Qualche ingenua domanda sulla cancellazione della ex-Discoteca di Stato

Come molti di voi sapranno, sotto i colpi di scure della Spending Review governativa è finito anche l’ICBSA (Istituto Centrale dei Beni Sonori e Audiovisivi), vale a dire quella che a Roma è ancora conosciuta come la “Discoteca di Stato”. Pare proprio che l’ente sia destinato alla soppressione, e questa sicuramente non è una buona notizia per chi, come chi scrive, in svariate occasioni si era trovato a dover consultare antichissimi e affascinanti archivi sonori nella storica sede di Via Caetani.

Si tratta di una di quelle molte istituzioni culturali di cui è del tutto esplicita una funzione pubblica più che meritoria, e che generalmente possono sottrarsi a un criterio di “sostenibilità economica” di natura meramente finanziaria. All’ICBSA non si chiede di generare ricavi o di adottare un modello di business: si dà infatti giustamente per scontato che la conservazione di un patrimonio culturale multimediale di questa portata sia interesse di tutti.

Non vi è dunque da stupirsi che la notizia sia stata accolta dalla classica levata di scudi. Solo qualche giorno fa Walter Veltroni ha investito il Ministro Ornaghi della questione in una accorata interpellanza parlamentare. Lo stesso direttore dell’ICBSA Massimo Pistacchi da settimane è protagonista di appelli e interviste in cui rivendica l’importanza del ruolo dell’Istituto, dove 36 persone altamente qualificate sono impegnate nella conservazione di quasi 500.000 mila supporti inventariati e catalogati: dai cilindri di cera inventati da Edison alla fine dell’800, con incise le voci di personaggi insigni della Repubblica, ai dischi, ai nastri fino ai video e ai supporti più moderni.

Ora, io credo che molti di voi abbiano trasecolato nel leggere in questa rubrica il termine “cilindri di cera”. Ed effettivamente, se pensiamo a 36 persone, sembra trattarsi di una struttura molto leggera se le immaginiamo impegnate a mantenere in perfetto stato, magari con tecniche raffinatissime, un supporto desueto come i cilindri di cera.

Ecco, per far rizzare i capelli a me, invece, basta la parola “supporto”. Ma scusate, se tutti gli appelli e le grida di dolore riguardano il rischio di perdere “un patrimonio culturale”, ma perché preoccuparsi dei supporti?

Banalmente: ma perché mai, se questa è una istituzione culturale e non un club di feticisti pagato dai cittadini, non hanno pensato non dico adesso, ma almeno dieci anni fa a digitalizzare tutto ciò che avrebbe permesso oggi di mettere tutto in rete, garantendo non solo una conservazione molto più economica ma anche una consultazione molto più facile attraverso internet? Non sarà mica che queste 36 persone sono effettivamente le migliori d’italia per svolgere un lavoro che nel frattempo è diventato inutile?

E allora la questione assume risvolti molto soprendenti. Sì, perché intervistato a Radio Popolare il Dott. Pistacchi – al quale la domanda non viene nemmeno posta, ma forse è un tipico caso di excusatio non petita – sottolinea “noi non ci occupiamo solo di conservare, ma anche di organizzare eventi”. Ed ecco che forse qualche sopracciglio si solleva anche tra i miei smaliziati lettori, visto che se c’è una cosa che non manca – soprattutto a Roma – sono “gli eventi sui media”.

In Via Caetani, del resto, è conservata (ma non facilmente visitabile) una bellissima collezione di strumenti storici per la registrazione e riproduzione del suono: fonografi, grammofoni, magnetofoni, ecc. Insomma un un museo di tecnologie audiovisive obsolete che però evidentemente sono ritenute ancora le più efficienti per conservare un bene pubblico come un patrimonio culturale. A questo punto il rischio di trovarci di fronte a una organizzazione di tipo “autogiustificante” appare in tutta la sua concretezza.

Ora, io non credo che le persone incaricate di individuare le aree da tagliare per conto del Governo siano state percorse dallo stesso brivido. Probabilmente considerano “il patrimonio audiovisivo” come una cosa che va tagliata perché non si mangia, e questo sarebbe profondamente deprecabile. Ma la sensazione è che l’ex Discoteca di Stato, o ciò che è diventata nell’era del Web, con il “patrimonio audiovisivo” e con una vera funzione di promozione culturale non abbia nulla, proprio nulla a che vedere. E non sembri una semplice critica distruttiva: basti vedere (e magari copiare) quello che hanno fatto – in termini di digitalizzazione, valorizzazione e condivisionel’Istituto Cinecittà Luce da noi, o l’INA in Francia, per rendersi conto delle potenzialità e delle differenze. Che poi anche l’Istituto Luce sia a rischio di sopravvivenza è un altro scandalo italiano, ma almeno loro a sopravvivere ci stanno provando seriamente e senza prenderci in giro.

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Antonio Pavolini lavora da oltre 15 anni nel settore dei media. Dopo una serie di esperienze nella comunicazione istituzionale, prima in agenzia e poi in azienda, dal 2009 si occupa, nell’ambito della funzione Strategy del Gruppo Telecom Italia, dell’analisi degli scenari e dell’elaborazione delle strategie nella Media Industry. Dal 2011, nell’ambito della funzione Innovazione, si occupa di valutare potenziali partnership con start-up impegnate in progetti di creazione e distribuzione di contenuti multimediali. Esperto delle issues del mercato dell’Information & Communication Technology, svolge docenze e collaborazioni in ambito accademico. Dal 2008, in particolare, è membro del Teaching Committee del Master Universitario in Marketing Management (MUMM) della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università “La Sapienza” di Roma”. Ha inoltre condotto trasmissioni radiofoniche come "Conversational“, in onda su Radio Popolare Roma nel 2010-2011, nel corso della quale ha approfondito l’impatto dei social media nell’economia, nella cultura, nella politica e nella vita quotidiana delle persone.

22 COMMENTS

  1. una doverosa precisazione: in realtà il progetto per la digitalizzazione della ex-discoteca di Stato è partito nel 2007 http://www.icbsa.it/getFile.php?id=1836&PHPSESSID=rqwolfgyfdsq il problema è il pubblico non se ne è mai accorto perché l’opera non è stata mai portata a compimento. in sostanza la digitalizzazione non ha avuto alcuna conseguenza sulle procedure di consultazione, e anche questo forse può dirci qualcosa sulla gestione di questo ente

    • Riguardo il patrimonio digitalizzato dall’ICBSA, lo si può consultare non solo nel portale di Internet Culturale, ma nell’opac dello stesso istituto http://opac2.icbsa.it/vufind/
      Purtroppo, a causa della legislazione italiana sul diritto di autore e connessi, i vari documenti sonori on line possono essere ascoltati solo per 30 secondi.

  2. ma infatti lo spirito dell’articolo è: siamo sicuri che l’ICBSA sarebbe finito nel mirino della spending review se (come ha fatto l’INA) avesse messo al centro della propria attività la digitalizzazione (dismettendo la cura e la conservazione dei supporti), riqualificando le competenze del personale da “conservatori” a “gestori dei diritti digitali”. siamo proprio sicuri che il problema dei diritti d’autore e connessi sia di natura tecnologica (cioè si presenti con la digitalizzazione, mentre non si presenti su supporti analogici)? se i file fossero stati protetti da DRM e non scaricabili, come accade per il Luce, il limite dei 30 secondi sarebbe stato superabile? sono troppi i casi in cui – in passato e su vari fronti – ci si è appoggiati all’alibi dei diritti per bloccare una evoluzione tecnologica che favorisse la condivisione e la fruizione dei contenuti.

  3. No, non sono d’accordo con l’articolo di Pavolini. Troppo facile criticare così. Non colgo, colpa mia, le sottili disquisizioni dell’autore che sembrerebbero sottendere un classico “se la sono cercata dopotutto”. Non mi sento di “impiccare” ad una parola detta per radio il Direttore del’istituto, che evidentemente abituato in questi quindici anni di “valorizzazione” , “tutela attiva”, i-musei-hanno-le-ragnatele e via cantando, da destra come da sinistra, ha risposto ai molti che non conoscono questa istituzione pubblica cercando di far capire solo che questo non è un “magazzino”. La vicenda è che vogliono sloggiare L’ennesimo istituto pubblico da un palazzo del quattrocento nel centro di Roma…Sveglia ragazzi! 😉

  4. Andrea, la tua opinione è rispettabilissima, e ancora più lodevole l’intento. Ma guarda le differenze.
    Francia: l’INA (http://www.ina.fr), molti anni fa decide non solo di digitalizzare, ma di porre il digitale al centro di una nuova strategia per facilitare la consultazione dei contenuti (in bassa risoluzione, e non i 30 secondi come da noi). in questo modo ha salvaguardato il tema dei diritti, e ha anche risolto il tema dello sfruttamento commerciale e della monetizzazione del suo sterminato archivio (che a pagamento può essere scaricato in alta risoluzione).
    Italia: l’area seminascosta dell’ICBSA è una evidente “foglia di fico”. Tutto deve cambiare affinche nulla cambi, perchè l’archivio digitalizzato viene descritto come “sperimentale”, col banner “BETA”, è consultabile solo per i primi 30 secondi, quindi si tratta di fatto di uno strumento per identificare il contenuto, come una scheda di consultazione, e non del contenuto stesso. Se intendi fruirne, devi recarti a piedi a Via Caetani oggi e all’Eur domani. In modo che le 36 qualificatissime persone possano continuare a fare il lavoro che hanno fatto sempre. Nel mio pezzo non ho mai messo in discussione l’esistenza di un progetto di digitalizzazione (infatti dico che andava fatto “non ora, ma dieci anni fa”), ma il fatto di farne il centro di una strategia, che per essere tale deve essere pubblica e visibile. Se vai sul sito dell’INA, di supporti analogici, e di conservazione dei supporti non si parla ormai da 5 anni. Quello è un servizio ai cittadini, non un ente autogiustificante. E infatti è sopravvissuto.

    • Il banner riporta che la versione è “BETA” perchè è una nuova versione di un nuovo opac in via sperimentale. Già da anni ne esisteva una vecchia versione in cui era possibile comunque ascoltare quie 30 secondi. Per quanto riguarda i ritardi, beh, la Discoteca di Stato ha iniziato ad avviare progetti di digitalizzazione già da 10 anni (si legga il progetto ADMV http://marciana.venezia.sbn.it/progetto-admv )
      La stessa Discoteca di Stato ha inoltre lavorato con l’ICCU (Istituto Centrale del Catalogo Unico) per delineare gli standard di digitalizazione audio (MAG Audio) http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/main/attivita/gruppilav_commissioni/pagina_99.html;jsessionid=8216ED2095DF200BCCBF3AE69FB268AA
      l’ICBSA quindi costituisce oggi un punto di riferimento per quegli istituti che oggi vogliano digitalizzare il proprio patrimonio audio.
      Per quanto esperto di tecnologia, caro sign Pavolini, non è molto informato sulla reale attività dell’Istituto in questione. Si aggiunga inoltre che l’ICBSA detiene il deposito legale della produzione editoriale sonora ed audiovisiva in Italia, così come fanno le nostre biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze

  5. Da quotidiano consultatore dei repertori digitali in giro per tutto il mondo, non considererei il progetto di digitalizzazione avviato nel 2007 come un progetto vero, semmai come una specie di “demo” (come è tutto internet culturale, d’altra parte). Un progetto di fruizione del patrimonio deve essere una cosa su scala decisamente maggiore (avete presente il Gallica della BNF o il progetto in corso a Dresda, o la Library of Congress a Washington, giusto per nominarne tre?). In Italia le biblioteche con repertorio storico hanno orari sempre più striminziti, spesso per consultare determinato materiale servono tempi biblici, quando non sono proprio inaccessibili. La biblioteca deve preoccuparsi della digitalizzazione dei supporti per ridurre i costi necessari alla consultazione e alla duplicazione (se è tutto online, non c’è bisogno di sportelli, sale consultazione, attrezzature costose: basta una sala con qualche PC e qualche cuffia), ma allo stesso tempo – una volta terminata la digitalizzazione – deve conservare il materiale con cura, perchè un cilindro, una lacca, un vinile hanno la stessa dignità di un libro. Se il concetto è quello di considerare il supporto come un inutile orpello, allora digitalizziamo tutti i volumi e bruciamoli sulla pubblica piazza, per sostituire le biblioteche con delle server farm. Come nel caso dei libri, il supporto può essere importante quanto e più dell’informazione registrata.

  6. il tema di equiparare la “dignità” dei supporti con la “dignità” dei contenuti è intrigante, ma temo che l’audiovisivo non si possa mettere sullo stesso piano dei libri. I CD, come supporti, hanno una dignità maggiore rispetto agli hard disk? in ogni caso, temo che portare avanti questo tipo di argomentazioni non aiuti a risolvere il tema della sostenibilità economica di questo tipo di enti. non dimentichiamo che sono enti pubblici, e devono salvaguardare un interesse generale. sarei curioso di sapere se ai cittadini interessa l’idea di permettere una salvaguardia dei supporti così costosa da mettere a rischio l’integrità del patrimonio dei contenuti.

    • Va beh! Una volta digitalizzati, bruciamo tutti i manoscritti, gli autografi di grandi scrittori e musicisti, tutte le cinquecentine ed incunaboli. Ma a che servono? Solo a giustificare il lavoro dei restauratori, di coloro che stanno lì a monitorare gli ambienti climatizzati, ecc. ecc. Eppure, anche in un manufatto come una legatura di un libro, un tipo di carta, di una copertina di di 45 o 33 giri si intravedono i segni di epoche, di culture, gusti e persino di modalità di organizzare il lavoro… Ma a cosa servono queste cose? Certamente non ad abbassare lo spread….

  7. sono sicuro che di cose da tagliare ve ne fossero parecchie molto più in alto nella lista della spending review. però un ente che dovrebbe fare di tutto per proteggere un patrimonio di contenuti (e qui io li vedo appena prioritari rispetto ai supporti, ma capisco che potremmo discuterne a lungo) magari avrebbe potuto fare di più per non mettersi esattamente al centro del mirino, tutto qui. si tratta solo di suggerire una strategia di difesa più intelligente verso qualcuno che puo’ decidere il tuo destino.

  8. La digitalizzazione non è il problema principale, come dice Pablita, una volta digitalizzati i cilindri di cera e tutti i supporti sonori, poi che fai, mica li puoi distruggere!! E’ comunque un bene che va valorizzato, magari con un bel museo facilmente visitabile.

  9. e se la scelta è tra distruggere il supporto e salvaguardare e rendere facilmente consultabile il contenuto? la sensazione è che il governo non faccia tutti questi distinguo, e se non arrivi con una proposizione di valore chiara, quelli tagliano e basta. nelle famose interviste e nei famosi appelli, non abbiamo visto una “difesa” accettabile, purtroppo

  10. Comparare l’ICBSA con l’INA si commette un grosso sbaglio. L’ICBSA ha una funzione molto precisa, fra cui, come ripeto, quella di deposito legale, ed ha tutte le competenze ufficialmente riconosciute per la gestione dei documenti sonori e audiovisivi (catalogazione, conservazione). L’INA francese invece nasce dallo scioglimento dell’ORTF (Office de Radiodiffusion-Télévision Française) e sarebbe quindi il corrispettivo delle nostre TECHE RAI. Allora la critica che lei fa all’ICBSA riguardo digitalizzazione e diffusione sul web dei propri contenuti deve essere fatta proprio alla Rai. Quest’ultima, infatti, non mette a libera disposizione sul web tutto il suo intero patrimonio, ma solo poche sequenze. Per potere invece consultare il materiale audiovisivo della RAI, in parte digitalizzato, è necessario andare presso la biblioteca della RAI o in alcune specifiche istituzioni. Qui a Roma ve ne sono solo due (escludendo la biblioteca della RAI) e, guarda caso, una di queste è proprio l’ICBSA.

  11. a criticare il progetto teche RAI (più o meno con le stesse motivazioni) ci ho pensato anni fa. adesso la dr.ssa scaramucci è nel comitato scientifico dell’ICBSA. giunga lei alle conclusioni del caso.

  12. Questo non vuol dire nulla… Nel comitato scientifico dell’ICBSA vi sono personalità che appartengono ad istituzioni perché spesso collaborano con l’ICBSA per progetti scientifici. Sono di vecchia data le convenzioni fra RAI e l’ex Discoteca di Stato. Comunque ancora una volta la invito ad informarsi sugli scopi istituzionali dell’ICBSA. lei sopprimerebbe una biblioteca nazionale? E se comunque un’istituzione di tale importanza deve essere soppressa, non lo si fa con un decreto, senza nemmeno mettere a conoscenza gli stessi dirigenti del ministero.

  13. guardi, sulle finalità dell’ICBSA non è difficile essere informati (“L’ICBSA ha il compito di documentare, valorizzare e conservare il patrimonio sonoro e audiovisivo nazionale implementato dal deposito legale previsto dalla Legge n.106 del 15 aprile 2004” è scritto sul sito, non me lo sono inventato io). “conservare e valorizzare il patrimonio sonoro e audiovisivo” secondo me (magari mi sbaglierò) significa conservare e valorizzare i contenuti, non i supporti. a mio parere l’opportunità della digitalizzazione nella valorizzazione del contenuto non è stata colta come sarebbe stato possibile. altri enti (comparabili o meno) ci sono riusciti, migliorando il servizio al pubblico. e dato che la spending review tende a individuare aree da tagliare che i cittadini possono comprendere, sarebbe stato meglio arrivare a questo “momento della verità” con una proposizione di valore al pubblico più aggiornata, e non con un portale “sperimentale” e “in beta” nel 2012. se la linea di difesa portata avanti nelle interviste e negli appelli prescinde da questo problema, parlando ancora di cilindri di cera e di eventi sui media, non penso che sarà molto efficace, tutto qui.

  14. Allora forse ancora non ha capito che che questa è una NUOVA versione dell’OPAC. Già da anni ne esisteva un’altra precedente nella quale era già possibile ascoltare i documenti digitalizzati ! inoltre forse lei non conosce affatto veramente l’ICBSA. E questo lo si vede dal fatto che nel suo articolo non aveva affatto parlato di progetti di digitalizzazione avviati dall’istituzione. Tanto è vero che poi ha dovuto fare la “doverosa precisazione”: forse qualcuno le aveva fatto notare della grande cantonata presa! In quanto a progetti di valorizzaizone, forse non ha visto che sul sito vi sono mostre virtuali, cataloghi di vecchi case discografiche digitalizzate, che io spesso, per motivi di lavoro, ho consultato. E sono sicura che anche davanti all’evidenza continuera a sostenerà che l’ICBSA è votata solo alla “conservazione dei rulli di cera”.

  15. per smontare questa sua bizzarra tesi la invito a rileggere questa frase tratta dal pezzo che forse avrebbe dovuto leggere più attentamente “ma perché mai, se questa è una istituzione culturale e non un club di feticisti pagato dai cittadini, non hanno pensato non dico adesso, ma almeno dieci anni fa a digitalizzare tutto ciò che avrebbe permesso oggi di mettere tutto in rete”. sapevo benissimo che era in corso un progetto di digitalizzazione, ma è partito tardi e non ha cambiato di una virgola l’accessibilità ai contenuti, facendomi sospettare che il preciso scopo fosse, appoggiandosi alla falsa verità che “supporti più facili = problema dei diritti insormontabile” avrebbe fatto sopravvivere le vecchie modalità di consultazione e fruizione rendendo necessari in eterno sia i vecchi supporti e quindi le vecchie professionalità. la sintesi è il classico “tutto deve cambiare affinchè nulla cambi”. per massimo scrupolo, ho fatto la precisazione nel primo commento relativamente ai tempi di attuazione del progetto (5 anni) proprio perchè anche il Luce aveva fatto partire un progetto di digitalizzazione in tempi analoghi, anche se con finalità completamente diverse. inoltre io non dico che l’ICBSA è votata alla conservazione dei rulli di cera, ma che non deve stupirsi se si trova al centro del mirino del governo non avendo saputo opporre argomenti convincenti (che magari potrebbero anche esserci) alla sua soppressione. secondo lei io mi auguro la soppressione di un ente votato alla “valorizzazione” di un patrimonio? ovviamente no, e quindi, se il direttore ha argomenti seri li tiri fuori invece di parlare (lui, non io) di rulli di cera. ah, attenzione ad elevare le proprie opinioni a evidenze. io non mi sognerei mai, ma forse è una questione di carattere.

  16. Ma forse non sa che il materiale sonoro che l’ICBSA digitalizza NON E’ DI PRODUZIONE PROPRIA, differentemente dall’Istituto Luce. Trattasi invece di documenti audio prodotti da varie casa discografiche, che quindi sottostanno alla legislazione sul diritto d’autore e, in particolare, di connessi. Qui in Italia, differentemente invece dalla Francia, la legislazione sull’argomento in questione è molto restrittiva. Le dico solo che siamo gli unici in Europa a poter riprodurre solo il 15% delle pubblicazioni ancora in catalogo, per uso personale. Intanto, in Francia, attuano progetti come Gallica, che prevedono la digitalizzazione non solo di materiale oramai esente da diritti, ma anche il contrario, e questo grazie ad accordi con le case editrici. Magari qui in Italia una cosa simile! Troppi interessi in ballo! E lo dico da bibliotecaria. Penso che il problema non sia affatto di natura tecnologica, ma POLITICA. Con gli audiovisivi o documenti audio, la faccenda è più complessa, poi, perché, come può immaginare, vi subentrano molte tipologie di diritti! Guardi che io lavoro in un’istituzione culturale che produce concerti dal vivo e che utilizza molto i media per la promozione. Abbiamo digitalizzato molti concerti, ma non possiamo farli ascoltare via internet sempre per i soliti problemi legislativi. Eppure, tecnicamente parlando, basterebbe pochissimo! L’abbiamo potuto fare solo con un concerto degli anni ’30 o ’40 (ora non ricordo l’anno con l’esattezza). Purtroppo gli utenti devono venire in sede per ascoltarli, secondo le “vecchie modalità”

  17. Una volta tanto concordo con lei: bisogna sempre migliorare. La centralità dell’utente deve essere il pensiero constatante di coloro che operano nelle istituzioni culturali

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