Innovazione, tecnologie, digitale: riscopriamo il senso di queste parole

“Innovazione”, “tecnologie”, “digitale”: sono tre parole che ogni giorno vengono ripetute e citate in migliaia di articoli, tweet, interventi, convegni. Se ne parla tantissimo. Se ne segnalano in modo incessante l’importanza, il ruolo, la centralità per lo sviluppo del paese. Troppo spesso, però, queste parole sono divenute fini a se stesse, elementi di un esercizio retorico che appare sempre più sterile e autoreferenziale. Si “parla” di innovazione, si “raccontano” le tecnologie, si “declamano” le meraviglie del futuro digitale. Abbiamo sviluppato interi modelli comunicativi, professionalità specifiche, settori di mercato e lobbies che vivono della “retorica dell’innovazione, delle tecnologie e del digitale”. E in questo scenario aumenta ogni giorno la percezione di una profonda discrasia tra il significato profondo di questi termini, le esperienze che quotidianamente viviamo e la capacità concreta di trasformare sogni e affermazioni teoriche in realtà.

Inevitabilmente e indubitabilmente, l’inflazione e la sovraesposizione di queste temi stanno causando una crisi di rigetto che si manifesta in varie forme:

  • Il disincanto da parte di coloro che non vedono concretizzarsi le “meravigliose sorti progressive” che erano state declamate e promesse.
  • La critica di quei settori che a torto a ragione si sentono esclusi dal “mainstream” dettato dagli addetti ai lavori.
  • L’opposizione spesso aspra di coloro per i quali gli unici risultati di questo incessante moto browniano è un insieme confuso di retorica e vacui proclami che danneggiano lo status quo.

In generale, i problemi e i limiti di questa narrazione eccessivamente retorica e enfatica non fanno altro che dare fiato alla delusione di molti e rafforzare i settori più conservatori del paese che sono ben felici di dimostrare l’inutilità e la pochezza di tutto ciò che potrebbe in realtà mettere in discussione equilibri, lobbies e monopoli consolidati.

Per questi motivi, abbiamo bisogno da un lato di trasformare i sogni in realtà e, ancor prima, di ridare senso e valore a questi termini (innovazione, tecnologie, digitale), slegandole dalla retorica spesso troppo direttamente e banalmente mutuata dalle esperienze internazionali, e collegandole organicamente alla nostra storia, al nostro vissuto. Abbiamo bisogno di understatement e concretezza, due parole che sono lontane anni luce dagli eccessi retorici che invece troppo spesso ci travolgono. Abbiamo bisogno di tornare alle origini, al senso ultimo e vero di questi concetti così importanti che possono realmente segnare un cambio di passo nello sviluppo della nostra Bella Terra.

Il meraviglioso mondo dell’innovazione

InnovationInnovare vuol dire cambiare. E vuol dire innanzi tutto indurre un cambiamento concreto, reale, utile, positivo, nella vita delle persone, delle imprese, della società. Non esiste l’innovazione declamata o teorica: l’innovazione esiste solo se è vissuta positivamente e concretamente da qualcuno, qualunque sia la forma secondo la quale questo elemento “positivo” si manifesta.

  • Non esistono i teorici dell’innovazione, ma coloro che la vivono nella loro esperienza. Possono esistere quelli che avendo fatto (o provato a fare) qualcosa di innovativo cercano di razionalizzare e narrare quella storia o quell’esperienza. Ci sono coloro che cercano di estrarre da un vissuto specifico una serie di generalizzazioni ad uso diffuso. Ma in ogni caso tutto nasce dall’esperienza concreta, dall’aver imparato sul campo (e sulla propria pelle) il significato del termine “innovare”.
  • Innovazione è creazione di valore, non nuovismo. Una “cosa nuova” ma senza valore — qualunque sia la forma secondo la quale questo valore si manifesta — non è una innovazione, ma solo retorica. Innovazione non è cambiare per il gusto di cambiare.
  • Innovazione è consapevole e determinata profondità di analisi e studio, non improvvisazione e generica “voglia di cambiare”. Non basta “avere una idea” per essere innovativi. E non è sufficiente copiare o variare l’esistente. Le vere innovazioni cambiano la vita delle persone e richiedono la comprensione di complessi processi, attitudini , tecnologie e dinamiche sociali e economiche. Non è semplice innovare. Pensarlo genera una pericolosa illusione.
  • Innovazione è rileggere e far tesoro del passato e della storianon cancellarli. È una continua tensione per dar nuovo significato e valore alla nostra esperienza, alle nostre ricchezze e alla nostra cultura. Ne scrivevo in un precedente post. Non si avanza dimenticando chi siamo e da dove veniamo, e magari scimmiottando la moda del momento importata dagli Stati Uniti o da qualche altra parte del mondo.

Il ruolo strategico delle tecnologie

Le tecnologie non sono la panacea di tutti i mali. Sbagliano coloro che ogni giorno non fanno che ripetere in modo ossessivo che le tecnologie di per se stesse salveranno il mondo o cambieranno i nostri destini. Continuare a ripeterlo non fa che alimentare aspettative che verranno prima o poi deluse, con il tutto il conseguente disincanto e riflusso. Le tecnologie sono uno straordinario strumento, complesso e delicato, che può abilitare, sostenere e determinare processi di innovazione anche radicale. Ma sono uno strumento, non pozioni miracolose. Sono la nostra intelligenza e la nostra capacità di plasmare e utilizzare le tecnologie che ne determinano successo o fallimento.

È essenziale rendersi conto che prima ancora che comprare o usare soluzioni basate su tecnologie è vitale saper qualificare i problemi e progettare le soluzioni utili per affrontarli. È solo alla luce di questi due passaggi chiave che poi si può pensare di “comprare” tecnologie e servizi dal mercato. Non è forse vero che nelle amministrazioni pubbliche più che carenza di fondi osserviamo una incapacità cronica di sostenere e governare dei processi di progettazione di sistema e di procurement strategico delle soluzioni? Non è forse vero che la qualità della relazioni tra domanda e offerta dipende in modo decisivo dalla maturità di chi compra?

D’altro canto, le tecnologie non sono commodities, quasi mai. Altrimenti, perché mai ci sarebbero tante esperienze negative, fallimenti, disillusioni nel loro uso? Non è questa la migliore dimostrazione fattuale del fatto che non sono per nulla delle “banali” commodities? Inoltre, non basta comprare tecnologie e servizi dall’estero e riusarle in modo cieco e inconsapevole nel nostro paese. Bisogna conoscere struttura e funzionamento delle tecnologie, apprezzarne caratteristiche chiave, limiti e potenzialità, comprenderne dinamiche e modalità di estensione e modifica. È solo così che possiamo plasmarle e farle evolvere per rispondere al meglio ai nostri bisogni.

Dobbiamo studiare, sviluppare e anche creare tecnologie per sviluppare il know-how e la cultura che ci permettano di dominarle e plasmarle all’interno dei nostri processi di costruzione delle soluzioni.

Purtroppo, viviamo tutti i giorni una esperienza per certi versi frustrante. Moltissimi tecnologie, specialmente nel campo del digitale, sono sviluppate all’estero, negli USA piuttosto che nell’estremo oriente. Quale ruolo ci rimane? Possiamo e dobbiamo solo restare spettatori di un copione recitato altrove? Cosa possiamo “fare” quindi qui da noi? C’è spazio per innovazione tecnologica anche da noi?

Ovviamente non è facile operare in un contesto mondiale così competitivo e certamente alcuni treni sono ormai persiMa ogni giorno partono nuovi treni.

  • Chi avrebbe mai immaginato che Windows e i PC potessero essere messi in discussione? Eppure oggi ci sono nuove tecnologie mobili che usano nuovi processori e nuovi sistemi operativi, e che come volumi hanno superato sul mercato il settore dei personal computer tradizionali.
  • Venendo al nostro paese, chi avrebbe mai immaginato che avremmo assistito alla nascita e sviluppo di nuove imprese dei semiconduttori in competizione con i colossi americani e asiatici? Eppure oggi realtà italiane come Arduino, Eurotech e STM hanno rivoluzionato i settori industriali legati al mondo dell’hardware e dei semiconduttori. Chi avrebbe mai immaginato che una Nintendo Wii o un iPhone potessero avere al loro interno come componente essenziale un chip progettato e prodotto (!) ad Agrate Brianza?

Ci sono tanti esempi di treni persi e di nuovi treni che partono. Il punto non è piangere su quanto sarebbe potuto essere e non lo è stato, ma identificare il prossimo viaggio che vogliamo intraprendere con la nostra inventiva e capacità imprenditoriale, sfruttando le ricchezze della nostra Bella Terra, le nostre filiere produttive, i nostri distretti, i nostri ecosistemi territoriali.

Il digitale è il sale dell’innovazione

3-Innovation-GrowthIl mondo digitale vive schiacciato tra diversi stereotipi:

  • Per taluni “digitale” significa telefonia cellulare e applicazioni consumer, la semplificazione del “scaricati l’app e sei a posto”.
  • Per altri “digitale” significa il web e i siti social, quel mondo a metà tra il pericoloso (quanti lamentano i “rischi di Internet”!), l’inutile o l’estemporaneo.
  • Per altri digitale è limitato al mondo delle telecomunicazioni.
  • Per altri ancora è “assorbito” dal tema televisione, dello spettacolo, dei media.
  • Per molti, è quel “costo” che dobbiamo “purtroppo” sostenere per far funzionare i processi gestionali dell’azienda o dell’amministrazione pubblica.

All’altro estremo, il digitale è visto come il principale terreno dove si sviluppano le startup innovative, l’imprenditorialità, le nuove imprese. Fatto certamente vero e importante, ma che spesso viene svilito e per certi versi banalizzato.

In generale, abbiamo tanti innamorati di questa o quella novità o moda tecnologica e che rileggono tutto con l’ultima chiave di lettura che li ha conquistati, sia essa il mondo delle app o il mito delle startup: come recita un proverbio inglese, “per un martello il mondo è fatto solo di chiodi”. Il punto non è ignorare queste diverse accezioni e questi ambiti di sviluppo del “digitale”, ma costruire attorno ad essi una narrazione che dia una rappresentazione organica e completa del mondo delle tecnologie digitali.Esso è molto più ricco, pervasivo e dirompente rispetto ai fenomeni più visibili e discussi sui media.

Grazie alle tecnologie digitali possiamo dare intelligenza e connettività a qualunque oggetto, rivoluzionare processi e servizi, rileggere e trasformare in modo radicale anche settori come l’arte, la cultura ed il turismo, piuttosto che rivitalizzare i nostri settori manifatturieri “tradizionali” che ci hanno visti diventare leader nel mondo.

Dobbiamo lasciarci conquistare dalla curiosità del nuovo e del diverso, dall’amore per l’analisi critica dei limiti e delle potenzialità di ogni proposta che ci viene fatta, dall’intelligenza che sta “declinare e inserire il nuovo nella tradizione”, non per lasciarsi condizionare, ma per trovare terreno fertile dove attecchire e crescere.

Il digitale non è un “giochino” o gadget del quale innamorarci: è il sale che cambia, rilegge, rinnova e rivoluziona tutti gli ambiti culturali, sociali e economici della nostra vita.

Sfide epocali

Quanto discusso in queste poche righe definisce sfide epocali che dobbiamo saper cogliere. E per farlo dobbiamo essere determinati e motivati, ma anche ragionevoli, umili, concreti, attenti. Non per un malcelato e inutile senso di prudenza, ma per saper cogliere l’enorme portata dei cambiamenti possibili e la complessità dei processi che dobbiamo di conseguenza mettere in campo. E soprattutto, per trasformare dubbi e perplessità in convinzione e partecipazione, senza le quali non possiamo raggiungere quegli obiettivi straordinari che innovazione, tecnologie e digitale mettono a nostra disposizione.

Non si tratta di limitare l’entusiasmo dei giovani, né di dar fiato agli scettici e ai conservatori. Al contrario, proprio per far sì che tutte le energie positive siano pienamente liberate e valorizzate — e tutte quelle negative siano limitate e “sterilizzate” — è vitale essere concreti, realisti, attenti a cogliere la profondità delle dinamiche e dei problemi in campo. Proprio perché “innovazione, tecnologie e digitale” sono parole così preziose, dobbiamo coltivarle con maniacale cura e attenzione, come “pepite d’oro” che possono determinare e rilanciare in modo unico il futuro del nostro Paese.

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