Agenda (dei buoni propositi) digitali: cosa lasciare al 2013 e cosa fare nel 2014

Come ogni anno, con la fine dell’anno arriva il tempo di liste di cose da lasciare, da tenere, da sperare, da prevedere. E’ tempo di auspici e di auguri. Di speranze e di progetti. Ecco quindi una personalissima lista di cose da lasciare nel 2013. E per non essere disfattista, per ogni cosa da lasciare nel 2013 ne propongo una portarci dietro…

1. Agenda Digitale: dai proclami all’azione

Scherzando e ridendo sono passati più di due anni, e (quasi) nulla si è mosso. La prima cosa da lasciare nel 2013 è la politica dei proclami. Cose da fare che non vengono mai fatte, dichiarazioni alle quali non seguono mai azioni. Tavoli tecnici, cabine di regia e orde di saggi che producono carta, carta, carta e null’altro. Statuti che hanno periodi di gestazione più lunghi di quelli degli elefanti asiatici.  Agenzie inutili che si affastellano per non rimuovere dirigenti che diventano così altrettanto inutili. E quindi lasciamo la politica dei proclami sull’agenda digitale, per trasformarla in una politica delle azioni. Azioni concrete, una volta tanto: proprio non possiamo più farne a meno.

2. Digital Champion: dai fantasmi agli attori di cambiamento

In un Paese come il nostro Il tema della Digital Inclusion dovrebbe avere un ruolo centrale nell’agenda politica. Eppure ciò sembra sfuggire totalmente ai nostri governanti, che si ostinano a conferire la carica di Digital Champion a personaggi che sembrano persino ignorare di esserne titolari. Non comprendere che attuare l’agenda digitale non è la stessa cosa che promuovere il digitale tra gli utenti, le aziende e le istituzioni è un errore strategico madornale, che pagheremo caro. Francesco Caio è letteralmente un fantasma in rete. Non si può dire che comunichi male: semplicemente non comunica. Nè in rete né altrove. Non è questo il suo ruolo né la sua priorità. La speranza è quindi che Francesco Caio faccia per bene Mr. Agenda Digitale, ma si lasci alle spalle il ruolo di Digital Champion. Lo lasci nel 2013 per darlo, nel 2014, a qualcuno che sappia, voglia e possa ricoprirlo al meglio.

 3. Smart City: dai progetti (inutili) agli smart citizen

Esauriti i finanziamenti “sapientemente” distribuiti dai bandi MIUR senza che vi fosse un reale piano d’azione, poco rimarrà di smart alle nostre città. Sarebbe auspicabile che lasciassimo nel 2013 le smartcity fatte di progetti inutili, pensati per accontentare pochi fornitori di hardware, per iniziare a ragionare a reali progetti di sistema, nei quali i cittadini siano realmente “centrali”. Non ha senso parlare di Smart City senza smart citizen che le abitino. E che sappiano coglierne le opportunità. Servono infrastrutture (di rete) e cultura (digitale). Il resto viene dopo.

4. Open data: dal voyeurismo alla partecipazione

Il 2013 è stato l’anno nel quale il tema dell’open data è uscito dal circuito degli esperti per diventare un argomento d’attualità, “complici” anche i nostri politici. Che lo hanno reso – diciamo così – “centrale”. La speranza è che ora ai dataset pieni di orari di apertura dei barbieri e tracciati delle piste ciclabili si affianchino dataset realmente utili. E che nel 2014 si comprenda finalmente come l’opendata non sia un punto di arrivo, ma un punto di partenza abilitante a sviluppare quei percorsi di partecipazione dei quali abbiamo tanto bisogno nel nostro paese, e che rappresentano la vera risorsa dell’Open Government.

5. Startup: dalla retorica del “nuovo è bello” alle azioni di sistema

Secondo forse solo a quello delle SmartCity, quello delle startup è il fenomeno più strumentalizzato del dibattito sulla ripresa economica del nostro Paese. Rappresentare le Startup come l’unica strada verso la ripresa – una vera e propria sineddoche – non è solo scorretto, è criminale. In primo luogo perché non può esistere un ecosistema favorevole per le startup se non si coinvolgono il sistema della ricerca, le università, le grandi industrie, il sistema del capitale di rischio (che in Italia praticamente non esiste). In secondo luogo perché troppo spesso si “trascura” di ricordare a chi fa startup che, anche negli ecosistemi più favorevoli, la maggior parte delle startup è fisiologicamente destinata al fallimento. Ed in Italia il fallimento, al contrario di quanto succede nei Paesi ove sulle startup si investe davvero, è ancora considerato un’onta. L’auspicio per il 2014 è che si abbandoni la “moda” delle startup ad un euro per arrivare ad un contesto ove chi ha buone idee possa davvero portarle avanti, rischiando di fallire, si. Ma anche avendo l’opportunità di riuscire. Senza i ridicoli vincoli delle così dette “startup innovative”.

6. Social Network: dalla comunicazione ai processi

I Social Network non sono (solo) una questione di comunicazione. Nel 2013 molte aziende li hanno scoperti, li hanno confusi per uno strumento di comunicazione tra gli altri, si sono scottate. E’ auspicabile che si lasci al 2013 il fraintendimento in base al quale il social networking riguarda (esclusivamente) la comunicazione, per portarsi nel 2014 la consapevolezza che “essere sui social network” non vuol dire aprire una pagina su Facebook o su Twitter. Vuol dire, invece, capire come tali strumenti cambino la comunicazione, ma anche il marketing, il servizio clienti, la logistica, e così via. Non comprenderlo fa si che invece di cogliere le opportunità del social networking se ne subiscano le minacce.

7. Digital Economy: dal contrasto al supporto

Webtax, Equo Compenso, Regolamento AGCom, Facilitazioni per l’editoria, Copyright. Chi più ne ha, più ne metta. L’ultimo trimestre del 2013 ha dimostrato come le reazioni dei nostri legislatori all’innovazione siano basate esclusivamente sull’intento di “disinnescare” il potenziale di cambiamento portato dalla Digital Economy per difendere interessi consolidati e per contrastare le istanze di cambiamento promosse dal digitale. L’auspicio non può che essere che finalmente si comprenda come il digitale comporti la necessità di cambiare, ed il cambiamento vada supportato, non contrastato. Questo, naturalmente, se si crede nella digital economy. Diversamente, basta decidere di tornare al treno a vapore. Che non sarebbe mai nato senza una vera rivoluzione (industriale), peraltro.

8. Visione di sistema: dalla visione di settore alla visione d’insieme

Last but not least, il modo in cui vediamo le cose. Ancora oggi la digital economy è dominata da visoni parziali, che ci costringono a guardare ognuno nel suo piccolo mondo, senza renderci conto che i singoli fenomeni non sono altro che tessere di un puzzle più complesso, che disegna la rotta della nostra società. E soltanto guardando al disegno complessivo ci si rende conto di come tutto sia connesso. Si parla di internet of things, ma si fatica a comprendere cosa succederà alle cose quando queste saranno connesse. Si stenta a capire cosa diventeranno gli oggetti, quando saranno in rete. Ragioniamo di social network, ma non riflettiamo su come questi inizieranno ad interagire con quelle cose, connesse e spesso senzienti, che nel frattempo avremo messo in rete. Si parla di Big Data, ma non si capisce che non saranno solo un’opportunità, ma una vera e propria necessità per districarci nell’esplosione di informazioni derivanti dal combinato disposto di internet of things, social network, dispositivi mobili. Serve visione d’insieme. Dobbiamo lasciare al 2013 le visoni di settore. Serve una maggiore capacità di guardare al contesto, per non perderci nei dettagli. Altrimenti saranno i dettagli a far si che si perda l’obiettivo generale dell’innovazione. Ed evitare di perderlo è l’auspicio più impegnativo ed importante per il 2014 

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