I paesi del Nord Europa leader in innovazione e digitalizzazione

Innovation Button Being Pressed Showing Creativity And Vision

Lo scorso 14 luglio la Commissione europea ha pubblicato i risultati del quadro europeo 2016 in merito alla valutazione dell’innovazione e dell’Innobarometro. L’innovazione in Europa ha guadagnato terreno in rapporto a Giappone e Stati Uniti; la Svezia si attesta ancora una volta come leader dell’innovazione seguita da Danimarca, Finlandia, Germania e Paesi Bassi e la Lettonia raggiunge a livello internazionale la resa innovativa più dinamica.

Innovazione e leadership

Tra i propulsori più importanti per imporsi come leader d’innovazione c’è l’adozione di un sistema equilibrato che combini un adeguato livello di investimenti pubblico-privato, delle partnership efficaci tra imprese e mondo accademico, una solida base di istruzione e soprattutto una ricerca di eccellenza. Gli effetti economici dell’innovazione devono infatti non essere solo fine a se stessi in merito allo sviluppo tecnologico ma devono potersi tradurre in vendite ed esportazioni di prodotti innovativi, da un lato, ed occupazione, dall’altro.

Attualmente sono i Paesi del nord europa a guidare la classifica degli innovatori europei: la Svezia si conferma leader nel settore delle risorse umane e in qualità della ricerca accademica, la Finlandia raggiunge i massimi livelli in merito alle migliori condizioni del quadro finanziario, la Germania ha ottenuto il miglior risultato in relazione agli investimenti privati, al Belgio è stata riconosciuta la migliore modalità di collaborazione attraverso le reti attivate nel campo dell’innovazione ed infine l’Irlanda raggiunge il primato per l’innovazione nelle piccole e medie imprese. I Paesi in cui inoltre si registra l’espansione più veloce nell’ultimo anno sono stati Lettonia, Malta,  Lituania, Paesi Bassi e Regno Unito.

Dall’analisi emerge un fenomeno interessante, ovvero, la nascita e lo sviluppo di alcuni poli innovativi a dimensione regionale anche in Paesi innovatori più moderati, come ad esempio il Piemonte e Friuli-Venezia Giulia in Italia, País Vasco in Spagna e Bratislavský Kraj nella Repubblica Slovacca, questo poiché la specializzazione in tecnologie abilitanti fondamentali aumenta le rese innovative regionali, in particolare nel campo dei materiali avanzati, delle biotecnologie industriali e delle tecnologie di fabbricazione avanzate.

Ricerca, innovazione ed economia

Nel corso dei prossimi due anni è previsto il miglioramento delle rese innovative dell’UE. La maggioranza delle imprese prevede infatti di mantenere o aumentare il livello di investimenti nell’innovazione, mentre in Romania, a Malta e in Irlanda le imprese segnalano la propensione ad aumentarli. Il recente studio Science, research and innovation performance of the EU ha stabilito un chiaro nesso tra la crescita nell’UE e gli investimenti nel campo della ricerca e dell’innovazione, sottolineando l’importanza di proseguire gli sforzi a livello europeo per aumentare gli investimenti nel settore.

Anche il Boston Consulting Group ha recentemente stimato intorno al 5,5% la quota di PIL che nel 2016 sarà prodotta nei Paesi più sviluppati del G20 grazie alla Internet Economy, con un picco del 12,4% in relazione al Regno Unito. Il nostro Paese  in queste previsioni si posiziona al di sotto della media UE, per una incidenza del 3,5%. Il valore dell’Internet Economy cambierà molto più velocemente nei prossimi cinque anni, che nei precedenti venti della sua storia, con effetti dirompenti in ogni campo; cresceranno in maniera esponenziale gli utilizzatori e, soprattutto grazie alla diffusione degli smartphone e ad altri dispositivi mobili e alla popolarità dei social media, l’impatto moltiplicativo della rete sarà esponenziale. Entro il 2016 si stimano infatti 3 miliardi di utilizzatori di internet, pari a quasi la metà della popolazione mondiale; l’Internet Economy raggiungerà i 4,2mila miliardi di dollari nelle economie del G-20 (se fosse una economia nazionale, si collocherebbe nelle prime cinque del mondo, dietro Stati Uniti, Cina, Giappone, India e davanti alla Germania).

Nei prossimi cinque anni all’interno dell’aerea del G-20 l’Internet Economy crescerà ad un tasso annuo dell’8%, con una incidenza alla formazione del PIL del 5,3%; già a partire dal 2016 darà lavoro a 32 milioni in più di persone.

Nel nostro Paese, ritardatario rispetto ai Paesi più sviluppati del G-20, l’Internet Economy rappresenterà il 3,5% del Pil, dunque un impatto economico ancora non molto elevato poiché condizionato da un contesto ancora non favorevole alla crescita digitale. In questo scenario, la strategia della Commissione europea di creare in Europa una unione digitale, vuole intervenire allo scopo di permettere ai consumatori, in primis, di acquistare su Internet in tutti i Paesi dell Unione. Un obiettivo ambizioso, il cui raggiungimento richiede di eliminare i vincoli giuridico-economici che oggi limitano il mercato digitale; il piano Ue per il mercato unico digitale punta sulle reti di comunicazioni sovranazionali, sui servizi digitali che attraverso le frontiere facilitino il commercio intra-europeo su internet, armonizzando le regole contrattuali e semplificando gli accordi relativi all’imposta sul valore aggiunto. Attualmente solo il 15% dei consumatori su Internet acquista online in un altro Paese; nel 52% dei casi gli ordini online da un Paese all’altro non vanno a buon fine. I pilastri della strategia europea riguardano il miglioramento dell’accesso ai beni e servizi per i consumatori e per le imprese, la creazione di un contesto favorevole per le reti digitali e i servizi innovativi, e la promozione di una società digitale inclusiva in cui tutti i cittadini dispongano delle competenze necessarie per sfruttare le opportunità offerte da Internet.

Digitalizzazione come acceleratore

La digitalizzazione costituisce un cambiamento non solo nel settore tecnologico-industriale ma sulla società in generale; dell’impatto positivo della digitalizzazione dovrebbe beneficiare l’intero continente europeo, ed alcuni Paesi della regione trarranno maggiori benefici rispetto ad altri, ma saranno gli stessi che pagheranno maggiormente i mancati progressi nella digitalizzazione. Secondo il recente studio Digitizing Europe del Boston Consulting Group le economie delle nazioni definite apripista (l’area costituita da Danimarca, Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Estonia, Irlanda, Finlandia, Norvegia e Lussemburgo) sono in misura maggiore guidate da attività economiche connesse a Internet e informazioni e al settore ICT. Queste economie sono caratterizzate da una popolazione relativamente poco numerosa con alti livelli di digitalizzazione, mercato innovativo e dipendente dalle esportazioni, che li rende agevolati da un facile accesso a un grande mercato digitale. Essendo le imprese più digitalizzate sono anche più competitive nel settore rispetto a quelle dei Paesi meno digitalizzati, motivo per cui hanno necessità di sviluppare e spingere per un mercato unico europeo. Un mercato unico digitale europeo significherebbe oltre 500 milioni di consumatori rappresentando € 415.000.000.000 all’anno sul PIL europeo. I Paesi del nord più innovativi e digitalizzati avrebbero quindi maggiori vantaggi da un’economia europea più digitalizzata, con un incremento potenziale del 40% del proprio tasso medio di crescita entro il 2020, che raddoppierebbe l’aumento del tasso di crescita dei maggiori 5 Paesi UE nello stesso periodo.

L’effetto netto combinato di questi fattori porterebbe ad un aumento superiore all’80% passando da una crescita annua del 2,2% annuo al 3,9% sul PIL europeo entro il 2020. Analizzando l’effetto combinato sul mercato del lavoro dei due fattori di cui sopra, lo studio del Consulting Group stima si creerebbero ulteriori 2,3 milioni di posti di lavoro tra il 2015 e il 2020 all’interno dei Paesi capofila.

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