Twitter e Social Care, quanti e quali canali

«Mi faccio in quattro per te». «Ma anche no!».
Così, in questo immaginario dialogo, verrebbe voglia di sintetizzare il rapporto che, con crescente frequenza, si starebbe involontariamente creando tra clienti e Brand nel loro modo di fare #SocialCare. Questo almeno stando alle ultime analisi di «Socialbakers» e al suo consueto report, pubblicato proprio qualche giorno fa, sul livello #SociallyDevoted delle aziende su Twitter per il primo trimestre 2014 nel mondo. I Brand infatti lascerebbero ancora molte, troppe richieste insolute: a causa anche della confusione che nascerebbe dal moltiplicarsi di account dedicati al Customer Care online, in cui il Brand si sdoppia affiancando al proprio canale ufficiale uno o più diversi account riservati al supporto. Intenzioni più che ottime: ma che non sarebbero sostenute, stando alla ricerca, dalla capacità di monitorare e presidiare davvero tutti i sentieri dove, a questo punto, il cliente potrà passare per chiedere aiuto. Un mare magnum di richieste che – secondo lo studio – getterebbero nel caos utente e Brand: il cliente, non sapendo più a chi chiedere, finirebbe per chiedere “a tutti”, moltiplicando così i carichi di lavoro, e l’azienda, non sapendo più dove cercare, cercherebbe “ovunque”, incrementando il tasso di ingestibilità della mole da smaltire.

social_mediaCome se dunque – per farsi in due o in quattro, con l’apparente intenzione di aiutare meglio – si andasse invece a “spersonalizzarsi”, a perdere la propria individualità di “amico”, distaccando il «Social Care» dalla propria identità primaria e relegandolo a semplice versione social dell’assistenza clienti tradizionale. Se s’intacca però quel patrimonio genetico faticosamente consolidato con un DNA trusted, fatto di trasparenza e affidabilità, si rischia di non farsi riconoscere più, di non farsi trovare più come “amico”. E se non riesco ad aiutarti – se tu dunque non ti fidi più di me – all’aria il Social Care: all’aria il business.

Sia chiaro: nel report non ci sono solo cattive notizie. La good news è che molti Brand su Twitter in tutto il mondo hanno già aumentato parecchio la velocità di risposta al cliente: 5 ore in meno, passando da 15 ore di attesa a 9. Il settore trasporti è qui particolarmente efficiente: solo 3 ore e 31 minuti. Seguono le telecomunicazioni (5,44 ore), le aziende di servizi (7,46), finanza (7,58) e linee aeree (7,59).

D’altra parte, però, sono ancora più di 10 milioni i post degli utenti che restano ignorati. Tradotto, qualcosa come 1.549.380 richieste rimaste prive di assistenza. All’ora si va dalle 30 a oltre 130: con le 134 richieste inevase ogni 60 minuti del settore telecomunicazioni a livello mondiale, le 121 del settore servizi e le 71 dell’elettronica.

Perché?
La ragione sarebbe da ricercarsi in più fattori. «In larga parte» però, sostiene Socialbakers, ciò accadrebbe «perché i Brand usano canali di supporto dedicato» per l’assistenza «e gli utenti finiscono per non avere risposta quando menzionano i profili ufficiali». Stando all’analisi cioè, le aziende, nel peraltro lodevole tentativo di migliorare il loro Customer Care su Twitter, commetterebbero un madornale sbaglio.
«I brand su Twitter stanno facendo un Social Customer Care migliore di sempre», spiega il Social Media Analyst William Miller, «ma molti sbagliano ancora su un punto importante». «Gli utenti non hanno idea dell’esistenza di un canale di supporto dedicato. Il cliente cerca aiuto presso i canali ufficiali e non riceve alcuna risposta. Così è abbandonato a se stesso», paradossalmente proprio ora che «esistono canali preposti per aiutarlo». In questo modo però – ammonisce – si innesca la creazione di «una marea di clienti potenzialmente insoddisfatti!». Il «risultato finale»? «Le aziende stanno producendo confusione nel cliente, creando canali multipli e ipercomplicando così la loro presenza social».

SocialCareErroneamente guidati in via esclusiva dall’ottica della massimizzazione della produttività e, dunque, del profitto – senza “collegare il cuore”, essenza del #SocialCare – i Brand andrebbero creando loro alter ego social, dedicati solo ad assistere il cliente. Se è giusto riorganizzare l’azienda anche online, creando profili distaccati con l’obiettivo di razionalizzare tempi e costi e migliorare le performance – anche e proprio per una maggiore soddisfazione del cliente – dall’altro lato però le procedure affiancanti tale evoluzione non risulterebbero spesso ideate alla luce di un’analoga consapevolezza e maturità critica. Ci si limiterebbe cioè a riapplicare online le logiche consuete del Servizio Clienti. Questo però non sarebbe #SocialCare, ma Customer Care as is, senza la dedizione, lo spirito di servizio, il coinvolgimento del cliente da prendere per mano e accompagnare in tutto, tipici di un autentico «Social Care». Alla nuova trasfigurazione del “cliente-amico” in semplice ticket da gestire e smaltire, seguirebbe così lo spaesamento del cliente che tornerebbe a rivolgersi – o non avrebbe mai smesso di rivolgersi – alle altre “identità social” del Brand: a partire dall’account ufficiale, su cui continuerebbero a piovere fiumi di domande.

La mole di lavoro dell’azienda non verrebbe così ottimizzata, ma al contrario aumenterebbe, moltiplicandosi su più fronti. Dal canto suo il Brand, di nuovo in difficoltà per dover “lavorare due volte” col rischio così di girare a vuoto, sarebbe peraltro pure legittimato in questo caso a non rispondere: da lì, dall’account ufficiale, data la presenza conclamata di altre porte riservate a questo. A ciò si aggiungerebbe – last but not least – la carenza di una incisiva opera di comunicazione per reindirizzare il Customer Care Online sui nuovi account, diversi da quelli cui l’utente si stava ormai abituando, affezionando, di cui stava giustappunto adesso iniziando a fidarsi. Conclusione? Il cliente resterebbe a bocca asciutta. Con le immaginabili conseguenze.

La soluzione, secondo Miller? «I Brand dovrebbero scegliere: o usano un solo canale social, sia per la comunicazione ufficiale che per il Social Customer Care» – e questa, precisa Miller, «è la soluzione che raccomandiamo caldamente», «oppure si mettono di buona lena a spiegare con chiarezza a clienti e network, dal canale principale, che chi richiede assistenza deve rivolgersi all’account preposto».

#Staisereno insomma, verrebbe da dire. Non importerebbe “farsi in quattro”: sarebbe anzi dannoso. «Sta come torre ferma» nel terreno che hai iniziato ad arare e che sta già dando i primi frutti, continua a investire su quello: ecco i takeaways che parrebbe di poter trarre. «Rimuovendo la confusione dalla comunicazione ufficiale del Brand», conclude Miller, «siamo certi che le aziende vedranno un’ampia crescita di valore nel loro Social Customer Care». L’apparente pericolo di affanno per la sovrapposizione di richieste potrebbe rivelarsi al contrario seme di nuova padronanza nella gestione di mentions e replies: con piena customer satisfaction.

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Digital Strategy R&D Consultant, Public Speaker, Lecturer, Coach, Author. Honoured by LinkedIn as one of the Top 5 Italian Most Engaged and Influencer Marketers. #SocialCare, «Utility & You-tility Devoted», Heart-Marketing and Help-Marketing passionate theorist and evangelist. One watchword - «Do you want to Sell? Help! ROI is Responsibility, Trust» - one Mission: Helping Companies and People Help and Be Useful To Succeed in Business and Life. Writer and contributor to books and white-papers. Conference contributor and Professional Speaker, guest at events like SMX, eMetrics, ISBF, CMI, SMW. Business Coach and Trainer, I hold webinars, workshops, masterclasses and courses for companies and Academic Institutes, like Istituto Tagliacarne, Roma, TAG Innovation School, Buzzoole, YourBrandCamp, TrekkSoft. Lifelong learning and continuing vocational training are a must.

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