Arrestato il Vice Presidente di Facebook America Latina: cosa sta succedendo?

La polizia federale del Brasile ha arrestato il Vice Presidente di Facebook per l’America Latina, Diego Dzodan: il motivo sarebbe legato alla mancanza di collaborazione da parte del colosso sulle indagini che le forze dell’ordine stanno svolgendo sul traffico di droga. La società non ha dato seguito alla richiesta della corte giudiziaria di fornire i dati di alcuni utenti di WhatsApp legati all’indagine in corso, ma una reazione di questa portata era del tutto inattesa.

Facebook ha dichiarato che la detenzione di Diego Dzodan è una “misura estrema e sproporzionata“, sottolineando però che l’azienda “è e sarà sempre a disposizione per rispondere a qualsiasi domanda o richiesta da parte delle autorità brasiliane“. I funzionari del tribunale dello stato brasiliano di Sergipe hanno confermato la detenzione, chiarendo che la polizia lo ha preso in custodia per interrogarlo a San Paolo.

Alcune ore dopo l’arresto, il giudice Marcel Maia Montalvão ha anche rilasciato un comunicato riportato da El Pais Brasil per spiegare il processo che ha portato all’arresto del dirigente: secondo il giudice, questo sarebbe il terzo tentativo della Polizia di ottenere i dati di Whatsapp; la prima volta è stata emessa una multa da 50.000 dollari, la seconda volta è stata alzata ad un milione e solo alla terza è scattato l’arresto. Una nota che quasi tenta di giustificare l’arrivo di una mossa così sensazionale.

Le autorità brasiliane sono in cerca di informazioni che non possono avere

Secondo quanto riporta il Guardian, le autorità non hanno alcuna possibilità di ottenere le informazioni che cercano da Diego Dzodan  perché anche se WhatsApp è stata acquisita da Zuckerberg nel 2014, l’applicazione non ha personale con sede in Brasile e opera in modo completamente indipendente da Facebook; inoltre, il quotidiano britannico sottolinea che WhatsApp non memorizza il contenuto delle conversazioni e quindi i tribunali sarebbero alla ricerca di informazioni e di dati che, in pratica, non esistono.

Adriano Mendes, un avvocato brasiliano specializzato in diritto digitale interpellato dal Guardian, afferma: “A volte i giudici di questo paese pensano che Facebook e Google memorizzino tutte le informazioni in loro possesso, ma questi giganti dopo un mese o un anno molto spesso non le hanno più”. In sintesi, non solo Whatsapp non mantiene i dati degli utenti, ma è in generale errato dare per scontato che le varie aziende tecnologiche lo facciano. “Ci sono molti problemi in Brasile causati proprio dalla scarsa comprensione di come funziona la tecnologia e il sistema giudiziario non ha le competenze per affrontarli”.

Tuttavia, proprio in Brasile, Facebook ha dimostrato spesso di essere uno strumento prezioso per le forze dell’ordine: la polizia negli ultimi anni, infatti, ha fatto scattare diversi arresti dopo che i criminali legati alle organizzazioni dedite al narcotraffico hanno rivelato informazioni sulla propria posizione sulla piattaforma (in particolare attraverso selfie con armi automatiche condivise sul social network, allo scopo di impressionare gli amici e forse non solo).

Le opinioni degli esperti: una decisione estrema e al limite della legge

Per l’avvocato Carlos Affonso Souza, direttore dell’Istituto di Tecnologia e Società di Rio de Janeiro, casi come questo diventeranno sempre più comuni, soprattutto a causa della mancanza di una legislazione chiara sulle società che hanno sede all’estero. La sua opinione, riportata da Veja, è che l’operato di Whatsapp “non è in contrasto con le normative perché la società non ha sede in Brasile. In questo caso, per ottenere le informazioni, il giudice dovrebbe ricorrere a trattati di cooperazione internazionale che sono già obsoleti” (l’accordo di cooperazione Brasile-Stati Uniti, ad esempio, risale al 1997). Inoltre, conclude Souza, “la decisione del giudice manda un messaggio sbagliato, soprattutto per le aziende tecnologiche che operano all’interno del paese. È stata una decisione estrema”.

Mi sembra assolutamente sproporzionato e sensazionalistico andare a colpire il capo di Facebook perché la sua società (nemmeno lui personalmente) si è rifiutata di fornire dati sull’uso di Whatsapp”, ha commentato invece Carlo Piana, avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie e visionist di TechEconomy. “Più in generale, stiamo assistendo a un’escalation folle che comprime non solo la privacy, ma i diritti fondamentali delle persone, nella speranza di sconfiggere il crimine, ovviamente senza riuscire nel suo intento. Ciò è particolarmente allarmante se si osserva il caso Apple, che è strettamente collegato. Meno garanzie e meno sicurezza informatica per tutti”. Un’azione quindi non solo inefficace, ma anche e soprattutto pericolosa per gli utenti.

In ogni caso, non è la prima volta che le autorità brasiliane si scontrano con Whatsapp: lo scorso dicembre, infatti, il popolare servizio di messaggistica è stato oscurato per 48 ore per ordine del tribunale di Sao Bernardo do Campo, nell’entroterra di San Paolo. Secondo il tribunale di San Paolo, infatti, i responsabili di WhatsApp il 23 luglio scorso non avrebbero rispettato l’ordine di un giudice emesso nell’ambito di un processo penale caratterizzato dal segreto istruttorio. Il Brasile per WhatsApp rappresenta un bacino utenti molto importante: si tratta, infatti, di una delle app per cellulare più usate in assoluto nello stato e, secondo gli ultimi dati del Global Web Index, ben il 62% degli utenti brasiliani di Internet tra i 16 e i 64 anni la utilizza regolarmente.

[Aggiornamento del 03/03/2016: la corte dello Stato brasiliano del Sergipe ha revocato l’ordine di carcerazione]

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