Ann Coulter, #BringBackOurGirls, e i vendicatori del web

Nel corso delle ultime due settimane, la dolorosa storia delle duecento studentesse rapite in Nigeria ha scatenato un grande interesse globale. E, soprattutto, ha scatenato l’interesse del web, che si è mobilitato con una campagna virale sui social media: con l’hashtag #BringBackOurGirls, milioni di persone hanno potuto esprimere la propria condanna nei confronti del gruppo di terroristi che ha rapito le ragazze, chiedendo che fossero liberate e ricondotte a casa.

La campagna ha raggiunto ben presto la viralità anche perché ha sfruttato una delle “mode” più in voga del web: il selfie. Mettendosi davanti all’obiettivo, milioni di persone in tutto il mondo si sono fotografate con un cartello in mano con la scritta #BringBackOurGirls, o un simile messaggio di solidarietà con le studentesse nigeriane. Una trovata estremamente efficace che ha coinvolto addirittura Michelle Obama, che ha twittato una foto dalla Casa Bianca con quello stesso hashtag scritto su foglio bianco.

Quando una campagna riesce a coinvolgere i “vip”, vuol dire che ha raggiunto l’obiettivo. E che ha una specie di riflettore globale puntato addosso.

Tanto che qualcuno ha pensato bene di sfruttare questo tema, improvvisamente diventato molto caldo, per inserirsi nella conversazione e tirare l’acqua al proprio mulino. Questo qualcuno è Ann Coulter, opinionista politica statunitense, molto nota in madrepatria non solo per le sue posizioni conservatrici e per le sue critiche al Partito Democratico, ma anche per la sua spiccata propensione alla polemica e alla provocazione. Insomma, un personaggio che per mantenersi tale, deve sempre alzare l’asticella a ogni nuova dichiarazione. E quindi, cosa fa Ann Coulter per attirare l’attenzione e dire quello che ha da dire? Si butta a sua volta nel turbinio di selfie su #BringBackOurGirls, ma il suo cartello ha un hashtag diverso: #BringBackOurCountry, #RidateciIlNostroPaese, che altro non è che la summa del Coulter-pensiero sull’attuale situazione politica e sociale degli Stati Uniti. Il mio contributo alle questioni del mondo, twitta la Coulter accompagnando il suo selfie.

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Una provocazione netta e anche piuttosto pesante: un hashtag che, per chi conosce il personaggio, veicola tutta una serie di concetti, dalla critica alla classe politica americana fino a un dichiarato disinteresse per quello che succede oltre i confini del proprio paese.

Ann Coulter è una provocatrice. Ma se una provocazione lanciata in televisione o sui giornali ottiene una risposta più limitata al “qui e ora” e al destinatario della critica, con questo selfie la Coulter ha spalancato i cancelli dell’indignazione degli utenti, che le hanno risposto con la stessa moneta.

Non ci è voluto molto perché qualche utente prendesse il suo selfie e, con un semplice programma di fotoritocco, cancellasse l’hashtag scritto sul foglio, lasciando Ann Coulter con una pagina bianca tra le mani e invitando tutti a “divertirsi”:

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Il risultato? Eccolo qualche esempio tra i tanti (e anche tra i meno volgari):

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[#RidatemiLaMiaAnima – “A volte sono scioccato dalle str…e che Ann Coulter dice per attirare l’attenzione”]
E ancora:

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Insomma, l’accusa che gli utenti muovono alla Coulter è quella di aver deliberatamente strumentalizzato un fatto tanto drammatico come quello avvenuto in Nigeria per lanciare i suoi soliti strali politici. Il ragionamento degli utenti non fa una grinza e l’indignazione degli utenti non è troppo diversa, tanto per fare un esempio, da quella sorta contro KFC quando – durante un allarme tsunami diramato in tutto il sud-est asiatico – invitò gli utenti a comprare un secchiello di ali di pollo fritte prima di correre a casa a seguire le news.

Il principio è sempre lo stesso: inserirsi in una conversazione emotivamente connotata con il preciso intento di sovvertirla e dissacrarla, è qualcosa che fa puntualmente inferocire gli utenti, specialmente quando il tema suscita sentimenti ampiamente condivisi. Il caso delle studentesse nigeriane rapite ha fatto scattare l’indignazione e l’angoscia di milioni di persone in tutto il mondo che, anche solo per un minuto, si sono preoccupate per la sorte di quelle ragazzine alla mercé di un gruppo di terroristi.

Per quanto fotografarsi con un pezzo di carta in mano e pubblicarsi su Internet difficilmente servirà a salvare le ragazze, il solo fatto di aver partecipato a una “mobilitazione globale” in difesa di qualcosa ha avuto il potere di far sentire molti utenti a un passo dalla canonizzazione. Si potrebbe state ore a discutere sull’effettiva utilità di questo tipo di iniziative portate avanti dagli “attivisti degli hashtag” ma il punto non cambia: se milioni di persone fanno qualcosa, animate da buoni sentimenti, e poi arriva qualcun altro a farsene beffe, quella persona passa immediatamente dalla parte del torto per aver “rovinato tutto”.

E così è stato per Ann Coulter, che è diventata per un giorno il bersaglio dei “vendicatori del web” che si sono sentiti in dovere di darle una lezione per la sua provocazione fuori luogo e irrispettosa delle altrui tragedie. Oltretutto, nemmeno Michelle Obama è stata risparmiata dal giochino del “cartello sostituito”: in molti, infatti, hanno criticato la First Lady accusandola implicitamente di “perdere tempo con gli hashtag” invece che usare il proprio status e i propri mezzi per fare davvero “qualcosa”, e non solo per le studentesse nigeriane. E se le critiche hanno colpito anche una come Michelle Obama, perché non avrebbero dovuto piovere anche su un personaggio controverso come un’opinionista politica che cerca sempre la rissa verbale?

Può darsi che Ann Coulter, tanto abituata alle polemiche pirotecniche, cercasse di fomentare proprio questo tipo di reazione. Se questo era il suo scopo – come è molto probabile che fosse –  l’obiettivo è stato raggiunto. L’esempio però è da manuale, e mostra come i social media siano fatti apposta per mettere chiunque nella posizione di dare visibilità a “uscite” che,  su altri medium, sarebbero forse potute passare in sordina. Una visibilità che, nel caso di Ann Coulter, si è trasformata in una pioggia di critiche: se avesse espresso quello stesso concetto altrove, magari in tv, forse la cosa sarebbe passata inosservata, o quanto meno le reazioni del pubblico sarebbero state completamente differenti per toni e modi. Ma, inserendosi in quel modo in una conversazione già avviata, la Coulter non ha potuto reggerne il timone e tracciarne la rotta, finendo per essere demolita. Di conseguenza, le reazioni non hanno impattato su quello che ha detto, ma hanno travolto direttamente il suo personaggio. Gli utenti, di fatto, non hanno contestato l’opinione di Ann Coulter, hanno attaccato direttamente Ann Coulter. Può darsi che lei sia stata comunque soddisfatta del risultato ottenuto ma… cosa sarebbe successo se questa idea fosse venuta non a un’opinionista, ma a un candidato politico?

Lesson Learned: Fare un uso privatistico di un tema virale ti farà sicuramente raggiungere una certa visibilità, ma non è detto che sia una visibilità positiva. E le provocazioni sui social media ottengono sempre una risposta amplificata da parte del pubblico: metti in conto che potrebbe ritorcertisi contro.

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