Come finanziare l’Internet of Things? I tre modelli possibili

Qual è il modo migliore per finanziare l’Internet of Things? Il dibattito è aperto e coinvolge sia l’Europa che gli Stati Uniti: la comunità degli esperti, infatti, discute da tempo su quale sia il modello migliore di finanziamento per sostenere lo sviluppo di queste nuove tecnologie. Soprattutto in questo momento, in cui la diffusione dell’IoT sembra più vicina che mai, la questione delle risorse a disposizione per la ricerca diviene centrale.

Nel corso di due dei maggiori appuntamenti del settore, l’Internet of Things Forum tenutosi a Cambridge nel Regno Unito e il M2M & Internet of Things Global Summit di Washington, il problema è stato affrontato da differenti prospettive ma, benché siano tutte valide, non è semplice trovare una soluzione fattibile.

Come osserva Alicia Asin co-fondatrice e Ceo di Lebelium, azienda attiva nel settore di sensoristica e piattaforme per l’IoT, dalle pagine della testata online Gigaom, non esiste una risposta semplice perché il mercato dell’IoT è ancora molto frammentato e non è possibile ricostruire un quadro completo ed esauriente dei progetti in corso. Vediamo continuamente nuovi oggetti, che siano sensori o nuovi device, provenire da mercati diversi e, dopo il lancio di ogni iniziativa, le prospettive di questa rivoluzione si allargano ulteriormente e lasciano spazio a una domanda cruciale.

Dalle smart cities all’agricoltura intelligente fino ad arrivare alle automobili smart, il modello di finanziamento più efficace, e adeguato, sarà pubblico o privato? Asin individua tre differenti modi per supportare gli investimenti sull’IoT: il primo, proveniente dalle risorse pubbliche; il secondo, da potenziali partnership tra soggetti pubblici e privati; il terzo, caratterizzato dalla partecipazione civica. Con un occhio alla differenze tra i modelli di mercato europei e americano.

Le risorse pubbliche
Secondo il CEO, senza le pesanti conseguenze della crisi economica, percorrere questa strada sarebbe la soluzione  più “normale”.

Ad oggi i fondi dell’Unione Europea svolgono un ruolo importante nello sviluppo di un certo numero di città intelligenti, per testare la tecnologia, ma anche per accelerare la diffusione dei servizi. L’esistenza dei fondi elargiti dalle istituzioni europee può fare la differenza tra ciò che vediamo accadere in Europa e il mercato statunitense, consentendo all’Europa di aprire la strada in questo campo.

Al forum di Cambridge l’idea prevalente è che gli esperimenti europei possano costituire una guida preziosa per gli Stati Uniti, mentre a Washington il modello centrato sulle sovvenzioni pubbliche è considerato dannoso perché insostenibile sul lungo periodo. È vero, spesso questo tipo di progetti trainati dal pubblico e dal mondo accademico non sono centrati su un modello di business sostenibile per un periodo di tempo indefinito ma in questo frangente il passo più importante è la validazione della tecnologia.

La partnership tra pubblico e privato

Questo modello ha dalla sua parte la creazione di nuove forme di cooperazione e di condivisione delle risorse che possono garantire un meccanismo sostenibile, in grado di monitorare i costi e le spese in gioco. Ma nell’ambito di questo modello quale sarebbe il partner privato più adatto?

A causa della somiglianza tra le reti usate nell’Internet of Things e le reti di telefonia, gli operatori telefonici dovrebbero essere i soggetti più adatti per sviluppare le infrastrutture connettive. Tuttavia l’obiettivo è quello di connettere intere città o un intero paese e ciò richiede un impegno considerevole in fatto di investimenti. Una soluzione parziale a tale problema potrebbe vedere le aziende impegnarsi non in un unico progetto ma testare differenti iniziative per sostenere quelle con il più alto margine di profitto. La situazione si sta evolvendo e il numero potenziale degli operatori interessati ad investire nei molteplici progetti che stanno nascendo in questo campo potrebbe coprire le esigenze del settore.

La partecipazione civica

Secondo Asin progetti e iniziative comunitarie che puntano sul  crowdfunding, come Kickstarter, stanno guadagnando terreno. Così come una serie di progetti civici guidati da cittadini: AirQualityEgg, iniziativa che punta allo sviluppo di dispositivi in grado di misurare la qualità dell’aria; oppure la rete di SafeCast impegnata nella realizzazione di sensori per il monitoraggio delle radiazioni presenti nell’aria a Fukushima. Il modello è interessante e sarà centrale per i governi capire come incentivare i cittadini a contribuire all’acquisto di sensori e alla costruzione dei software ad essi collegati, forse offrendo agevolazioni fiscali o altri benefici.

Ma gli investimenti, che provengano dal denaro pubblico o dalle tasche dei privati, su cosa dovranno puntare? In pratica, meglio spendere in hardware o in servizi?

A Cambridge, secondo la Asin, l’opinione prevalente punta sulla sovvenzione alle infrastrutture mentre a Washington l’attenzione è verso l’implementazione dei servizi perché più vantaggiosa sul fronte dei profitti rispetto all’hardware. La scelta della divisione dei fondi, se tra le infrastrutture o i servizi, non è questione marginale, al contrario. Ma riflettere su una decisione così sostanziale prevede l’esistenza di un nuovo mercato dell’IoT se non già avviato, quantomeno agli esordi.
E questo sembra ancora molto lontano.

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