Piano Junker: sarà vera ripresa per le imprese?

Il neo presidente della commissione Europea, Jeane – Claude Junker, ha lanciato un piano di “investimenti offensivo” finalizzato a riportare l’occupazione a livelli accettabili. Commenti e discussioni sul piano, inclusi gli insulsi balletti e proclami politici, sono in atto ormai da diversi giorni.
Abbiamo deciso di occuparcene in questo spazio perché, come saprà chi segue la rubrica, il legame tra innovazione,  fondi comunitari e investimenti è particolarmente stretto in questa epoca di carenza di capitale destinato a stimolare l’attività d’impresa.

Jean-Claude-JunckerIl piano lanciato da Junker passa proprio dalla necessità di riportare gli investimenti a crescere. Nel mercato europeo si calcola che l’ammontare di denaro destinato agli investimenti produttivi sia il calo dal 2007 senza sosta (430 mld di Euro in meno rispetto al 2007). Evidentemente l’assenza di investimenti preoccupa la Commissione Europea che vede in queste misure la ripresa economica tanto a breve come nel medio/lungo periodo. Difficile dare tordo all’assunto di fondo.

Tuttavia, in qualità di consulente che si muove sul mercato  affiancando le imprese nel cammino verso l’identificazione di un finanziamento adeguato ad accompagnare la nascita di un progetto, ho l’impressione che, nonostante le tematiche rilevanti incluse nel piano di finanziamento della Commissione, le imprese interessate ad accedere a questi fondi saranno sempre le stesse (poche). Per lo meno in Italia. Sempre che il fondo riesca a decollare. Il piano infatti prevede che i finanziamenti provengano da investitori privati (dunque senza generare ulteriore debito pubblico, il grande nemico del XXI secolo) e gestiti da una task force composta dalla Commissione Europea e dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI), nonché utilizzati in tutti quei settori che hanno potenzialità per generare un forte impatto occupazionale.

Gli stati membri forniranno una lista di progetti selezionati sulla base di tre criteri principali:

  • valore aggiunto rispetto agli obiettivi europei;
  • viabilità e redditività, dando priorità soprattutto ai progetti con un alto ritorno socio-economico;
  • i progetti che possono iniziare al più tardi entro i prossimi tre anni, vale a dire una ragionevole aspettativa per investimenti nel periodo 2015-17.

I progetti che potrebbero potenzialmente beneficiare di queste forme di finanziamento sono: costruzione o riabilitazione di edifici pubblici al fine di migliorarne l’efficienza energetica; collegamenti di trasporto tra i paesi dell’UE che stanno affrontando ritardi a causa degli elevati costi di progetto iniziali; infrastrutture idriche, tra cui impianti di trattamento delle acque reflue e impianti di approvvigionamento idrico; aggiornamento delle strutture scolastiche; altri quali ad esempio  l’ampliamento e il potenziamento delle capacità di trasporto merci e passeggeri nei porti e negli aeroporti, collegamenti ferroviari dedicati tra aeroporti e centri urbani importanti, progetti verdi nel settore dei trasporti marittimi, infrastrutture per la fornitura di combustibili lungo le strade principali, bio-raffinerie di terza generazione.

L’impressione che questo piano genera è che da un lato grandi imprese che già hanno una certa facilità nell’accedere al credito, saranno beneficiarie di questi fondi. Ove questi non venissero destinati a opere di grandi dimensioni le imprese virtuose, già capaci cioè di accedere a finanziamenti che non passano per canali tradizionali, beneficeranno di questi. Il solo avanzare verso l’obiettivo di generare maggiore occupazione è senza dubbio encomiabile ma credo fermamente che sia necessario osservare meglio la realtà ed affrontarla in maniera diversa: è facile premiare l’alunno diligente o quello privilegiato, ma questo sarà sempre in minoranza e se si vuole mettere in atto un piano che abbia generi ricadute importanti forse è bene rivolgersi anche a tutti gli altri.

Le imprese potenziali beneficiarie del fondo sono concentrate in un area geografica del paese (come osservato alcune settimane i beneficiari dello SME Instrument di Horizon disegnano una mappa geografica abbastanza eloquente valida tanto per l’Italia quanto per altri paesi), sono imprese che già conoscono il ruolo dell’Europa e dell’importanza di guardare alle possibilità offerte a livello comunitario così come alla necessità di guardare ad un mercato non più solo nazionale. Sono altresì imprese capaci di dotarsi di personale qualificato e specializzato per la fornitura di servizi specializzati. Ma cosa succede a tutte le altre?

microimprese

Il problema (sicuramente in Italia ma anche in molte delle aree mediterranee dell’Europa continentale) è di cultura imprenditoriale e di rispetto delle professionalità, della necessità di superare il modello del capitalismo familiare che, soprattutto nella piccola impresa ma non solo in quella, si riduce ad una sorta di fatto in casa a 360 gradi. Spazi questi in cui l’innovazione, la terziarizzazione di pratiche e servizi non è compresa per il suo valore e che finisce per relegare molti settori della nostra economia ad un insuperabile provincialismo.

La vera dinamicità al momento mi capita di incontrarla in micro aziende di due o tre persone, spesso molto giovani, che hanno compreso la difficoltà di muoversi in un ambiente conservatore e poco adatto al cambiamento, che vengono da esperienze dinamiche ed internazionali, che non hanno bisogno di un ufficio e di un orario di lavoro né tantomeno del controllo diretto di chi ritiene che l’intraprendenza imprenditoriale si trasmetta attraverso il DNA. Sono spesso micro aziende dotate di potenzialità innovative sconcertanti ma che non accedono al credito se non in forma sporadica e che finiscono per esaurire in fretta le potenzialità propulsive.

E’ necessario, a mio avviso, osservarle e stimolarle affinché questo modello di autoimprenditorialità si diffonda perché è evidente che il lavoro della prossima generazione non passerà per il lavoro dipendente a condizioni inaccettabili e precarie, ma attraverso la capacità di essere imprenditori di se stessi, specialisti slegati da una sola realtà ma legati a molte.

Siamo sicuri dunque che questo macro piano, così come è stato disegnato, possa realmente generare l’impatto occupazionale previsto?

Investire sul lungo periodo significa immaginare cosa accadrà nel lungo periodo (ci basterebbe soffermarci sul medio i realtà) e non sembra che questo piano si rivolga al futuro ma bensì ad un passato travestito da presente e riciclato attraverso l’utilizzo di alcune formule che paiono innovative ma che nella realtà non lo sono.

Al momento lo strumento che mi sembra sempre più convincente per accedere al finanziamento rimane quello per le PMI contenuto in Horizon2020. Le prossime date per presentare proposte sono ormai in scadenza (17 dicembre tanto per la fase 1 che per la 2), inaccessibili a chi non si è preparato per tempo ma già si preparano quelle per il 2015.

 

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