Sharing Economy: l’individuo tra potenza e atto

Giunti all’undicesimo articolo che – come soci di www.useit.it – pubblichiamo sulla sezione Visions di Techeconomy, ci siamo posti una domanda, che riteniamo possa giustificare il nostro proporci come divulgatori di un nuovo paradigma economico.
Ci siamo chiesti se fosse il caso di illustrare le motivazioni di un gruppo di persone che – a un certo punto del proprio percorso e partendo da esperienze individuali quanto mai varie e diversificate – ha deciso di unire le energie per operare nella Sharing Economy attraverso la costituzione di una start-up.
Ovviamente, ciascuno ha avuto motivazioni individuali ed eterogenee, ma l’esserci posti questa domanda ha fatto emergere che il condiviso filo rosso dell’operare nella Sharing Economy è sostanzialmente univoco: la Sharing Economy è uno straordinario equalizzatore, ovvero un fattore di eguaglianza sostanziale, in cui l’aristotelica distanza tra “potenza” e “atto” è colmata dall’agire individuale anziché rimessa ad un potere terzo, abusato alibi al non-agire individuale.

In che modo la Sharing Economy rappresenta uno strumento di equalizzazione e di riequilibrio?

A nostro parere, l’economica collaborativa coglie l’essenza di un fenomeno che – consentendo di incrementare il tasso di utilizzo di beni e competenze – rappresenta l’abilitatore di una ennupla di contrappesi agli squilibri presenti nell’attuale sistema socio-economico. Lo sharing infatti consente di: 

  • Creare meccanismi di equalizzazione tra le diverse classi socio-economiche all’interno delle singole geografie, a complemento dei processi di riequilibrio della ricchezza pro-capite tra i diversi blocchi di sistemi paese.
    Così come la crisi economica dei paesi occidentali può essere più storicamente letta come un frutto della convergenza di altre geografie verso un adeguato livello di benessere socio-economico, allo stesso modo l’affermarsi dei modelli collaborativi può essere considerata come una risposta razionale all’accentuazione delle disparità nella distribuzione del reddito nelle economie occidentali.
    Di fatto, la Sharing Economy consente di ridurre il costo d’accesso alle esperienze di vita, in quanto il costo unitario dei beni viene condiviso tra una serie di soggetti utilizzatori, creando quindi una moneta parallela: la condivisione del proprio patrimonio, anche del solo tempo, diventa “moneta di scambio” per fruire del patrimonio altrui.

Modello

  • Attenuare il consumo del patrimonio ambientale senza ridurre la possibilità di fruire di beni e servizi.
    Nell’intero ciclo di vita di un bene, l’impronta ambientale si snoda lungo ciascuna delle fasi di produzione-distribuzione- utilizzo effettivo -smaltimento.
    Tuttavia, la presenza di grandi quantità di oggetti non utilizzati (o parzialmente utilizzati) ha generato effetti negativi ad alto impatto ambientale: le fasi di produzione, distribuzione e smaltimento hanno un costo ambientale che prescinde dall’effettivo utilizzo del bene.
    Generare invece delle condizioni sistemiche volte alla condivisione dei beni per una loro reale ed effettiva fruizione significa creare dei meccanismi di riequilibrio dell’impatto ambientale. In tale ottica si vanno ad abbattere impatti ambientali non giustificati da un ritorno funzionale (cioè, correlato all’effettivo utilizzo dei beni).
    Modello2
  • Creare condizioni di equalizzazione dei rapporti tra produttori e consumatori, alimentando condizioni di coesione e di comportamento razionale dei consumatori e – di fatto – contribuendo a ridimensionare il potere delle Corporation e della pubblicità.
    Va subito chiarito che la Sharing Economy non si contrappone al consumo né– quindi – agli atti d’acquisto, bensì cerca di separare la correlazione univoca tra fruizione e acquisto.
    Effettivamente, la Sharing Economy affianca la condivisione all’acquisto come mezzo di realizzazione delle condizioni per la fruizione di beni e servizi.

 Questo è il filo conduttore che ci ha portato ad interessarci di Sharing Economy ed è inoltre il fondamentale motivo per cui riteniamo che i rapporti tra gli operatori non debbano essere improntati a logiche competitive, ma debbano – al contrario – essere alimentati da logiche di cooperazione per l’affermazione di tale modello di consumo.

E’ necessario un modello cooperativo che possa unanimemente comunicare al pubblico-target la principale urgenza della Sharing Economy: la necessità che ogni individuo si ponga come soggetto attivo, senza delegare.

La Sharing Economy c’è, bisogna addurre le persone a scegliere di esserne parte, consentendo al fenomeno di superare le cinte murarie entro cui i modelli di business tradizionali vogliono confinarla. Questo implica un necessario affrancamento dai residui (ma ancor radicati) condizionamenti del consumo ossessivo ad opera di un modus vivendi ormai superato ma tutt’ora incoraggiato dalla pubblicità.

In sintesi, ecco il nocciolo della questione: la Sharing Economy non è fatta dagli operatori, ma dai singoli utenti che la rendono viva, facendo pulsare sangue nelle arterie delle iniziative presenti sul WEB.

Per funzionare, le singole iniziative necessitano di “consumatori consapevoli” e di “oggetti della condivisione”, entrambi elementi fondamentali per poter alimentare un circolo realmente virtuoso, fondato su rapporti collaborativi realmente peer-to-peer. Diverse infatti sono le logiche (apparentemente simili) del pay-for-use; queste ultime alimentano le iniziative intraprese dalle grandi Corporation sotto l’egida meramente formale di Sharing Economy.

Good

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