Digital Transformation chiama nuove infrastrutture di rete: intervista a Alberto Degradi

Network cable

Si chiama DNA, si scrive Digital Network Architecture, e vuole richiamare proprio il concetto dell’innovazione profonda, a livello di DNA appunto, delle infrastrutture di rete.

Alberto Degradi 2015
Alberto Degradi, Infrastructure Architecture Leader Cisco

Il business – afferma Alberto Degradi, Infrastructure Architecture Leader Cisco –  è diventato digitale e se prima ci si concentrava prioritariamente sulla connettività oggi si devono tenere in considerazione altri elementi. Per questo serve un modo nuovo di concepire le infrastrutture di rete che devono essere aperte, estendibili e quindi basate sul software e non soltanto sull’hardware”. Questo è il caso di DNA, una evoluzione della conosciuta tecnologia Cisco Aci  (Application Centric Infrastructure), che consente di ridurre complessità (e quindi costi di gestione), che mette a disposizione nuove funzionalità di automazione (adattandosi quindi anche ad aziende che non hanno know how per gestire internamente le reti) e soprattutto che protegge l’azienda attraverso una infrastruttura sicura. “Le esigenze delle aziende oggi – continua Degradi – sono molteplici e oltre alla tradizionale connettività si pensa a cloud, IoT, alto livello di sicurezza, dovuto al moltiplicarsi del numero di device connessi, e capability che consentano di realizzare soluzioni digitali”. Tanto per fare un esempio, nel caso di una banca che abbia filiali in diverse città non c’è solo bisogno di connettività: il valore aggiunto può essere dato dalla possibilità di conoscere le persone che entrano in filiale al fine di fare marketing mirato. E per fare questo è necessaria una piattaforma che permetta anche la raccolta e l’analisi dei dati. “La rete – afferma Degradi – abilità l’esperienza digitale in ogni settore. DNA è stata pensata per raggiungere tre principali obiettivi: sicurezza e conformità, automazione e capacità di raccogliere e analizzare dati”. Tra le principali caratteristiche di Cisco DNA, la piattaforma APIC-EM che supporta una serie di servizi di automazione, inclusi servizi come per esempio  Plug and Play che elimina la necessità di qualsiasi attività di pre-configurazione o di distribuzione alle postazioni remote o Easy Quality of Service che permette alla rete di aggiornare, in modo dinamico, le impostazioni basate sulle policy relative alle applicazioni.

Perché servono modelli di rete aperti?

DNA è una architettura aperta grazie alla messa a disposizione di API utili allo sviluppo di applicazioni di terze parti, in grado di supportare quindi la creazione di un ampio ecosistema di applicazioni di rete. Dispone inoltre di un sistema operativo di rete Linux based, Cisco Ios XE, ottimizzato per la programmazione, l’automazione basata sul controller e il mantenimento dello stato di efficienza. Questo nuovo modello di rete, rispetto al precedente, è basato sul software e non solo sull’hardware ed è per questa ragione che è maggiormente flessibile e garantisce minori costi per un numero maggiore di device, maggior produttività grazie a strumenti di analisi dei dati ovvero, in una sola parola, maggiore competitività.

Nuovi modi di concepire le infrastrutture di rete sono utili solo alle grandi aziende?

Il modello DNA si adatta alle grandi imprese così come a quelle medio piccole. Nelle grandi il sistema di automazione permette un fattore di moltiplicazione molto alto, mentre nelle piccole i servizi come plug and play, con configurazioni autoinstallanti, danno l’opportunità di pensare a soluzioni come questa pur non avendo personale IT skillato interno o non potendo permettersi di investire su personale esterno.

Nei suoi 30 anni di esperienza sul campo, come sono cambiati gli scenari? Quale il cambiamento più grande che ha vissuto?

Credo che non ci sia mai stato momento migliore per innovare di quello che stiamo vivendo: oggi la tecnologia è fondamentale per costruire nuovi modelli di business. L’IT non è più a servizio del business ma ne è un abilitatore. Le strategie di business si forgiano sulle strategie digitali ed è fondamentale che le imprese capiscano quanto sia necessario un cambiamento culturale che porti a ridisegnare i processi aziendali. Per esempio il passaggio dalla macchina per scrivere al computer non è stato così disruptive: abbiamo cambiato uno strumento per continuare a stampare su carta un documento. Se pensiamo invece a Uber ci accorgiamo di quanto il digitale possa non solo cambiare lo strumento (dal taxi alla macchina) ma il processo con cui un servizio viene offerto. E’ da lì che le aziende devono partire: dal ripensare i processi. Ed è per questa ragione che oggi gli IT devono essere nei board aziendali.

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