Caso Assange: un “eroe mediale” o una “pedina geopolitica”?

Julian Assange è tornato alla ribalta delle cronache in questi giorni, per l’assedio del quale è protagonista nell’ambasciata ecuadoregna di Londra. Ciò per sfuggire a una richiesta di estradizione dovuta a ragioni processuali, che si è tramutata (almeno in apparenza) in una caccia all’uomo per ragioni politiche. Un palcoscenico mediatico dal quale da giorni, Assange lancia proclami al mondo riguardo alla libertà d’informazione, alla giustizia e alla condotta politica delle nazioni.

Una cosa che non va giù agli Stati Uniti, che hanno bollato le dichiarazioni di Assange come “folli”, invitandolo a farsi processare per le accuse di violenza sessuale ai danni di due donne svedesi. Accuse per le quali vige nei suoi confronti un mandato di estradizione, approvato dalla Corte Suprema britannica, in base al quale Assange dovrebbe essere consegnato alle autorità di Stoccolma per un interrogatorio riguardo al caso. In seguito alla decisione della Corte inglese, Assange ha pensato bene di rifugiarsi nell’ambasciata di Quito, definendosi un “perseguitato per ragioni politiche”.

Le origini del “Caso Assange”

Assange è diventato protagonista delle prime pagine di tutto il mondo nel 2010 quando, da papà del portale Wikileaks, pubblicò 251mila documenti statunitensi classificati come “top-secret” o “riservati”. Azione che costò al giornalista-hacker l’apertura di un’indagine per spionaggio negli Usa (per la quale rischia la pena di morte), e che pende oggi sulla sua testa come una “spada di Damocle”; e potrebbe più facilmente cadergli in testa se una volta estradato in Svezia venisse di rimando spedito negli Stati Uniti.

E’ da allora, da quando il “caso politico” si è intrecciato con il “caso giudiziario” svedese (da alcuni considerato sospetto per tempi e modalità), che Assange è divenuto una pedina sullo scacchiere mondiale della politica estera. Un soggetto che funge da “bomba mediatica” a favore di forze politiche e geopolitiche che lo trascinano a fasi alterne dalla propria parte.

Chi è dunque Assange? Un paladino della libertà d’informazione perseguitato, o una pedina sullo scacchiere politico internazionale? Chi sia realmente sembra impossibile dirlo, basta scorrere la sua pagina su Wikipedia, per capire quanto la sua figura sia controversa; e quanto la sua vicenda, metta in risalto il ruolo decisivo delle tecnologie della comunicazione nel binomio “politica internazionale e sicurezza”.

Assange: l’arma mediatica via Web che piace ad “alcuni” Governi

Come ci ha spiegato Chiara Felli, Ricercatrice presso l’IsAG – Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie e redattrice dell giornale online Geopolitica, il fenomeno Assange “mette in chiara luce l’immenso potere delle informazioni e la loro capacità di influenzare, nonché di far traballare, relazioni bilaterali e multilaterali tra partner consolidati ma un altro aspetto è importante sottolineare secondo la Dottoressa Felli, che aggiunge – Nel discorso di domenica, Assange ha fatto un breve cenno alla condanna delle Pussy Riot parlando di “unità nell’oppressione” internazionale. Finora, tuttavia, non può dirsi che vi sia unità di approccio nei suoi confronti. Il fronte diplomatico internazionale è spaccato, e non per un vero sentimento di difesa o contrasto alla libertà di stampa e alla diffusione di dati sensibili, quanto in virtù di considerazioni prettamente geopolitiche che contribuiscano a determinare nuovi equilibri politici internazionali“.

Un’arma geopolitica dunque, Assange sarebbe diventato un “bastone mediatico” da brandire contro le potenze nemiche, fomentando l’opinione pubblica. Ma la grande contraddizione però, se si guarda ai suoi potenti sostenitori, è che essi non sono affatto dei virtuosi delle libertà civili e della libertà d’informazione. Quando nel 2010 Assange fu imputato per stupro e arrestato a Londra, i suoi più strenui difensori furono il russo Vladimir Putin e il Presidente dell’Ecuador Rafael Correa. Il leader politico russo, considerato da molti un autocrate, disse che l’arresto di Assange era un “atto ipocrita e anti-democratico”.

Nel 2010 Rafael Correa, dal canto suo, aveva già offerto ad Assange il diritto d’asilo dopo il suo rilascio in Rete dei documenti segreti americani. “In questo contesto è stato cruciale, e continua ad esserlo, il supporto dei paesi dell’America Latina, in primis dell’Ecuador – ci ha spiegato Chiara Felli, che ha sottolineato come – appare evidente che Correa stia diventando sempre più il paladino sudamericano nella lotta alla visione egemonica di Washington, anche in virtù dell’indebolimento “fisico” di Hugo Chavez. Sul caso Assange, anche l’Organizzazione degli Stati americani (Osa) ha convocato un incontro per il prossimo venerdì 24 agosto”.

Una situazione paradossale secondo la Dottoressa Felli, quando ci spiega che “Correa non ha un buon rapporto con i media privati, tutti legati all’opposizione, e viene tacciato continuamente di negare la libertà di stampa. L’ultimo rapporto di Freedom House depone in tal senso, sottolineando che in Ecuador esiste una cultura volta ad ostacolare i giornalisti“.

Da giornalista a “eroe mediale”

La forza di Julian Assange viene dunque dal suo essere una sorta di web journalist con una “voce” di livello internazionale, che lo rende così utile anche alla politica? Forse, è diventato egli stesso un personaggio politico. “Costituisce senza dubbio un “eroe mediale” nell’accezione che dell’espressione si fa ormai da tempo nei media studies – ha spiegato a Tech Economy Michele Sorice, Professore di Comunicazione Politica e Direttore del Center for Media and Communication Studies alla LUISS, che ha aggiunto – Assange ha giocato il ruolo del profeta della libertà dell’informazione e, per certi versi, si è auto-rappresentato come una specie di leader politico sovranazionale sui grandi temi della trasparenza della democrazia. In quest’ottica vanno lette le sue dichiarazioni da “leader”, rivolte al presidente Obama o ai governi europei“.

Il suo ruolo di eroe mediale ha un peso politico non trascurabile, che ci spinge a riflettere sulle dinamiche che hanno portato Assange a questo ruolo, ma anche sul modo in cui sono coinvolte le comunità democratiche. “Il caso “Assange-Wikileaks” ci interroga in maniera profonda sulle relazioni fra libertà, privacy, censura, diritto-dovere all’informazione, e logiche della responsabilità sociale – secondo il Professor Sorice – Si tratta di questioni di non poco conto che, ben oltre Assange, le democrazie occidentali dovrebbero discutere in profondità, proprio perché sono le uniche che possono farlo; sarebbero più credibili che non facendo dimostrazioni di forza davanti alle ambasciate“.

Il “nodo Assange” tra sicurezza e rischi per la democrazia

Non è dunque assediando Assange che si fa il gioco delle democrazie, ma vi sono contraddizioni e prospettive sulle quali interrogarsi per sciogliere il “nodo Assange”; in particolare riguardanti la sicurezza degli stati e dei cittadini, oltre alla questione del giornalismo di oggi e della direzione che ha preso o dovrebbe prendere.

In merito alla sicurezza “è indubbio che dare trasparenza a informazioni “opache” costituisca un pericolo potenziale non solo per i soggetti direttamente coinvolti come agenti segreti, personalità diplomatiche o capi di governo – ha sotolineato il Professor Sorice – ma anche per le cittadine e i cittadini che potrebbero sperimentare rischi per la propria sicurezza personale, come nel caso di operazioni complesse (e spesso avvolte da “opacità”) che tendono tuttavia a smantellare reti terroristiche e criminali internazionali“.

Un problema rispetto al quale la filosofia di Assange fa eco come una campana sorda, rendendosi disponibile ai giochi mediatici di alcune nazioni a danno di altre. “Russia Today ha assegnato un programma televisivo di intrattenimento politico The World Tomorrow al fondatore di Wikileaks – ci ha ricordato Chiara Felli – il quale ha debuttato con l’esclusiva intervista al leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ricercato quale criminale da Stati Uniti ed Israele“.

Non certo un approccio a favore delle comunità democratiche dunque, ma nella accesa partita tra nazioni rivali, gioca un ruolo anche quella fetta di opinione pubblica che si affida a lui; soprattutto per quella fascia più intransigente che ama il “lato hacker” di Assange. Dal 2010 infatti, sono molti quelli che si ispirano a lui nelle loro azioni pirata via Web, compresi gli hacker che quell’anno l’offensiva “Payback“. Un’operazione, forse la più soft, che mirava a mettere fuori uso i siti e le strutture operative via web di istituzioni legate alla sicurezza, al copyright, ed ai pagamenti online. Una vera cyberguerra fomentata (più o meno consapevolmente) da colui che dichiara di sostenere la pace sociale.

Quale giornalismo in futuro?

Il caso “Assange-Wikileaks” ci costringe a diverse riflessioni  ognuna delle quali produce a sua volta conseguenze di carattere etico, politico e, ovviamente, di policy della comunicazione in rete – ha sottolineato il Professor Sorice, che ha però aggiunto – se è necessario tutelare le persone e le istituzioni, è lecito che tale tutela avvenga a discapito di quegli stessi imperativi etico-culturali che sono soggiacenti all’idea liberale di democrazia? In altre parole, la trasparenza (per quanto parziale) prodotta da Wikileaks non potrebbe costituire una moderna rivisitazione della funzione di “watch-dog” che tradizionalmente viene (o veniva?) attribuita al giornalismo?“.

Un interrogativo al quale occorrerà dare una risposta, al di la del ruolo che oggi ha assunto il tema attorno ad Assange, ma accanto al quale secondo il Professor Sorice va evidenziato un altro aspetto: “molte delle informazioni circolate non riguardavano la sicurezza bensì comportamenti discutibili di etica pubblica (spese gonfiate, privilegi, etc.), episodi non dissimili da quelle deformazioni della politica che (in maniera a volte populistica) molti commentatori stigmatizzano anche in Italia – ha rilevato Sorice, che ricorda come – sempre, il confine fra la denuncia e la delazione, fra l’inchiesta e la violazione di segreti non è facilmente afferrabile. E, d’altra parte, quando parliamo di Wikileaks non è chiaro dove sia il confine fra logica wiki e pratiche hacker”.

Un caso quello di Julian Assange che pare ci accompagnerà a lungo ancora, tra rischi sul piano internazionale, come arma mediatica dei governi; e sul piano etico e comunicativo, come artefice di un nuovo giornalismo che spesso minaccia e scuote con forza le fondamenta delle democrazie.

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1 COMMENT

  1. ……. ma perche non dıte anche quello che dıce Assange?? e rıportate ıl parere dı un Prof della LUISS che preferısce ıl segreto per un bene superıore destınato a non so chı ( anche se sı sa chı ne trae vantaggıo ın questı gıochı dı ”geopolıtıca” ) vı pıace tanto rıempırvı le bocche dı condanne, e defıınıre chı tenta dı rıportare la verıta alla luce un ”Hacker” anche questo non e per un bene suoerıore??

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