Che settimana, questa settimana! Improvvisamente son tutti diventati esperti di robot. Meglio, di chatbots: se ti fossi addormentato sette giorni fa e ti svegliassi oggi, il mondo intorno a te quasi non lo riconosceresti. Altro che di calcio si parla al bar dello sport! I bot sono ormai l’argomento più trendy: esattamente come poche settimane fa, dopo i primi articoli d’approfondimento sul tema, lo era divenuta la «nostra» Telegram.
Dal niente [o quasi] al [presunto] tutto: nihil sub sole novi.
Merito o colpa stavolta, sicuramente, anche dell’#FBF82016, l’annuale Facebook Developer Conference, tenutosi a San Francisco il 12 e 13 aprile scorsi e che, come da previsione, ha rappresentato il battesimo ufficiale dei chatbots su Facebook e Messenger. E non solo. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sull’evento e sulle tante, massicce novità annunciate, alcune delle quali già partite. Inutile dunque aggiungere qui altri commenti e traduzioni di comunicati stampa. Ti rimandiamo piuttosto, per un rapido recap, alle ottime sintesi di Quartz e The Next Web, TechCrunch e blog di settore come Wit.Ai, che raccoglie giusto alcuni tra gli sviluppatori già a lavoro con Facebook per l’implementazione di chatbots e Intelligenza Artificiale – senza contare l’ottima sintesi fatta qui dal nostro Eugenio Maddalena. Tra Structured Messages e Live Chat, Messengers Codes e Messenger Greetings, Username e Short Links – per non parlare dell’ecommerce in-store via Messenger, di Facebook Live o altri scenari come Realtà Virtuale, nuove forme di condivisione via web e forme di «salvataggio» di link della rete direttamente entro Facebook, tanto per «copiare» un’altra App da tempo ormai di successo come Pocket – Mark Zuckerberg ha sfornato news davvero per ogni palato. Ci auguriamo che tu sia arrivato pronto: come predetto, infatti, ormai dai chatbots non ti liberi più.
Con anche un bel rischio di spam. Per fare una prova, l’altro giorno ho attivato il Messenger bot della CNN su Facebook: basta cliccare su http://m.me/cnn (o scansionare l’apposito QR Code, che splende anche sulla Cover Image della Pagina, in pieno Snapchat-style) e vai con le news. Peccato che il chatbot non sia particolarmente fantasioso. Al terzo giro già ti torna la voglia di andar a cercartele tu le notizie direttamente sul sito, ché fai anche prima, e meglio. Soprattutto, però, inquietante il percorso per stoppare l’invio. Su Telegram basta un bel command «/stop». Per riattivare, se e quando vuoi, con un altro «/start» e via. Qui, invece, prima devi capire che è meglio agire da mobile (non fosse mai che tu stessi lavorando direttamente da desktop!) e poi, magari, bloccare direttamente il bot della CNN. Che poi poverino, mi è quasi spiaciuto: mica lo meritava un ban così!
Non è però tanto questo a preoccuparmi. Una domanda, piuttosto, mi risuona in testa: ne avevamo davvero tanto bisogno?
Lo scopo, e il risultato di tutto questo – saranno davvero la #CustomerExperience Revolution di cui i presunti protagonisti stanno parlando da tanto?
Lo so. Io per prima lo predico da settimane – parlando invero però, soprattutto, di Telegram, dei chatbots integrati su Telegram e, nello specifico, dell’accoppiata, integrata e interattiva, «bots+channels» entro Telegram. Di #YouTelegram, insomma, rievocando con ciò la Youtility, la utilità-per-te di Jay Baer: un’App in grado forse, se ben usata come indicato, di «vender un sogno via robot, tanto splendido che tu, cliente, non potrai non volere comprarlo da me».
Forse. Sì, perché proprio ora che i chatbots stanno invadendo il mondo, con una moltiplicazione esponenziale pari alle centinaia di milioni di utenti di Facebook e Messenger, è doveroso domandarsi in modo ancor più netto: «vendere un sogno via robot» – una «esperienza del cliente da sogno» via chatbot, dove sia chiaro che, però, metto sempre e anzi di più il Cuore e tutto me stesso per aiutarti, soddisfare al meglio le tue esigenze, «amico mio» – è realmente possibile? O si tratta solo di una grande illusione, di un sogno, sì, ma dei marketers, confuso e sovrapposto a quello dei clienti normali? I quali magari, invece, vorrebbero solo un essere umano con cui parlare e in cui trovar conforto al momento del bisogno o più semplicemente un aiuto efficiente (che poi venga da un uomo o un robot poco importa, purché sia tale a prova di bomba)?
«Chatbots: l’inizio di un nuovo Internet?», si domandava Digiday qualche giorno fa, chiosando: «Chat Apps will be New Internet, chatbots the new websites». Parole che ormai quasi non ci stupiscono più, dopo i titoloni e i tanti annunci roboanti degli ultimi mesi. Prima su tutte, in specie, la profezia di Ted Livingston, fondatore di Kik, già molto avanti col suo Bot Store, la sua Bot directory e una piattaforma aperta agli sviluppatori: «Le Chat Apps saranno i nuovi browser; i bots diverranno i nuovi siti web. È l’inizio di un Nuovo Internet».
A dire il vero, secondo il Washington Post, sarebbe proprio Facebook a voler «diventare Internet», se non ad esserlo già. Non che le due cose siano in contraddizione: per farlo, guarda caso, il «Big F» passa dai bot. In generale, comunque, affermazioni come quelle di Digiday o di Livingston – già celebre per la sfida lanciata ormai un anno e mezzo fa al mondo delle App, preannunciando per la sua Kik un futuro da «WeChat dell’Occidente» – non fanno che riecheggiare definizioni ormai note dei chatbots come la «prossima frontiera» della software economy, «all’alba di un nuovo giorno» (The Economist), sostituti perfetti di tutte le App «scaricate sinora sullo smartphone» (Business Insider): «No Apps. No Search Box», scrivono lapidari. O ancora «Bots Are The New Apps»,«Forget Apps, Now The Bots Take Over», «Botageddon», «Bot Gold Rush», «Great Bot Rush», la nuova «Corsa all’Oro dei Bot», «la Rivoluzione più grande dai tempi dell’iPhone».
Un’occasione imperdibile insomma: la «Bot-Ortunity», quel treno che passa una volta sola e… o lo prendi subito, o l’hai perso per sempre. Perder tempo è perder denaro. E non è roba da bot. «2016 will be the year of conversational commerce», ha più volte sentenziato Chris Messina, già inventore dell’hashtag. Vuoi sapere che tempo fa? Lascia perdere le App. Basta «chiedere al bot».
Proprio qui però… casca il bot. O, meglio, potrebbe cadere. «Facebook’s new Messenger bots are the slowest way to use the internet», titolava The Verge durante l’#FBF82016: «Che tempo fa? Le ultime news? Il bot di Messenger… te lo dice “entro un’ora”».
Un’ora? Ma come? I bot non dovevano servire a cambiarci la vita, a farci ottimizzare tempo e denaro, a semplificarci e migliorarci anche le operazioni più semplici?
Fa una prova con Poncho: App che puoi usare direttamente e, ora, anche via Messenger. Portata come esempio in pompa magna anche David Marcus di Messenger, se n’è arrivata bel bella sul palco a San Francisco con il disclaimer: «Generalmente risponde entro un’ora».
Un’ora. Quando per controllare ci metto giusto qualche nanosecondo ad aprirmi l’App del Meteo, a chiedere a Google Now o a cercarmi direttamente il Meteo su Google. Con Messenger almeno, insomma, c’è solo un problema: «The bots are slow… painfully slow».
Lenti. Drammaticamente lenti
E ogni volta rischia di esser così. Per quanto «intelligenti» possano essere gli attuali bot, la maggior parte delle interazioni passa da una serie di comandi mirati a far capire esattamente di cosa hai bisogno. «E tu stai lì ad aspettare se c’ha azzeccato», commenta Nick Statt sulla blasonata testata. «Spesso ci vogliono minuti prima che ti arrivi l’indicazione e, magari, devi poi anche dettagliare meglio per arrivare a saper finalmente quel che cerchi. Altro tempo che se ne va». Tutto tranne che «istantanei» questi robottini virtuali, questi [presunti?] smart agents. «Tanta lentezza non può che esser una prima, forte battuta d’arresto per Facebook M e tutti i suoi bei bot».
Per ora, insomma, meglio tornare nel caro vecchio «Google e cercare lì» le informazioni. «A meno», concludono, «che proprio tu non sappia come ammazzare il tempo».
Houston, abbiamo un problema! Che fine fa la #CustomerExperience Revolution che i chatbots dovevano portare (specie invero però, come qui precisato più volte, nella «ricetta» Telegram Channels+Chatbots, luogo ad oggi del fattore X)? Che fine fa il Customer Journey memorabile, da sogno, che ci era proprio sembrato di poter «vender via robot», mettendoci anche – anzi ancora meglio – Cuore, dedizione, devozione, spirito di servizio verso il cliente-amico?
La risposta affonda le sue radici in una riflessione più profonda: il cui esito – diciamolo subito – è tutt’altro che scontato. La domanda è aperta.
Perché cercare a tutti i costi in un bot, o nell’Artificial Intelligence, risposte, aiuti, sostegni, su piani come il Customer Support, le vendite online, l’entertainment, i momenti di svago e gioco, o ancora l’ordinarsi una pizza o prenotare i biglietti del cinema la sera? Non ci sono forse da sempre gli operatori di call centre, gli addetti all’e-commerce, l’amico con cui far due chiacchiere, il cameriere del ristorante sotto casa, la centralinista alla biglietteria? Gli «esseri umani» non bastano più?
Perché, proprio ora che non si fa altro che parlare di Marketing Personas, di Customer Centricity, di cliente da «seguire e inseguire» in ogni modo via App e mobile, c’è una parte di mondo – o tutto – che cerca i robot?
Ecco, da capire sarebbe intanto se è il mondo che li cerca, o loro a cercare il mondo. Se l’alba, cioè, di nuovo mondo di «bot & robot» si debba al mercato e a una sua effettiva richiesta, o all’offerta del marketing che crea bisogni e rende desideri [forse] irresistibili là dove nemmeno la più fervida fantasia avrebbe portato. E senza cui, forse, si sarebbe vissuti anche meglio.
Qui non si tratta di contraddirsi: ma di mettere – e mettersi – in discussione, come occorre fare sempre. Già lo si è detto altrove: chatbots, Telegram e, in generale, ogni soggetto dei nuovi scenari che oggi si aprono sono solo ingredienti di un processo. Che il piatto risulti buono, a fine cottura, dipende solo da come li mixeremo, da come useremo questi strumenti.
Le sollecitazioni in tal senso, d’altronde, non mancano. Così, prima ancora di chiarirci bene la domanda, anticipiamo qualche cenno sulla risposta. O, meglio, sulle variabili da considerare per poterci arrivare a una risposta, anche provvisoria.
Tra robot e poeti
Il Washington Post ad esempio, prima ancora della critica di The Verge, titolava: «The next hot job in Silicon Valley is for poets». Tradotto: è proprio tra i robot che ci vogliono poeti. Non tanto per un umanistico tocco di «liricità» che, certo, male non farebbe neppure al nostro Poncho. Si tratta semmai di portar a buon fine il processo che, vedremo, ha verosimilmente condotto ad avvertire l’esigenza di «robot tra gli human beings». «La sfida? Metter insieme assistenti virtuali ed esseri umani», scrive Elizabeth Dwoskin. «L’agente virtuale deve esser puramente funzionale o può aspirare a rapportarsi con clienti e utenti anche sul piano emozionale?».
È la nostra domanda originaria. «Vender un sogno via robot», condividerlo con te, cliente, mettendoci io, azienda, tutto il cuore e tutto me stesso, in un #SocialCare a 360 gradi – dando mandato però ad agire, per mio nome e conto, a bot, chat e Apps, non per delegare e lavarmene le mani, ma per garantirti una customer satisfaction ancor maggiore. Tutto questo ha senso? E soprattutto: è possibile?
Alle difficoltà evidenti, cui già abbiamo accennato sopra, runa prima risposta che possiamo dare è – sulla scia dell’articolo stesso – è: sì. È possibile, a patto che sui robot e coi robot lavorino… i poeti. «Spesso ai bot sono appositamente aggiunte piccole imperfezioni e stranezze, affinché pur restando altro dagli esseri umani, risultino più accattivanti, meno alienanti», spiega Mark Stephen Meadows, fondatore e presidente di Botanic.io. Cortana si mette a ridere se le chiedi se sia umana, e ti ci fa pure la battuta sopra: «Però ho il rispetto più profondo per gli esseri umani. Voi avete inventato i calcoli – e i milkshakes!». Come si fa a non volerle bene…
Volerle bene: ecco il punto. Esiste (forse) la possibilità di «vendere un sogno via robot», tanto splendido, «utile», col Cuore, che tu, cliente, non potrai non volerlo comprare da me. Per far questo, però, occorre un robot «ben educato», con «Intelligenza [non troppo] artificiale», che insieme con gli esseri umani possa tentar di riuscire là dove gli uomini, fallibili per definizione, hanno sbagliato o sbaglieranno: nel rendere possibile la sola forma di Marketing davvero vincente oggi, basata sull’Aiuto, sul Cuore – un #HelpMarketing che è #SellHelp, #SocialCare, Customer Care a 360° in cui mettersi in gioco totalmente, pur di assicurare al cliente una #CustomerExperience davvero memorabile.
Sfida non vinta ancora dagli uomini, spesso ridottisi a software, travolti nella folle rincorsa all’ultimo tool, a una tecnicizzazione che li ha forse sì troppo automatizzati, resi meccanici anche nell’aiutare e assistere il cliente, il contatto in rete. Sfida in cui paradossalmente, in un rovesciamento degli orizzonti, potrebbe invece riuscire un robot – un bot, un chatbot, se «ben-educato», «educato bene» da mano umana a tal scopo. Anche e proprio di questo il nostro #YouTelegram, nell’integrazione interattiva di chatbot e canali, purché fatta in modo intelligente e strategico, vorrebbe e potrebbe esser esempio.
Che ci si riesca è tutto da vedere: la «sfida» d’altronde, è in mano agli uomini – e ben ne conosciamo l’imprevedibilità. La scommessa è aperta. E come ben scritto da Dario Melpignano, Fondatore e CEO of Neosperience, la domanda resta: «Chatbots, sono la vera “occasione d’oro” del futuro della Customer Experience?». To be continued… Stay tuned!
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