Oggi si è portati a pensare che innovazione tecnologica sia quasi esclusivamente sinonimo di innovazione digitale. Ma la storia, economica e non, ci insegna che fare innovazione non vuol dire solo introdurre le tecnologie digitali nei processi e nei servizi di imprese e organizzazioni. Come hanno chiarito in passato i Ministri in occasione di un Consiglio sulla Competitività svoltosi a Bruxelles: “l’innovazione può assumere forme diverse, per esempio lo sviluppo di nuovi concetti commerciali e nuovi mezzi di distribuzione, la commercializzazione e la progettazione o i cambiamenti organizzativi e d’immagine.”
Fare innovazione basata sulle tecnologie, digitali e non, vuol dire dotarsi di strumenti adeguati a supporto delle proprie esigenze di business. Vuol dire adottare un approccio diverso ai problemi, avere un’ottica di studio differente che non temi di rivoluzionare schemi e idee tradizionali. Vuol dire, in sostanza, arrivare alla creazione o adozione delle migliori e più utili tecnologie passando attraverso un’attenta fase di ricerca e sviluppo.
Nessuna impresa realmente innovativa, che viva di innovazione tout court ancora prima che offrirla a clienti e/o stakeholder, può prescindere dalla consapevolezza che investire nella ricerca per trovare soluzioni di volta in volta più vantaggiose per l’azienda, in termini di risparmio economico, di miglioramento dei servizi al cliente, etc, sia la chiave per accelerare sulla propria competitività. E oggi a questa consapevolezza deve potersene aggiungere anche un’altra: che l’eccellenza passa anche, e soprattutto, attraverso innovazioni che diventano strumenti attivi di sostenibilità.
Ricerca e innovazione: Eni Slurry Technology
Eni, in questo senso, porta sul piatto delle eccellenze italiane quando si parla di imprese, tecnologie e studio, un “caso” significativo: Eni Slurry Technology (EST), una delle maggiori invenzioni mai sviluppata da una società italiana nel campo della raffinazione. Si tratta, infatti, di un processo volto alla conversione del fondo del barile: attualmente, le tecnologie di raffinazione del petrolio disponibili sul mercato non riescono ad ottenere una conversione spinta dell’olio pesante e nessuna di esse è in grado di trasformare la carica petrolifera con rese superiori al 70%.
Invece, EST consente la quasi completa conversione della carica, superando le limitazioni della maggior parte delle tecnologie oggi commercialmente disponibili, dal momento che permette di produrre distillati di alta qualità, come GPL, jet fuel, benzina e diesel, con rese globali superiori al 95%.
EST, di fatto, apporta diversi vantaggi: raffinazione environment-friendly con la riduzione o eliminazione dei sottoprodotti di bassa qualità, come coke o olio combustibile ad alto zolfo, ma anche elevata efficienza degli impianti.
Ma non è una innovazione “nata ieri”, anzi: è il frutto dell’impegno di un’intensiva attività di ricerca cominciata all’inizio degli anni Novanta. Gli studi e gli esperimenti compiuti fino a livello di impianto pilota diedero luogo ad un concetto rivoluzionario, ovvero l’idea di utilizzare un catalizzatore di dimensioni nanometriche (il catalizzatore è la molecola che permette alle reazioni chimiche di avere luogo più facilmente). Facendo seguito a questi importanti risultati, Eni decise di realizzare un impianto dimostrativo nella raffineria di Taranto, avviato nel 2005, con l’obiettivo di confermare l’attrattività economica di questa tecnologia. I risultati furono molto incoraggianti ed Eni approvò l’investimento per la realizzazione del primo impianto industriale basato sulla tecnologia EST, avviata quindi nella raffineria Eni di Sannazzaro de’ Burgondi il 14 ottobre 2013.
Questo dimostra che investire in innovazione a 360° è la chiave che apre realmente le porte della competitività delle aziende: le imprese italiane in questo senso possono, e devono, fare di più se è vero che secondo l’Innovation Union Scoreboard 2015 gli indicatori dell’innovazione in cui il Belpaese “fa peggio” sono finanziamenti, sostegno e investimenti delle imprese.
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