Sulle “traccie” della prima prova di maturità

Notte prima degli esami partita con qualche battuta ironica su un “traccie”, scappato di tastiera a un “fornitore tecnico” e pubblicato sul sito del MIUR, per il quale ci sono volute le scuse ufficiali del Ministero tanto era stato il rumore fatto per un orrore di ortografica o refuso da “maledetto correttore ortografico” che dir si voglia. Correttore che ha replicato l’errore alla seconda prova di scienze e cultura dell’alimentazione, con un singolare di batteri diventato battere. Ma del resto, è noto, che chi è bravo a scienze e matematica non eccelle in italiano, no? Lo stereotipo questo vuole e noi ci adeguiamo.

Come ci adeguiamo volentieri all’attenzione che il Ministero ha riservato anche questo anno alla tecnologia e al futuro, proponendo tra le prove scritte una riflessione su come cambia il mondo del lavoro con l’intelligenza artificiale. Tre gli articoli spunti di riflessione:

  1. un primo che riporta i dati che emergono dal report report Robot and Industrialization in Developing Countries dell’Onu, che mette in guardia i Paese emergenti rispetto ai robot che sostituiranno gradualmente gli uomini;
  2. un secondo che, al contrario, riportando i dati emersi da una ricerca di Manpower Group, “Skills Revolution”, dice come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale possa aumentare posti di lavoro;
  3. un terzo, Future of the Internet di Pew Research, che sembra dare ragione al primo riportando dati negativi in merito all’impatto del digitale sui posti di lavoro.

Il compito, dunque, non era banale: bisognava districarsi su opinioni differenti, riportate da ricerche diverse sicuramente non conosciute dai ragazzi. Per esercitarci un po’ abbiamo chiesto ai nostri visionist di fare un mini pensiero sulla traccia tecnologica.

Per affrontare quella che la traccia d’esame chiama “rivoluzione tecnologica” occorre lavorare innanzitutto sulle competenze, come peraltro suggerisce il report dell’ONU citato nello stesso documento. Il punto è che i sistemi formativi devono aggiornarsi, sia quelli scolastici che quelli aziendali. Non basta più trasmettere il “sapere” o il “saper fare”, ma sviluppare una serie di soft skill abilitanti: collaborazione, problem solving, mentalità data-driven, agilità e, per quanto riguarda il business, un approccio cliente-centrico. Ma oltre ai contenuti, i moderni programmi di education devono essere continuativi e utilizzare nuovi formati didattici, on e off line. Tutto questo impedirà di venire sostituiti dai robot? Probabilmente sì, ma in ogni caso consentirà di avere le nozioni giuste per capire quali lavori “umani” sarà possibile svolgere”. Mauro Lupi

A ogni piccola o grande rivoluzione industriale si annuncia che la nuova tecnologia spazzerà via la tal industria o la tal altra,  creando un esercito di disoccupati. A ogni piccola o grande rivoluzione industriale questa profezia si dimostra ineluttabilmente, completamente, ridicolmente falsa. L’introduzione di nuove tecnologie si presume aumentare l’efficienza del lavoro umano, il quale, affrancato dallo sforzo manuale, si dedica ad attività più intellettuali e meno legate al dispendio di energia fisica. E poi, affrancato da attività ripetitive, migliora anche le proprie attività manuali e intellettuali, riduce il tempo dedicato al lavoro, tanto che Jeremy Rifkin annuncia (da tempo, ormai) come imminente la fine del lavoro. Certo, è vero: lo spostamento da attività a basso contenuto tecnologico ad attività a maggiore contenuto tecnologico e culturale determina la necessità di maggiore e migliore formazione tecnica e in genere. Certo, il progresso non funziona e non procede di pari passo per tutti; c’è sempre necessità di attività manuali e non sempre altamente qualificate (pensiamo alla cura delle persone in difficoltà). Ma il luddismo ‒ anche nelle forme cripto-luddistiche in cui qualche buontempone propone di tassare i robot ‒ lasciamolo confinato alla storia del pensiero a-scientifico, please!”. Carlo Piana

Non avrei scelto questa traccia ma, messa alle strette, probabilmente avrei fatto notare – con quella vena retorica che affiora in tutti i Maturandi – che quello della tecnologia-che-si-sostituisce-all’uomo-nel-lavoro-rompendo-l’ordine-sociale non è certo un tema nuovo, ma una questione che ci si pone più o meno dai tempi della Rivoluzione Industriale. Avrei tirato in ballo Nedd Ludd, Fritz Lang e forse anche citato Matrix e Blade Runner, perché ero veramente un po’ nerd. Ma, con il senno di poi, mi rendo conto che nel mio tema di Maturità non avrei potuto parlare dell’impatto che la tecnologia avrebbe avuto sul mio lavoro e sulla professione svolgo, perché il “parco giochi” nel quale oggi mi muovo quotidianamente non era ancora ancora stato edificato, o era ancora in costruzione: ok, Google era già il motore di ricerca dominante ma questo io ancora non ce l’avevo ben chiaro, Facebook sarebbe nato qualche mese dopo e il concetto di “virale” era ancora per lo più legato a cose come l’herpes. La Maturità l’ho fatta nel 2003, non nel 1927: questo per dare l’idea di quanto, come e dove le cose si siano evolute, e con quale velocità. Previsioni, studi e sondaggi raccontano l’idea che oggi abbiamo del domani – proprio come Fritz Lang si immaginava il 2026 tra macchine volanti e le periferie del mondo confinate nel sottosuolo. E ci ha preso, considerando anche il fatto che il tema è ancora in discussione quasi un secolo dopo. Ma quello che diventerà realtà è solo e soltanto quello che l’uomo saprà fare. Per questo il “consiglio banale dell’ONU”, quello che è finito nelle tracce della Maturità 2017, è l’unica cosa da fare: «ridisegnare i sistemi educativi in modo da creare nuove competenze», abbracciare il cambiamento partendo dai banchi di scuola. E, possibilmente, senza smettere mai”. Valentina Spotti

Bello che  di questi temi ci si ricordi alla maturità – chiosa il nostro direttore Stefano Epifani – certo lo sarebbe ancora di più se si parlasse di tutto ciò anche in maniera sistematica durante l’anno, senza lasciare tali argomenti alla buona volontà dei professori o al P.O.F. di turno. Perché quando mi capita di andare a parlarne nelle scuole perché qualche docente più avveduto ha organizzato (spesso senza fondi) incontri con esperti della materia, la domanda che qualche studente più critico fa è immancabilmente la stessa: ‘professore, perché di questi argomenti non ce ne parlano in classe?’. E questo, in un paese che voglia dirsi civile, è inaccettabile“.

Cari maturandi, dunque, cosa avrete scritto voi sul vostro tema non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che già la traccia la dice lunga su come oggi trattiamo le informazioni: ne abbiamo tante (qualcuno malignamente dice troppe, ma sappiamo che il troppo non c’è quando si parla di informazione); spesso in contraddizione tra loro (un po’ sul modello “una recente ricerca ha detto che…” ironicamente proposto da Frascati Scienza); sempre più spesso frutto di analisi di altri che anche noi giornalisti non ci divertiamo più a mettere in discussione e nemmeno a raffrontare con altre perché ne abbiamo le caselle piene di comunicati di ricerche (a volte comode per scriverci qualcosa). Informazioni che passano da un articolo all’altro senza che nessuno si preoccupi di fare alcuna elaborazione (che il giornalismo non è più quello di una volta), perché anche noi, se cercate le tracce della maturità su Google (come vedete dalle foto sotto), copiamo e incolliamo molto. A volte, purtroppo, facendo finta di niente anche quando qualcuno ci trova con il fogliettino in mano.

 

 

 

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