Clicca qui. Anzi no, scappa!

Questa vignetta di Marketoonist illustra in modo eloquente lo stalking che i marketer digitali mettono in atto nei confronti dei loro poveri utenti.

Dai il consenso alla privacy, iscriviti alla newsletter, chiudi il pop up, trova la x per stoppare il video che parte con un audio da discoteca e – mentre clicchi – stai attento a non finire sulla pagina dello sponsor, quella che non volevi assolutamente vedere. Ah se sbagli, torna indietro ma ricordati tutti i passaggi, sennò il loop diventa infinito.

Condividi l’articolo, scrivi la recensione, skip ad (ma solo quando lo dico io!), compila il form, scansiona il QR code, seguici su Instagram, guarda quante altre persone stanno facendo quello che fai tu, sì però sbrigati perché la promozione è a tempo e sono rimasti solo pochissimi pezzi.

Direi, così a occhio e croce, che call to action e microcopy stanno prendendo un “tantino” il sopravvento.

Ok cercare di coinvolgere l’utente, va bene volerlo guidare persuasivamente nelle scelte, ma ci vuole equilibrio e tanto, ma proprio tanto, stile.

Il risultato è palese, e non c’è nemmeno bisogno che dica che quando ci troviamo in certe situazioni la nostra mano fa sempre la stessa azione: muove il mouse verso destra e, con livelli di cortisolo alle stelle, mette fine alla pessima esperienza.

Esperienza che, sia chiaro, porta anche ad attribuire un giudizio più ampio nei confronti del brand che ha acconsentito o architettato questo uso improprio della comunicazione.

Quanti, come me, utilizzano mail temporanee o inventate per accedere a servizi free solo-se-mi-dai-la-tua-mail-così- poi- ti-posso- spammare? Penso agli hotel che ti dicono che internet è gratis, ma poi, per navigare, oltre a dover fornire la mail e il numero di camera, sei obbligato a mettere mi piace alla loro pagina Facebook. Detestabile: io voglio scegliere chi seguire e perché.

È come avere uno alla Paolini (il disturbatore della tv, ndr) che fa ombra nel tuo incedere o come dribblare alla stazione la “signora” che, con maledizioni in lingue sconosciute, ti blocca il passaggio finché non fai tintinnare il suo bicchierone del Mc Donalds.

E se è vero che non dobbiamo mercanteggiare a tutti i costi ma fare in modo che l’utente scelga spontaneamente di compiere delle azioni, lo stesso vale per la fruizione delle informazioni e la consultazione di un sito web.

Possiamo accompagnarlo, grazie a percorsi e flussi disegnati per consentirgli di trovare facilmente e velocemente quello che cerca, mettere in risalto – con criterio e intelligenza – la nostra promozione, o invitarlo con classe a restare in nostro contatto, senza ipnotizzarlo con il mantra dello swipe up infinito.

Questo perché quando ci obbligano a compiere qualcosa, che magari non sappiamo se vogliamo fare, potremmo a posteriori valutare negativamente chi ci ha obbligato all’azione, oltre che valutare con il segno meno l’esperienza vissuta.

È vero che la prosperante libertà di questi ultimi anni pone l’uomo in un crescente stato di ansia e indecisione perché il suo libero arbitrio, sopito per molti anni, deve attivarsi e condurlo a prendere una posizione e a disciplinare il suo incedere in autonomia. Non è facile, per nessuno.

Il design della comunicazione può aiutare e accompagnare alla scelta, ma a mio avviso non deve mai assurgere al ruolo di genitore normativo e autoritario che ordina al bambino di fare quello che lui, il genitore, vuole sia fatto.

I miei 2cents?

Fai compiere al tuo utente poche azioni, strategiche e mirate, e fallo con eleganza e personalità.

Detto questo, se non condividi questo post, non mi segui subito sui social, ti abboni al feed del mio podcast o compri il mio libro finirai nel girone dei… Si scherza, ovviamente. Ma non più di tanto.

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Stratega del content marketing, appassionata di customer experience e co-fondatrice di Simmat, da oltre 15 anni scrive per la carta e il web. Comunicazione e marketing digitale sono materia degli eventi e dei corsi ai quali partecipa come speaker e docente in giro per l’Italia. Ambasciatrice del karma marketing, il content di valore è il suo credo, l’experience design la sua metodologia e l’ironia lo strumento per rendere usabile e comprensibile a tutti il mondo dei bit. Giada è membro dell’Internet Marketing Association, consigliere di Assintel Umbria e di Terziario Donna Umbria. E' autrice del libro "Customer Experience: fai marketing di valore nell’era dell’esperienza". Conduce il podcast Buzzword: https://www.spreaker.com/show/buzzword

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