Pronta la proposta di legge sulla sharing economy

Presentata oggi alla Camera la proposta di legge, annunciata nei mesi scorsi, sulla Sharing Economy che si pone l’obiettivo di tutelare gli utenti finali, introducendo principi di equità, in termini di regole e fiscalità, tra operatori economici tradizionali e “collaborativi”. Quello della economia di scambio, che alcuni identificano con Uber piuttosto che con Airbnb o Gnammo, è un fenomeno diffuso e in crescita. La Commissione Europea, nel Consumer Intelligence Series: The Sharing Economy 2015, cita la sharing economy come fenomeno in grado di accrescere le entrate globali dagli attuali 13 miliardi di euro circa a 300 miliardi di euro entro il 2025. Il governo del Regno Unito, dopo aver commissionato uno studio da cui è emerso che il 70% della popolazione si occupa o usufruisce di servizi collaborativi, nel suo bilancio 2015 ha fissato tra gli obiettivi quello di facilitare la creazione di imprese “con un pacchetto di misure per contribuire a sbloccare il potenziale dell’economia della condivisione”.

E l’Italia?

Nel nostro Paese secondo uno studio di Collaboriamo.org e dell’Università Cattolica le piattaforme collaborative sono 186, con un +34,7% rispetto al 2014. Tra i settori più interessati il crowdfunding (69 piattaforme), i trasporti (22) i servizi di scambio di beni di consumo (18) e il turismo (17). La ricerca riporta che per gli imprenditori intervistati mancano finanziamenti (73%), cultura (47%) e partnership con aziende (58%).

Perché una legge sulla economia collaborativa?

Nonostante alcuni l’abbiano descritta come un tentativo di imbrigliare lo sviluppo di realtà come Uber o i social restaurant, la legge intende potenziare una nuova economia oltre che far emergere un ampio segmento di economia informale. Applicando la nuova legge in Italia si potrebbero recuperare circa 450 milioni di euro di PIL di base imponibile attualmente oggetto di elusione fiscale, corrispondenti a non meno di 150 milioni di euro di maggior gettito per l’erario, con una stima nel 2025 di 3 miliardi di euro.

Quali le novità introdotte dalla proposta di Legge?

Fiscalità: è individuata una soglia pari a 10.000 euro che vuole diversificare microattività non professionali svolte attraverso piattaforme collaborative da vero e proprio reddito da lavoro. Sotto soglia si applica un’aliquota pari al 10% dei redditi, mentre al superamento dei 10mila la somma eccedente si cumula con gli altri redditi percepiti dall’utente e conseguentemente si applica la rispettiva aliquota.

Autorità garante: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato AGCM è individuata come Autorità competente a regolare e vigilare sull’attività delle piattaforme di sharing economy, istituendo un Registro elettronico nazionale e potendo prevedere, a fini di tutela degli utenti fruitori, l’obbligo per i gestori di fornire o richiedere agli operatori la stipula di polizze assicurative per la copertura dei rischi tipici della economia della condivisione.

Documento di politica aziendale delle piattaforme collaborative: soggetto a parere e approvazione dell’Autorità Garante, è condizione vincolante per l’iscrizione al registro nazionale e contiene tutte le condizioni contrattuali tra la piattaforma e gli utenti.

Transazioni: tutte le transazioni di denaro in piattaforma devono avvenire con sistemi di pagamento elettronico (a garanzia di tracciabilità) e con modalità di registrazione univoca per gli utenti finalizzata ad evitare la creazione di profili falsi.

Quali le aspettative degli imprenditori?

Abbiamo chiesto un parere a Nicola Pirina, direttore generale di Sardex, esempio italiano di come si possa fare business attraverso la sharing economy. “Non conosco i dettagli della proposta di legge ovviamente – afferma – ma posso fare delle considerazioni di carattere generale. Prima fra tutte quella che con un impianto giuridico come il nostro, pensato per quando il web non esisteva, ho difficoltà a immaginare una legge che possa aiutare lo sviluppo di imprese innovative. Questo non significa che non si debba procedere in una direzione di adeguamento, ma serve del tempo di qualità per prevenire errori e storture”. Diverse sono le domande che Nicola lascia aperte: come facciamo a definire i confini di un oggetto che non è cristallizzato ma camaleontico e alimentato dai bisogni degli utenti come la sharing economy? Come si può normare su una cosa ai più sconosciuta e soprattutto è questa una cosa tra le più urgenti da fare? Sicuri che non si tenti di placare con una proposta di legge lamentele rispetto a fenomeni di mercato che non possono essere arginati da leggi ma solo compresi per poterne sfruttare le potenzialità? Perché, piuttosto che pensare a normare su nuove imprese non si tenti di alleggerire il peso burocratico che limita tanto le imprese tradizionali quanto quelle già innovative che sono riuscite a fatica a resistere? “Se penso ai bisogni delle imprese innovative e non – continua Pirina – ritengo di poter affermare che ci sia bisogno di fertilizzazione reciproca tra nuovi player, economia tradizionale e associazioni di categoria. C’è bisogno di contaminarsi positivamente e di non vedersi come antagonisti perché le cose dell’impresa tradizionale devono essere sommate a quelle dei nuovi soggetti per poter essere poi elevate alla n. C’è poi bisogno di infrastrutture, di collegamenti veloci ad Internet in ogni parte d’Italia per esempio”. Pirina non crede ai finanziamenti statali come strumento di sostegno e leva per la sharing economy. “C’è bisogno di cultura dell’innovazione – conclude – pertanto non può che farci piacere che questi temi stiano con maggior frequenza entrando nelle agende parlamentari e di Governo”.

Quali le aspettative dei firmatari della proposta?

“Il nostro intento – afferma l’onorevole Antonio Palmieri, tra i firmatari della proposta – è quello di fare una legge che possa riportare equilibrio e che non penalizzi nessuno degli attori in gioco. Questa è solo una proposta che da oggi è aperta ai contributi di quanti vorranno aiutarci a migliorarla attraverso una consultazione pubblica on line”.

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