Nervi saldi, sei su un Social!

La cosa che più sconvolge le aziende, ma anche i vip, sui social network non è la velocità del mezzo, e neanche la sua potenza di diffusione immediata. No, è che la gente risponde. E con “gente” intendo dire la gente comune. Per aziende e vip è  spesso sconvolgente, perché con la gente, la gente comune, a dire il vero non interagiscono da millenni: non che non la vedano o non la sentano parlare, ma sono secoli che non ci hanno a che fare “senza filtro”, che è dato dalle presentazioni ufficiali, dalle interviste e dai comunicati “chiusi”. Tutta roba che si “emette” come un editto bulgaro, al massimo si fa girare fra una cerchia di persone scelte che poi la diffonderà, ma non ammette discussione, se non guidata e moderata.

Ecco, quando una azienda va su un Social Network tutto questo finisce. Perché tu, cara la mia azienda, puoi anche limitarti a postare i comunicati stampa sulla tua pagina di Facebook, e questi possono essere gli stessi che hai già girato ai giornalisti e alla stampa specializzata: ma nel momento in cui li posti sulla tua bacheca, o sul tuo sito o su uno dei tuoi account devi avere ben presente che è come se buttassi nel Tevere la cesta con dentro i piccoli Romolo e Remo: li affidi alle onde, e dove vanno a sbattere vanno.

I lettori dei tuoi comunicati aziendali, pubblicitari o stampa non saranno solo addetti ai lavori specializzati, e neppure solo ed esclusivamente tuoi clienti affezionati o potenziali: saranno tutti. E nel mare magno di internet i tutti comprendono davvero di tutto, per cui chi gestisce l’account aziendale non può essere scelto a caso, pescando l’ultimo stagista sottopagato e con nessuna esperienza di rete e di relazioni personali sul web: per gestire con successo un account aziendale, oltre ad una conoscenza approfondita di quale Social Network si sta usando, bisogna anche possedere la necessaria esperienza e sangue freddo per tenere sotto controllo i possibili “flame”, cioè il modo internettiano per indicare baruffe e gazzarre che scoppiano improvvise e spesso imprevedibili, e che nel mondo reale si definiscono più volgarmente ma correttamente “pestare una cacca”.

Lo scivolone comunicativo per una azienda è sempre dietro l’angolo, ma nei canali specializzati è più addomesticabile, perché i giornalisti di settore, proprio perché da anni bazzicano il settore, è raro che usino il bazooka in caso di errore: si limitano, nella peggiore delle ipotesi, al fioretto. Il pubblico dei Social no: se fiuta qualcosa di potenzialmente ridicolo, ci mette un niente a scatenarsi. Una industria di moda che posti la foto di una modella troppo magra o troppo grassa, uno slogan impreciso, un qualcosa che abbia un tono appena appena politicamente scorretto e la bacheca viene invasa da centinaia di messaggi ironici, sarcastici, spesso anche offensivi e violenti.

Non si può evitare di “pestare una cacca”: nella storia di una azienda è fisiologico e statisticamente probabile che prima o poi accada. Ma la bravura dell’account sta tutta nella gestione del “durante” e del “dopo”.

Flame all’inizio loffi sono stati resi epici dal tono piccato con cui l’azienda ha risposto alle critiche degli utenti, o ha cercato di negare maldestramente quando evidentemente affermato. Evitare, in ogni modo e in ogni caso, di rispondere in tono piccato, o con il “lei non sa chi sono io”. Il principio deve essere quello del vecchio motto latino: quieta non movere et mota quietare. Cercare quindi di spiegare, in maniera ferma ma sempre educata, se si è convinti di essere stati fraintesi; evitare per quanto possibile di censurare o bannare coloro che partecipano alla discussione, anche se trascendono.

Se ci si accorge che un comunicato stampa diceva effettivamente una stupidaggine (capita anche nelle migliori aziende) riconoscerlo e scusarsi, senza cercare di nascondere la gaffe. Su internet non sparisce nulla e il comunicato “scomparso” si rimaterializzerebbe moltiplicato all’infinito in centinaia di screenshoot immediatamente postati altrove. Evitare soprattutto di partire subito in quarta annunciando misure legali (querele, richieste di chiusura di blog o pagine Fb): se anche è stata lesa a torto l’onorabilità dell’azienda, è meglio sempre lasciar freddare gli animi e ragionare bene se il gioco vale la candela. Gli utenti della rete sono sostanzialmente “allergici” alle minacce di censura: se sentono che uno di loro, anche se ha torto marcio, rischia grane legali solidarizzano a prescindere, e l’azienda, per giunta, fa la figura di un cattivo Golia che se la prende con il piccolo Davide. Una causa legale vinta, magari dopo molti anni, vale un immediato ritorno di immagine negativo? Quasi sempre no, quindi mantenete la calma.

Solo un vero professionista nella gestione della web reputation può fare questo, ed è anche in grado, per esempio, di valutare se un determinato contenuto è adatto a tutto il web o magari va differenziato per il sito e i vari Social Network, che sono frequentati, non dimentichiamocelo, da pubblici in parte diversi, che pertanto sono sensibili solo a certi tipi di comunicazione, e magari “allergici” a certe tipologie di comunicato o ad alcuni tipi di campagne.

Per questo, quando si sceglie chi deve gestire la parte web del marketing aziendale, è bene scegliere una persona competente e con esperienze valide alle spalle. Perché a scrivere uno status su Facebook siam d’accordo: ormai sono buoni tutti. Il problema è che quando lo hai scritto, resta là per sempre, e il bravo gestore di account web è quello che sa evitare che tra qualche ora o anno quello status o quell’affermazione ti scoppi in mano come una granata esplosiva, che fa danni immensi, o, più mestamente, diventi come la peperonata di nonna, che ogni tanto, incomprensibilmente, dopo un tot di tempo che pensavi di averla digerita, torna su e non ti fa dormire la notte.

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7 COMMENTS

  1. Quando ho visto il la presentazione dell’articolo fatta da Andreas Voigt su Linkedin mi sono detta: uffa un articolo di ovvietà. Poi l’ho letto e mi sono resa conto che il mio uffa derivava dalla fatica che da anni faccio per far capire questi concetti alle aziende. Per cui, è vero, per Mariangela Galatea Vaglio, per Andreas, per me sono ormai delle ovvietà come quella che se giochi con il fuoco ti bruci, se giochi con l’acqua ti bagni. Ma per molti altri (e non sempre per cattiva volontà, ma più semplicemente per area d’azione) sono cose di fantascienza, anzichè pippe mentali, cose da computer e sistemabili da mio nipote che ha tanta fantasia, ci capisce e è sempre li che va sui siti. Tutto questo fino appunto non pestano una popò….
    Grazie quindi Mariangela perché fare “cultura di prodotto” è cosa buona e giusta.
    Tiziana Ssrtori

  2. io faccio l’insegnante di mestiere, e alle volte ti rendi conto che bisogna partire dalle basi, per quanto possano sembrare scontate e ripeterle molto spesso. Grazie. Ciao.

  3. Vorrei essere un filino provocatorio.
    E se i social network, la conversazioni in rete seguissero le logiche della ‘folla’?
    Che senso ha dispensare consigli retorici e un po’ paternalistici quando si ha di fronte un oggettivo livellamento in basso della capacità di giudizio, di critica e di interazione delle persone?

  4. @francesco: qui non stiamo parlando di generiche conversazioni sul web. Stiamo parlando di una azienda che deve gestire i rapporti tramite web con i clienti, reali o potenziali. Se anche esistesse davvero un generico e generalizzato “livellamento verso il basso” (che trovo un po’ un preconcetto non supportato da prove oggettive, specialmente perché una azienda sceglie il suo target di pubblico, che può essere basso, medio basso, medio, medio alto o alto, e non c’è nulla di male in ciò, è una scelta che anzi va fatta per piazzare il prodotto al meglio) , deve poi sapere come gestire anche un pubblico di potenziali clienti “bassi” come dici tu, e trovare il modo per rivolgersi a loro in maniera convincente tramite il web. o no?

  5. @ francesco: la folla siamo noi. ricordalo. e, a seconda dell’argomento, possiamo incarnare spesso la figura dello scemo del villaggio. ed è giusto comunicare parendo dal presupposto che ci deve anche capire lo scemo di turno.

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