Uber, startup fondata nel 2009 a San francisco, offre una rete di trasporti mettendo in comunicazione clienti con autisti attraverso una semplice app e ultimamente sta facendo molto parlare di sé per vari motivi: da una parte viene elogiata per essere un esempio fondamentale per la sharing economy insieme ad altre piattaforme analoghe; dall’altra è presa di mira in mezza Europa dai tassisti che si vedono cannibalizzare il mercato dall’applicazione.
Uber nelle scorse settimane in Italia è stata oggetto di pesanti contestazioni durante il Wired Next Fest, festival del famoso magazine di comunicazione e innovazione, attirando l’attenzione di tutta Europa, in particolare quando Neelie Kroos, commissario europeo per l’agenda digitale, ha twittato dal suo profilo una dichiarazione a favore di Uber, augurandosi che “l’Italia non ceda ai ricatti dei tassisti milanesi”.
Di cosa stiamo parlando?
Uber è un’applicazione che consente agli utenti di collegarsi con un’auto NCC (Noleggio Con Conducente). Il problema si solleva in realtà dalla sua declinazione successiva, cioè UberPop che consentirebbe a privati di poter offrire passaggi quasi con le stesse modalità di un taxi, stabilendo preventivamente il percorso e il prezzo tramite app.
Un servizio del genere rienta appieno in quella che viene definita sharing economy: come scrive Francesca Battistoni su Smart Innovation «è una nuova economia che sta nascendo e che sfrutta le nuove tecnologie per proporre forme antiche come il baratto e lo scambio, le porta su una scala più ampia reinventandole e dando una possibilità maggiore di utilizzo. Sono pratiche che favoriscono l’uso e lo sfruttamento del bene privilegiando il riuso piuttosto che l’acquisto e l’accesso piuttosto che la proprietà».
Rientrano in questo tipo di economia piattaforme popolari come AirBnB, portale online che mette in contatto persone che cercano un alloggio a breve termine con altre persone che hanno uno spazio extra da affittare, o Car2Go, servizio di Car Sharing privato che ha battuto l’analogo servizio del Comune di Roma, la discussa UberPoP e moltissime altre.
Proprio in relazione a AirBnB, Gianni Dominici, presidente di Forum PA, ha rilasciato delle dichiarazioni molto favorevoli a proposito della sharing economy sulle pagine di TechEconomy: “il cittadino può e deve creare valore e servizi come sta accadendo con Airbnb: si stima che a New York, regolamentando l’attività con una ritenuta alla fonte e con regole precise per la locazione per scongiurare attività in nero, nelle casse del comune arriverebbero 20 milioni di dollari nel solo 2014, cifra che equivale a tutte le politiche di social housing previste dalla città.”
In sostanza la sharing economy si sta imponendo come nuovo paradigma per numerose startup e aziende che stanno costruendo il loro successo intorno a questo modello. Quindi, come mai tutte queste proteste?
Le proteste anti-Uber
Ma quali sono, nello specifico, i punti contestati dai professionisti al modello Uber?
- Uber aggirerebbe le leggi italiane per fare “concorrenza sleale” alle compagnie di Radiotaxi e agli NCC indipendenti e eviterebbe di pagare le tasse in Italia. Come scrive Guido Viali sull’Huffington Post “per quello che riguarda le tariffe, non esiste alcun controllo pubblico. Vengono determinate da Uber, nella versione pop, con un compenso riconosciuto all’autista di 48 centesimi al minuto, misurati sul cellulare dell’autista, se si degna di farlo. Nella versione Black, la tariffa è del tutto discrezionale, tranne che per alcuni percorsi fissi. In entrambi i casi, a riscuotere la tariffa, tramite prelievo dalla carta di credito del cliente, è Uber. Per questo Uber non è, come pretende di essere, un mero intermediario tra domanda e offerta di spostamenti, né tantomeno, un mero algoritmo immateriale, ma un vero e proprio fornitore di servizi. Che però non è soggetto alle regole a cui tutti gli altri devono sottostare”. Proprio per questo gli attivisti del radiotaxi usano sempre e comunque l’appellativo di “abusivi” nei confronti degli operatori di Uber.
- I Radiotaxi temono la cannibalizzazione del mercato da parte di UberPop che grazie a un sistema di paradisi fiscali avrebbe molta più forza concorrenziale: in un’inchiesta francese, riportata da Il Giorno, si sostiene che ‘il conducente che lavora con l’applicazione versa il 20% dell’importo di ogni corsa alla società «Uber BV», una società registrata in Olanda e controllata al cento per cento da «Uber International BV», anch’essa domiciliata in Olanda. Ma «Uber International BV» è a sua volta una filiale, sempre al cento per cento, di una terza società: «Uber International CV», che risiede, stavolta, alle Bermuda, un noto paradiso fiscale. Ma il viaggio tra le mille teste dell’applicazione smartphone che, a Milano come in tutte le 80 metropoli in cui è presente, ha scatenato la rivolta dei tassisti, non è ancora del tutto concluso. «Uber International CV» è infatti associata ad una quarta società, la «Neben LLC» immatricolata negli Stati Uniti e, per l’esattezza, nel Delaware, un altro paradiso fiscale.’
Le tesi in favore di Uber
Dall’altra parte le tesi in favore dei servizi come Uber e UberPop affermano esattamente il contrario di quelle portate avanti da chi vorrebbe che l’applicazione sparisse. In sostanza le tesi principali affermano che Uber non è assolutamente illegale ne tantomeno pericoloso per il mercato del radiotaxi perché:
- secondo l’avvocato Guido Scorza, contattato da Wired, l’applicazione di proprietà di Google “non infrange la legge di riferimento per i vettori di trasporto, la 21 del 1992. La norma, modificata nel 2008, interviene sull’attività di chi effettua trasporto pubblico, taxi e veicoli Ncc (Noleggio con conducente) compresi, quindi. Uber invece è un’applicazione. Agisce come piattaforma tecnologica per mettere in contatto clienti e autisti Ncc ed è per contratto delegata alla raccolta del compenso, di cui poi trattiene il 20%. Questa percentuale è giustificata come servizio di supporto e marketing. Nulla ha a che fare quindi con il trasporto in sé per sé”.
- l’utente a cui si rivolge non è assolutamente lo stesso del radiotaxi, appartiene a tutta un’altra tipologia di target e non ne intacca il mercato. Come riporta sempre Wired, Uber “si rivolge ai possessori di smartphone. Non solo, si tratta di possessori di smartphone dotati di una carta di credito e disposti a condividerla (o di condividere il conto Paypal) con un’applicazione associata a un servizio relativamente nuovo e poco noto. Stiamo parlando di una nicchia di una nicchia, soprattutto in un paese in cui i contanti vengono preferiti agli altri tipi di pagamenti in otto casi su dieci (fonte Bankitalia).“
- inoltre, anche se venisse dichiarata illegale, sarebbe difficile comunque impedire l’avanzata della piattaforma teconologica e della sharing economy a suon di giurisprudenza. Come afferma Maurizio Caprino su Il Sole 24 Ore “la app è solo l’ultima evoluzione di un fenomeno che c’era tutto già prima ed stata resa naturale dal progredire della tecnologia. Come tutte le evoluzioni naturali, potrebbe diventare diffusa e a quel punto potrà essere bandita con i mezzi legali, ma di fatto difficilmente potrà essere impedita. Se non altro perché le forze dell’ordine non hanno abbastanza uomini per dedicarsi assiduamente ai controlli, salvo lasciare scoperte altre funzioni fondamentali, il cui abbandono sarebbe difficile da giustificare”.
Cosa ci aspetta
Uber è stato vietato in Belgio il 15 aprile 2014; da quel momento le proteste si sono gonfiate arrivando fino alla contestazione citata del Wired Next Fest. Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e fino a qualche giorno fa candidato alle elezioni per il centro-destra, ha solidarizzato con la protesta arrivando a dire esplicitamente che “il noleggio con conducente con app fatto da Uber si può configurare come esercizio abusivo della professione di tassista”. Questo accadeva il 21 maggio scorso e il giorno dopo arriva la risposta di Matteo Renzi. Uber diventa un caso politico:
L’11 giugno avverrà una protesta Europea congiunta di tutti i radiotaxi, coinvolgendo oltre 80 città sul modello delle proteste di Boston di qualche giorno fa. Il problema è capire se queste proteste avranno lo stesso effetto del Belgio o se, come molti sostengono, non avrà effetto se non quello di modificare la stessa legge per favorire il progredire del modello.
D’altro canto è anche impossibile fermare l’avanzata dell’innovazione: la sharing economy non può essere semplicemente una pratica abolita dalla giurisprudenza anche perché è un modello riconosciuto come vincente, anche dai numeri. Infatti, come riportato qui, la valutazione della startup [Uber] sarebbe salita vertiginosamente. Secondo fonti accreditate, il valore di Uber sarebbe schizzato fino ad un picco teorico di 17 miliardi di dollari, dopo il livello di 12 miliardi raggiunto la scorsa settimana. Non sono certo cifre ignorabili e qualcosa andrebbe fatto in merito.
L’innovazione, declinata oggi nella sharing economy e con Uber a farsi involontario portatore della battaglia per essa, è una costante storica e ignorarla potrebbe avere conseguenze negative: il concetto lo esprime bene Paolo Colli Franzone a suon di metafore, “l’avvento delle ferrovie negli USA di metà ‘800 provocò un terremoto sul mercato del trasporto a cavalli. Nessuno si fece male: i cavalli tornarono a galoppare con meno stress, le stazioni di posta divennero antesignane dei bed & breakfast, i cavalieri divennero ferrovieri. Le grandi compagnie di Pony Express si trasformarono: chi comprò azioni di compagnie ferroviarie, chi aprì banche, chi inventò la carta di credito. Persino i produttori di candele, dopo l’avvento dell’energia elettrica, seppero farsene una ragione.”
Dietro la questione Uber, non c’è solo una startup che si è fatta spazio riuscendo a guadagnare miliardi, ma anche l’intero impianto di un modello di business che potrebbe portare crescita e innovazione e che rischia di venire stroncato a causa di battaglie legislative o politiche. Come scrive Roberto Bonzio su Che Futuro a proposito dell’innovazione, di Uber e della sharing economy, “io credo sia una strada di non ritorno. Serviranno a poco le barriere paventate mercoledì 21 dal Governo. E anche fra i tassisti, i primi che capiranno che occorre uscire dal corporativismo che difende anche gli indifendibili, che le tecnologie della trasparenza premieranno i migliori, saranno avvantaggiati.”
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