La retorica dell’innovazione alla quale ci hanno abituato negli ultimi anni vede nel digitale il principale, se non l’unico, perno attorno a cui ruota l’innovazione. Tuttavia l’innovazione, e quella tecnologica in particolare, non si basa solo sul digitale, che pure ne è uno dei principali driver: innovare vuol dire, ad esempio, fare ricerca su materiali e sui processi industriali. Talvolta queste innovazioni, spesso silenziose, producono impatti sull’economia di grandissima entità. La storia parla chiaro: nel 1770 fu l’innovazione dell’industria tessile in Inghilterra ad innescare la prima rivoluzione industriale, così come nel Novecento fu la produzione di massa supportata dall’introduzione della catena di montaggio a permettere una nuova rivoluzione economica e occupazionale abilitata dalle tecnologie.
Le imprese, ovviamente, sono i luoghi dove l’innovazione tecnologica entra e si fa strumento di evoluzione per il business, soprattutto grazie alla costituzione di funzioni R&S multidisciplinari che spesso diventano veri e propri centri di ricerca di stampo scientifico. Storicamente le grandi imprese chimiche, dell’automotive e del mondo energy sono state quelle più attive in tale direzione, più lente la PA e l’università: in Italia, secondo dati ISTAT, nel complesso per il 2014 i si prevede una diminuzione della spesa per R&S proprio a causa di flessioni nei settori dell’università (-5,9%) e delle istituzioni non profit (-2,7%), ma con un aumento nelle istituzioni pubbliche (+2,3%) e nelle imprese (+0,7%). La spesa per R&S in termini reali dovrebbe invece scendere dell’1,8%. Per il 2015 ci si attende che i dati riportino una diminuzione della spesa del 2,9% sul 2014 nelle istituzioni pubbliche, un aumento dell’1,3% nelle istituzioni private non profit e un aumento dell’1,0% nelle imprese.
Eni, ad esempio, una delle imprese italiane che investe di più nel settore, ha da tempo compreso la necessità di puntare massicciamente sulla ricerca, possibilmente multidisciplinare, per migliorare tecnologie e sistemi esistenti a supporto del business e non solo. Lo dimostra il caso di Slurry Technology nel settore petrolifero, di cui abbiamo già parlato, ma anche l’impegno che l’azienda ha posto nella ricerca sulle fonti di energia “non convenzionali”.
La ricerca: Enhanced energy transport in genetically engineered excitonic networks
È il Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente – Istituto Eni Donegani di Novara – il cuore della ricerca del colosso verso il mondo dell’innovazione tecnologica applicata alle energie non convenzionali che, secondo Eni, sono le fonti rinnovabili con maggiori potenzialità di utilizzo sostenibile su larga scala, sia dal punto di vista ambientale che economico.
Il Centro ha recentemente partecipato a uno studio interdisciplinare, l’“Enhanced energy transport in genetically engineered excitonic networks” che ha segnato un importante traguardo scientifico: dispositivi solari e sensori potranno diventare ancora più efficienti grazie al connubio tra fisica quantistica e biochimica. Lo studio è stato condotto da una équipe interdisciplinare di ricercatori internazionali dei Dipartimenti di Fisica e Astronomia e del Laboratorio Europeo di Spettroscopie Non-lineari (LENS) dell’Università di Firenze e del Dipartimento di Chimica dell’Università di Perugia, dell’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (INO-CNR), del centro di ricerca “Quantum Science and Technology in Arcetri” (QSTAR), del Massachussets Institute of Technology (MIT) e proprio dal Centro Ricerche Eni di Novara. La ricerca rientra nell’ambito dell’accordo quadro Eni-CNR e della partnership Eni-MIT siglata nel 2008.
Innovazione e scienza
Dal punto di vista tecnico, per raggiungere efficienze di trasporto ottimali ad imitazione dei sistemi naturali, il team di ricerca ha utilizzato antenne fotosintetiche artificiali sviluppate nei laboratori del MIT, ottenute modificando geneticamente la struttura proteica di un virus innocuo e ancorando in punti precisi della struttura due tipi di cromofori, donatori (assorbitori di luce) ed accettori (emettitori di luce).
La fotosintesi naturale, responsabile della vita sulla Terra, avviene grazie ad un processo in cui la luce è catturata da un’”antenna ricevente” proteica e poi trasmessa da una catena di pigmenti ad essa legati, detti cromofori, alla “centrale energetica”, il centro di reazione, dove viene convertita in energia biologicamente sfruttabile.
Mentre il processo fotosintetico nel suo complesso ha efficienze inferiori all’1%, il trasporto di energia sotto forma di eccitazione elettronica ha un’efficienza quasi del 100% anche a temperatura ambiente, di gran lunga superiore a quella delle migliori celle solari. Alla base di questa straordinaria efficienza, studi dimostrano che vi siano effetti spiegati solo dai principi della fisica quantistica, per cui l’ “unità energetica” viene creata su diversi cromofori simultaneamente, percorrendo vari cammini in parallelo per trovare il percorso ottimale verso il centro di reazione. In queste condizioni, i movimenti molecolari attivi a temperatura ambiente invece che essere di ostacolo, come normalmente ci si dovrebbe aspettare, rendono i processi più veloci.
“Dopo un seminario tenuto dal MIT presso la nostra struttura – spiegano dal Centro Ricerche Eni Donegani – ci rendemmo conto che tali “sistemi antenna” avrebbero potuto essere utilizzati, con alcune modifiche, per realizzare dispositivi solari ad elevata efficienza, sfruttando lo stesso processo di cattura della luce della fotosintesi naturale.”
Si è trattato, per Eni, di un nuovo punto di inizio che ha aperto la strada a nuova ricerca e al miglioramento, nel segno dell’innovazione tecnologica e scientifica: l’azienda a valle della scoperta, si è fatta promotrice di un nuovo progetto con il MIT proprio per studiare i possibili fenomeni di trasporto quantistico in questi sistemi, coinvolgendo anche l’INO CNR e il LENS dell’Università di Firenze.
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