Perchè Facebook dovrebbe essere una democrazia?

Nel corso delle ultime ore, tutti gli iscritti a Facebook hanno ricevuto un messaggio contenente informazioni sull’ “Aggiornamento alla Normativa sull’utilizzo dei dati e alla Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità”.
Immagino che pochi gli abbiano prestato reale attenzione (non mi sembra, ad esempio, che i miei “amici” ne abbiano discusso) abituati, ormai, a continue modifiche delle condizioni e dei termini d’uso dei social media  a cui sono iscritti.

Ma questo aggiornamento è più importante rispetto agli altri. In particolare le modifiche riguardano, sempre citando la comunicazione, “nuovi strumenti per gestire i messaggi di Facebook; Modifiche al modo in cui ci riferiamo a determinati prodotti; Suggerimenti per la gestione del diario; Promemoria sulle informazioni che sono visibili alle altre persone su Facebook”.

Insieme a questi aggiornamenti, Facebook ha introdotto un cambiamento del meccanismo di approvazione delle modifiche da parte degli utenti fin qui vigente. Tale meccanismo (vigente dal 2009) prevedeva la possibilità, qualora 7.000 utenti lo richiedessero, di tenere una specie di “referendum” che sarebbe stato valido qualora avesse partecipato almeno il 30% degli iscritti (che nel 2009 erano “appena” 200 milioni e oggi sono circa un miliardo).

Questo tipo di consultazione aveva instillato una illusione di partecipazione che adesso viene duramente frustrata.

Le motivazioni del “social network” per eccellenza (che potete leggere in questo post) sono che questo meccanismo non è più funzionale al numero di utenti sempre maggiore, ma anche (e forse soprattutto) al fatto che non è stato produttivo: Facebook, cioè, è deluso dai suoi utenti (molto “copia&incolla” e scarsa capacità propositiva). Ecco, allora, l’idea di sostituire questo sistema con uno – diverso – che prevede un contatto “diretto” con il Chief Privacy Officer, Erin Egan, che terrà anche degli aventi live per rispondere alle questioni riguardanti la privacy, la gestione dei dati e la loro sicurezza.

Il nuovo meccanismo prevede che le informazioni sulle modifiche verranno pubblicate su un’apposita pagina chiamata FBsitegovernance (mettete un like se volete ricevere gli aggiornamenti) sulla quale, entro un certo termine, sarà consentito agli utenti di inviare delle proposte di modifica.

 Soltanto il tempo – e l’atteggiamento di Facebook – ci dirà se il passaggio “dal voto al commento” potrà considerarsi efficace. Nel frattempo, vanno fatte alcune considerazioni.

Dopo l’annuncio, immancabili sono arrivate le proteste, specialmente negli USA: in tanti, pure autorevoli, hanno lamentato che Facebook non sia più una democrazia. Ma – e questo va sottolineato con forza – Facebook non è mai stata una democrazia, né voleva esserlo!

Il fatto che noi iscritti non abbiamo mai pagato per essere sul social network, evidentemente, ha dato ai più l’impressione di trovarsi in uno “spazio pubblico”. Niente di più sbagliato: si tratta della piattaforma di un soggetto privato con cui abbiamo stipulato un contratto. E le scelte del gestore della piattaforma, nel rispetto delle leggi e del contratto con gli utenti, sono ovviamente orientate dal business.

Per non parlare del fatto che, in realtà, la previsione del voto degli utenti non ha mai davvero inciso sulle policy del social network. Nel corso dell’unica consultazione svolta con questo sistema, ha partecipato alla votazione solo lo 0,038% degli iscritti (rispetto al 30% richiesto per l’efficacia della consultazione).

Come qualcuno aveva da tempo previsto, il meccanismo – così come congegnato – era destinato al fallimento e, quindi, era necessario cambiare.

Certo, siti come Facebook e Twitter hanno un’importanza tale (e sempre crescente) nella vita delle persone da dover imporre un ripensamento dello stesso concetto di “servizio pubblico” (negli USA la FCC ha avviato delle consultazioni in merito, dopo l’uragano Sandy) che comporti dei livelli minimi di garanzia e coinvolgimento degli utenti. Il tema della governance di “Facebookistan” è quindi una questione di cui, sicuramente, bisognerà occuparsi.

In questo, confesso che mi ha colpito la parte in cui si manifesta delusione per la scarsa qualità della partecipazione degli utenti. Occupandomi proprio di processi partecipativi in ambito pubblico, devo dire che ho trovato che queste affermazioni confermano le esperienze che ho seguito. Le nuove tecnologie, il Web 2.0 consentono agli utenti di poter partecipare al processo decisionale: ma vogliono farlo? Hanno il tempo e la preparazione per farlo? E soprattutto: vogliamo utilizzare Internet come un seggio virtuale o come moderna “agorà” in cui discutere dei problemi e migliorare la qualità delle scelte?

Si tratta di discussioni aperte, ma l’esperimento portato avanti da Facebook (che spesso, per il numero di utenti, viene paragonato ad una nazione) può essere utile anche per governi e amministrazioni di tutto il mondo. L’insegnamento è che, al momento, non funziona un sistema plebiscitario in cui le persone debbano solo votare, ma – forse – è preferibile sperimentare un sistema in cui gli utenti siano prima informati e alfabetizzati (con la trasparenza sui dati e sui processi) e siano messi in condizione di fornire elementi ai decisori.

Perché, in democrazia, nessuno ha il monopolio delle buone idee ma tutti sono tenuti ad impegnarsi: i cittadini informandosi e partecipando, coloro che hanno la responsabilità delle scelte attraverso il coinvolgimento delle persone e l’ascolto.
La democrazia è la migliore forma di governo, non anche la più comoda.

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Avvocato, specializzato con lode in Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione. Si occupa, per professione e per passione, di diritto delle nuove tecnologie e di diritto amministrativo. Docente presso l’Università degli Studi della Basilicata, è relatore in convegni, incontri e seminari sulle materie di attività e tiene lezioni in Master Universitari, corsi di formazione e specializzazione. Autore di numerose pubblicazioni (cartacee e digitali) sui temi del Diritto Amministrativo e dell’Information Technology Law, è Vice Direttore del Quotidiano di informazione giuridica “LeggiOggi.it” e componente del Comitato Scientifico della Rivista “E-Gov” di Maggioli. È referente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza presso la Fondazione Italiana per l’Innovazione Forense (FIIF) e componente del Gruppo di Lavoro per i giovani avvocati del Consiglio Nazionale Forense. È socio fondatore e segretario generale dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione e Presidente dell'Associazione Italiana per l'Open Government; oltre al proprio blog (“Diritto 2.0”), è tra i curatori di "TheNextGov", uno spazio sul sito de "L'espresso" in cui parla di nuove tecnologie e innovazione in ambito pubblico.

1 COMMENT

  1. Forse nel mondo moderno sempre più “piccolo e vicino” occorre rivedere il concetto di democrazia o meglio di partecipazione alla democrazia. Infatti quanto più aumentano i partecipanti ad una “decisione”, tanto più è difficile organizzare una partecipazione reale alla decisione. La democrazia del villaggio antico era semplice: 10 anziani riuniti sulla piazza. Il consociativismo totale non può essere lo strumento per la democrazia del villaggio globale. E allora dobbiamo contentarci di una pseudo libertà governata da pochi?
    Io penso che una democrazia moderna si basa sulla formazione delle regole che nasce da una organizzazione piramidale dei cittadini che parte dai singoli che si aggregano in formazioni sempre meno numerose e più rappresentative per arrivare agli organi maggiori di uno stato moderno. In modo molto banale, ed estremizzando il concetto, i gradini potrebbero essere: il singolo, i partiti, il Parlamento, il Governo.

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