Coca-Cola e la campagna a prova di troll. O forse no

Esattamente un anno fa, Coca-Cola si imbarcava nell’arruffata disavventura di #MakeItHappy: campagna social “per un Internet più felice” che invitava gli utenti a twittare “frasi cattive su Twitter” per vedersele trasformate in gattini e disegnini buffi in codice ASCII. La faccenda era finita così: qualcuno si era accorto che non esisteva nessun tipo di controllo sulle frasi da sottoporre al processo, e così le prime righe del Mein Kampf di Adolf Hitler erano state trasformate in “disegnini puccy” pur restando perfettamente leggibili. La cosa non aveva fatto una bella impressione.

Comunque Coca-Cola ha imparato la lezione: quando si chiede agli utenti di interagire in modo diretto tramite una campagna studiata ad hoc per stimolare l’engagement del proprio pubblico, bisogna sempre fare in modo di controllare ciò che quel pubblico finirà per scrivere.

Così, con questa importantissima lezione bene in mente, qualche giorno fa Coca-Cola ha lanciato GIFtheFeeling.com, spin-off del sito ufficiale della bibita più famosa del pianeta che permette a chiunque di selezionare qualche fotogramma dell’ultimo video di Coca-Cola, metterci qualche parola a scelta e pubblicare il tutto in formato GIF sul proprio social network preferito. «Come ti fa sentire Coca-Cola? – si legge sulla home page di GIFtheFeeling.com – Scegli una GIF, scrivi cosa provi e condividilo col mondo».

Sembra una storia con un finale già scritto ma – niente paura! – c’è il filtro, no?

E infatti il filtro funziona: quando qualcuno cerca di scrivere qualcosa di poco carino: insulti, parole volgari, offese assortite, il sistema restituisce un messaggio di errore che impedisce la creazione della GIF finché non si cambia la parola o la frase in questione. E, poiché ormai Coca-Cola la sa lunga, i creatori della campagna hanno inserito in questa specie di “lista nera” anche tutte quelle parole potenzialmente lesive dell’immagine del brand. Hai visto mai che qualcuno non voglia fare lo spiritoso e fare una GIF della Coca-Cola con su scritto “diabete”?

E infatti.

CocaCola

A questo punto per gli utenti diventa una questione d’onore: bisogna trovare il modo di riuscire a “trollare” l’ennesima campagna di Coca-Cola. Perché quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, specialmente se il gioco è quello di divertirsi alle spalle di uno dei brand più famosi del mondo.

E insomma: si scopre presto che la lista delle parole da bloccare è sì molto corposa, ma non infinita. Diabete non si può scrivere, ma una frase come “prepara l’insulina” sullo sfondo di un bel bicchierone di Coca-Cola invece sì. “Bianco” e “nero” non sono parole accettate, nemmeno “giallo” e “verde”, ma “obesità infantile” o “diarrea” passano indenni e sono perfettamente pubblicabili.

CocaCola2

Cocacola3

E non solo: chi ha pensato di scrivere “capitalismo” si è ritrovato con questa parola rifiutata (chi ha creato questa campagna è stato molto, molto previdente) ma basta inserire uno spazio nella parola per aggirare l’ostacolo senza troppi problemi.

 Cocacola3

E i frizzi e i lazzi continuano: tutti rigorosamente condivisi su Twitter e Facebook…

Cocacola4

Il social media fail è servito: e quella che doveva essere una campagna “a prova di troll” è finita invece a far compagnia a tutte le altre. Questo perché, in questo tipo di campagne i brand danno carta bianca agli utenti, ma in realtà tutto quello che vogliono è uno spot replicato di profilo in profilo. Dall’altra parte, invece, ci sono proprio loro, gli utenti, che non ameranno mai abbastanza un brand per non cogliere l’occasione di mandare in fumo una campagna per il solo gusto di farlo. Come scrive Ian Bogost su The Atlantic:

I contenuti generati dagli utenti sono da sempre i terroristi dei media. Dato un briciolo di libertà, anche lo strumento più semplice diventa un’arma sovversiva. […] Il brand marketing ha a che vedere con il controllo di un messaggio. Parte di questo processo si basa essenzialmente su come il nome di un brand viene associato a immagini, parole, concetti e idee. In ogni caso non si tratta solo di un esercizio di marketing, perché ha comunque un impatto sul valore di mercato del brand stesso.

Coca-Cola dirà di aver utilizzato questo filtro per fare in modo che l’iniziativa di GIFtheFeeling.com si mantenesse in linea «con lo scopo per cui è stata pensata» ma, come sottolinea ancora Bogost:

Internet è come un gatto, gli scopi dei brand se li mangia: il risultato di GIF the Feeling non solo espone Coca-Cola al rischio di veder collegato il proprio brand a qualcosa di indesiderabile, ma sembra quasi chiamare questo tipo di reazione da parte del pubblico. Tentare di “dirottare” una simile campagna è la parte più divertente di tutta la storia […] I brand migliori sono quelli che riconoscono e accettano l’impossibilità di controllare i messaggi online – anche se fanno tutto il possibile per esercitare il proprio controllo – in modo da conquistare l’Internet.

Lesson Learned: Non puoi mettere al guinzaglio il pubblico a cui ti rivolgi. Non lasciarti tentare dall’illusione di poter contenere un’azione che tu stesso hai esplicitamente sollecitato, peraltro a una platea di utenti tanto vasta che, inevitabilmente, comprenderà anche i tuoi detrattori.

 

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