbe richiesto tempo, risorse, viaggi, denaro, permessi, attrezzature di ripresa e trasmissione: ovvero ascoltare e “vedere” la condizione di questi popoli. Per fare altri esempi basta ricordare l’importanza dei social network per le istanze democratiche della primavera araba; o ancora il ruolo decisivo della telefonia mobile nello sviluppo di servizi cruciali per sostenibilità, come le applicazioni per la mobilità condivisa o quelle per la riduzione degli sprechi di cibo. Dall’altra parte, la tecnologia digitale (e la new economy che ne ha seguito la crescita) ha fatto “impazzire” il mercato finanziario globale, promettendo a chiunque guadagni facili e immediati, scatenando le bramosie degli speculatori e mortificando l’originale funzione delle borse: il sostegno alle imprese e la distribuzione degli utili. Oggi i Governi, le economie nazionali, le grandi aziende che danno lavoro a migliaia di persone, le banche che ne custodiscono i risparmi, perfino le casse delle piccole comunità locali, sono potenzialmente prede di assalti speculativi di fondi anonimi e persone senza scrupoli che, magari dalla parte opposta del mondo, si servono di tecnologie guidate da algoritmi votati unicamente al profitto. Questi flussi finanziari, enormi, globali e incontrollati, non si fermano certo davanti a un’emergenza sociale, o ambientale. L’altro aspetto per cui le tecnologie possono rivelarsi non “strumento” ma “causa” di devastazione per comunità ed ecosistemi, sono le materie prime che le alimentano: metalli e plastiche per assemblaggi e confezionamento; terre rare ed elementi chimici per le batterie. Anche la tecnologia che crea mondi “virtuali” ha un costo ambientale crudelmente materiale. La tecnologia più innovativa e green non sarà mai a impatto zero per il Pianeta. Occorre dunque ponderare con attenzione quando, come e se impiegarla. Da parte nostra, come Earth Day Italia, abbiamo messo la tecnologia e l’innovazione al centro della nostra azione. Da alcuni anni i punti d’incontro del Villaggio per la Terra, ognuno dedicato a un Obiettivo di Sviluppo Sostenibile, sono denominati e configurati come “piazze telematiche” multimediali, dove le persone si incontrano fisicamente e virtualmente, in un continuo scambio di esperienze, racconti, contenuti, progettualità che iniziano prima e continuano dopo la manifestazione: sui canali social e su piattaforme integrate come obiettivo2030.it. Dallo scorso anno abbiamo fatto un salto di qualità in questo senso, lanciando Innovation4Earth, un centro di ricerca presso la Link Campus University che sviluppa processi di innovazione con un’ottica sostenibile in cinque diversi campi della Green Economy: gestione del territorio e biodiversità; mobilità sostenibile; energie rinnovabili ed efficienza energetica; policy e governance ambientale; agricoltura sostenibile.

Quale il contributo del terzo settore alla salvaguardia del Pianeta?

Il terzo settore è quello più vicino alle condizioni di vita reali delle popolazioni. Che siano associazioni religiose, ambientaliste o di assistenza sociale, sono fatte di persone che, avendo davanti agli occhi la realtà, non ragionano solo in termini di grandi numeri, di profitti, di crescita incontrollata a tutti i costi. Il terzo settore è quello che ha previsto con decenni di anticipo la deriva ambientale e sociale, ed ha sempre gridato forte il pericolo di sfruttare il pianeta senza porsi limiti e pensare alle conseguenze. Purtroppo come delle cassandre siamo rimasti troppo a lungo inascoltati, “predicando” quella “rivolta” della Natura che oggi appare lampante ai più; a parte pochi negazionisti che difendono soltanto i loro interessi. Il terzo settore è anche quello che, prima di altri, ha intuito la connessione tra il benessere delle popolazioni e quelle del Pianeta. In lunghi decenni in cui appariva normale e perfino necessario, nel nome del lavoro e della crescita economica, riversare veleni nella terra e in atmosfera; depredare e spopolare i mari e gli oceani; costruire enormi dighe; disboscare foreste e spianare montagne; sotterrare fiumi e pianure sotto il cemento di reti urbane e stradali sempre più intricate; queste voci libere hanno sempre parlato di disintegrazione delle comunità, omologazione delle culture, distacco dell’uomo dalla Natura. Ora finalmente si parla di rinaturalizzare i fiumi, riforestare, lasciare che il mare si ripopoli di vita, rimediare al dissesto idrogeologico, cercando al contempo di preservare quanto di selvatico è rimasto. Oggi si può affermare che l’unico modello di integrazione uomo-natura plausibile e perseguibile è quello che prevede l’esaltazione del prodotto locale, della produzione biologica, del rispetto dei ritmi naturali, dell’edilizia sostenibile, dell’urbanistica a misura d’uomo, del turismo lento, della conservazione della fauna e della flora. In una parola: la sostenibilità, da pianificare e applicare ad ogni attività umana. Questo approccio non poteva venire dall’industria e dall’agricoltura, il primo e il secondo settore, men che meno dalla finanza e dalla politica per come si sono sviluppati negli ultimi due secoli: ignorando o addirittura calpestando ogni esigenza sociale e ambientale che contrastasse l’imperativo del profitto. Solo il terzo settore, quello che guarda all’uomo e al suo ambiente, poteva mantenere e riportare la questione al centro del dibattito.

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