Datagate: i giganti del web dentro Prism, bufera sulla Casa Bianca

Le telefonate spiate ma anche l’accesso ai server di colossi come Microsoft, Google, Facebook, Skype e Apple, per estrarre foto, video e contatti controllando potenzialmente di fatto la vita di milioni di americani. Lo scandalo dei controlli dell’Agenzia nazionale per la sicurezza (Nsa) si allarga, mentre il New York Times attacca duramente il presidente americano Barack Obama: “L’amministrazione ha perso credibilità“, afferma il quotidiano. E il comitato editoriale, uno dei più influenti degli Stati Uniti e che tradizionalmente appoggia le politiche dell’amministrazione, si spinge anche oltre: le telefonate spiate sono un “abuso di potere che richiede vere spiegazioni”, anche se il governo ha risposto “con le stesse banalità che ha usato ogni volta che il presidente Obama è stato sorpreso a eccedere nell’uso dei suoi poteri“. Oltre ai tabulati delle telefonate, l’Nsa e l’Fbi – riporta il Washington Post – hanno accesso diretto ai server di nove giganti internet tramite un programma segreto, dal nome in codice Prism, che somiglia molto “a quello controverso voluto dal presidente George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre”. Un programma creato nel 2007, e al quale Microsoft è stata la prima a diventare partner nel maggio di quell’anno.

A rivelare i dettagli di Prism è Edward Snowden al Guardian. Il giovane ex tecnico della Cia, lavorava come informatico per un contractor privato, la Booz Allen, negli uffici della Nsa delle Hawaii. E lì ha deciso di copiare documenti top secret e farli conoscere al mondo. È fuggito in un hotel di Hong Kong, e da qui rivela la sua identità: “Non ho avuto intenzione di nascondermi perchè so di non aver fatto nulla di male”, esordisce teso e stanco. È consapevole della gravità della sua azione, ma la difende mostrandosi come un martire pronto a pagare ogni prezzo dal punto di vista personale pur di difendere i valori in cui crede. A giudicare dalle sue prime parole sembra un idealista magari ingenuo, ma non un mercenario, tantomeno un militante politico nemico degli States. “Non voglio vivere in una società che fa questo tipo di cose”, afferma candidamente. “Avevo una vita comoda – spiega – una ragazza, un lavoro molto ben pagato e una carriera brillante davanti. Ma ho deciso di sacrificare tutto perchè non avevo la coscienza a posto nel permettere che il governo Usa distruggesse ogni privacy, le libertà della rete e i diritti fondamentali delle persone in tutto il mondo“. Ora la sua prima preoccupazione è che la sua storia personale non oscuri il valore politico della fuga di notizie: “Ora il mio unico obbiettivo è informare il pubblico. Ho fatto tutto questo non perchè voglio pubblicità su di me, ma su quello che ha combinato il governo. Vorrei che l’attenzione sia sui documenti e sul dibattito che spero queste notizie provocheranno tra i cittadini in tutto il mondo su quale tipo di pianeta vogliamo vivere“.

Dal canto loro maggiori colossi del web non ci stanno a finire nella bufera mediatica scatenatasi con il datagate: da Facebook a Google, da Yahoo a Apple, i giganti tecnologici americani si sono affrettati oggi a diramare una serie di comunicati in cui negano che il governo americano sia mai entrato nei loro server. Ma è il New York Times a svelare il contrario: malgrado le smentite ufficiali, i big della Silicon Valley di fatto aderirono al Prism. Nella hit parade dei paesi più sorvegliati spiccano Iran (14 miliardi di informazioni), Pakistan (13,5 miliardi) e a sorpresa Giordania (12,7), oltre a Egitto (7,6) e India (6,3). E c’è anche la Germania nel sistema Boundless Informant, Informatore Illimitato. Secondo il NYT, a più riprese gli uomini della National Security Agency (Nsa) ebbero incontri riservati con i vertici delle grandi aziende tecnologiche per stabilire quale fosse il sistema più efficiente e sicuro per collaborare e condividere questa mole impressionante di dati. E secondo il giornale, vi prese parte perfino Martin E. Dempsey, capo di stato maggiore della Difesa. Insomma, ci furono veri e propri negoziati tra gli uomini della Nsa e i grandi gruppi come Google, Facebook, Aol e Apple. Del resto la legge era dalla parte del governo: la loro richiesta dei dati è autorizzata dal controverso Foreign Intelligence Surveillance Act. Ma al di là delle nuove rivelazioni, Mark Zuckerberg ha difeso il suo social network direttamente dalla bacheca di Facebook da quelle che ha definito informazioni “oltraggiose”. “Facebook non fa parte e non ha mai fatto parte di alcun programma per fornire al governo Usa o ad altri governi accesso diretto ai nostri server, e mai abbiamo ricevuto alcuna richiesta o ordine giudiziario di fornire informazioni”, scrive Zukerberg, aggiungendo: “Fino a ieri, non avevamo neanche mai sentito parlare di Prism”. “Quando un governo ci chiede i dati, noi controlliamo attentamente ogni domanda, per essere certi che segua le corrette procedure e le leggi”, afferma ancora, assicurando agli iscritti di Facebook: “Continueremo a combattere aggressivamente per tenere le vostre informazioni al sicuro“. Anche Google, con un comunicato molto simile postato su internet, ha smentito qualsiasi coinvolgimento nel programma di controllo. I dirigenti del gigante di Mountain View hanno fatto sapere che “qualsiasi affermazione secondo la quale Google rivela informazioni sui propri utenti su così larga scala è completamente falsa”.Forniamo i dati degli utenti solo se le richieste sono conformi alla legge. Quando un governo ci chiede tali informazioni, il nostro team legale esamina attentamente ogni domanda, e spesso le respinge se non seguono le corrette procedure o sono troppo ampie“, spiegano i vertici di Google. Stessa tesi è sostenuta anche da altre aziende come Microsoft, Aol, Yahoo e Apple. Il timore di tutti, ovviamente, è che la gente cominci a diffidare di tutte le piattaforme, scatenando una vera e propria ‘fugà dalla rete per sottrarsi all’onnipresente vigilanza del Grande Fratello.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here