La bozza di Costituzione, redatta tramite consultazioni in rete, è stata approvata dal 66.3% degli elettori votanti Islandesi.
La carta nasce sull’onda dell’indignazione popolare per la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito l’isola nel 2008. Una commissione composta da 25 cittadini comuni fu selezionata due anni fa con il compito di redigere una bozza costituzionale. I 25 membri decisero di coinvolgere democraticamente tutta la cittadinanza sfruttando le potenzialità della rete. Il testo è stato alla fine redatto sulla base di circa 3600 commenti e 370 suggerimenti.
Il Parlamento del paese decise poi (estate 2011) di sottoporre la bozza a referendum non vincolante il cui risultato non lascia molti dubbi. Quella che viene definita la Costituzione 2.0, ha ottenuto un sostegno da parte degli islandesi molto superiore al quorum minimo necessario (49%). L’affluenza alle urne sarebbe stata, però, più bassa rispetto a quella registrata ad Aprile 2011 per il referendum che negò il risarcimento di 4 miliardi di dollari agli investitori britannici e olandesi colpiti dal fallimento della banca online ‘Icesave’.
I referendum per cui si è votato erano in realtà sei, inerenti diverse materie. Oltre alla bozza costituzionale erano in discussione: lo status legale della Chiesa nazionale islandese, referendum proponibili dal 10% degli elettori, e l’introduzione di un limite ai mandati presidenziali. Di particolare rilievo, poi, per un paese la cui economia dipende molto da risorse ittiche ed energia geotermica, il referendum inerente l’introduzione dell’obbligo a dichiarare tutte le risorse naturali non private “proprietà nazionale”.
Il processo di riforma, vista la non vincolarità della consultazione e le apparenti divergenze politiche, potrebbe essere ancora lungo. Il governo socialdemocratico e l’opposizione di centro-destra, stando a dichiarazioni dei giorni scorsi, sembrano interpretare al bozza costituzionale ed il processo attraverso cui è stata redatta in maniere molto differenti. L’opposizione si richiama a logiche più tradizionali di riforma, rispetto a quella partecipativa adottata. “C’è un Parlamento eletto per tali questioni“. Mentre la premier socialdemocratica Johanna Sigurdardottir è una forte sostenitrice della Costituzione 2.0. “Se queste proposte devono diventare la base per una nuova Costituzione? Rispondo sì, senza esitazioni”.
Facebook Comments