La formazione: una pluralità di mondi possibili in trasformazione continua

Formazione

Il buon funzionamento e il successo delle organizzazioni è strettamente connesso alle competenze delle persone che le abitano, alle strategie e alle metodologie che queste adottano per mettere in relazione le proprie capacità operative con le richieste dell’ambiente.

E tuttavia, l’apprendimento degli adulti nelle organizzazioni è sistematicamente relegato a una funzione aziendale, la Formazione, cui viene destinato sempre meno budget e sempre minor potereC’è da chiedersi: perché?

La mia risposta è: perché si ritiene, a torto, che le persone siano funzione dell’organizzazione e che possano condividere e quindi perseguire gli interessi e gli scopi dell’organizzazione, semplicemente uniformandosi alle sue procedure.

La mia esperienza di dirigente pubblico, in una grande organizzazione in cui ho anche ricoperto il ruolo di Responsabile della Formazione, m’insegna che il tema va ben oltre i confini della funzione stessa, e persino dell’organizzazione nel suo complesso, per chiamare in causa la responsabilità di un’intera società verso la crescita delle persone.

Un grande filosofo dell’educazione e pedagogista, Riccardo Massa, con cui ho avuto la fortuna di studiare, diceva, in un’intervista pochi giorni prima della sua morte (avvenuta prematuramente, il primo gennaio del 2000): «Comunque l’educatore dovrebbe essere, secondo me, davvero come l’architetto, l’artista, il teatrante dell’educazione. Nel senso di una ‘poietica’ piuttosto che di una poetica, dell’educazione, del produrre un’opera piuttosto che del narrare un vissuto, dell’istituire un mondo piuttosto che del navigarlo. Non un mondo totale o assoluto, ma una pluralità di mondi possibili in trasformazione continua».

Dopo quasi vent’anni, io credo, ritorni di grande attualità la responsabilità dell’educatore, nella dimensione richiamata dalla citazione.

Le dinamiche sociali sono sempre più interconnesse, complesse e rapide, e un’organizzazione per avere successo deve stimolare l’impegno e la capacità di apprendere a tutti i livelli. Si parla perciò di “organizzazione che apprende” o di “apprendimento organizzativo”: l’organizzazione che apprende, mentre si rinnova, incoraggia anche l’apprendimento personale dei suoi membri. Si tende quindi a favorire l’apprendimento esperienziale, che mira a produrre conoscenza dalla rielaborazione dell’esperienza concreta, a valorizzare le conoscenze tacite. Il presupposto dell’apprendimento organizzativo è la condivisione di conoscenze, credenze e assunti di base, allo scopo di abbandonare i propri modelli mentali, vissuti spesso inconsapevolmente in chiave difensiva verso nuovi apprendimenti.

In questo contesto, ci si aspetta che il dirigente assuma un ruolo di “educatore” o di “maestro”, capace di generare motivazione e condivisione sui progetti dell’organizzazione. La capacità di stimolare l’apprendimento diventa una caratteristica cruciale della leadership, perché serve a rafforzare la capacità dell’organizzazione di ripensare costantemente il suo rapporto con la società, a identificare nuove soluzioni e a porre in discussione il disegno organizzativo, per renderlo attuale a fronte dei cambiamenti del contesto.

Le organizzazioni si basano sul presupposto sistemico che gli individui agiscano in gruppo, perseguendo fini comuni, se messi nella condizione di condividere tali fini. Per questo motivo, le politiche aziendali per lo più mirano a costruire storytelling capaci di offrire una narrazione unificante, rinunciando spesso a favorire negli individui lo spirito critico e l’autonomia, la creatività, la capacità di diagnosi e di relazione, di adattamento alle turbolenze del sistema e di gestione dello stress.

Con la recente e pervasiva diffusione delle tecnologie digitali, le organizzazioni perdono i propri confini, la conoscenza diventa diffusa e accessibile a tutti, ben oltre l’azienda o l’istituzione. Quel sistema che si immaginava relativamente chiuso e autosufficiente, si apre a molteplici opportunità di apprendimento, molto spesso per nulla funzionali all’organizzazione ed ai suoi scopi dichiarati.

Nelle organizzazioni che erogano servizi pubblici, inoltre, il cittadino fa irruzione da protagonista, non solo perché viene finalmente messo al centro delle procedure che mirano a soddisfarne le specifiche esigenze, ma anche perché ha la possibilità di guardare all’interno dell’organizzazione – grazie alle politiche di trasparenza – e di dialogare direttamente con le persone che producono i servizi. Il “dentro” e il “fuori” dell’organizzazione tendono a confondersi, spiazzando la “razionalità organizzativa” e mettendo in crisi anche i luoghi e i riti deputati alla formazione.

L’aula viene sostituita dalla community in rete, l’apprendimento in gruppo con il docente, diventa apprendimento individuale con le diverse metodologie di e-learning. La formazione “in presenza” sempre più rara, dovrebbe diventare il luogo prezioso dell’incontro, momento di confronto e di rielaborazione delle conoscenze apprese e delle informazioni acquisite.

Il setting formativo diviene il luogo elettivo in cui costruire una visione comune, in grado di legare gli individui intorno ad un’identità collettiva. Il setting formativo, l’aula, è il momento in cui si sospende l’azione, per dare spazio alla riflessione e perciò non può essere più limitato alla lezione frontale, alla ricezione passiva di contenuti.

I molteplici strumenti della formazione on line, disponibile in rete, ovvero messa a disposizione nelle intranet aziendali, consentono con modalità molto flessibili ed a volte anche piacevoli, di implementare le proprie conoscenze e competenze. Webinar, MOOC, prodotti multimediali, social network, e-learning mettono a disposizione un’enorme quantità di conoscenze.

In questa dimensione, risultano profetiche le parole del filosofo pedagogo, Riccardo Massa “produrre un’opera piuttosto che narrare un vissuto, istituire un mondo piuttosto che navigarlo”: questo deve essere il ruolo dell’educatore/architetto.

Incentivati a navigare in rete, coinvolti in narrazioni individuali e collettive dei nostri vissuti, rischiamo di non essere capaci di costruire nuovi mondi possibili.

La funzione poietica della pedagogia dell’adulto chiama in causa la responsabilità sociale. I diritti di cittadinanza, gli stessi presupposti della democrazia agita, nella società come all’interno di un’organizzazione, presuppongono un grande investimento nella crescita delle persone, nella loro capacità di partecipare attivamente e consapevolmente alle scelte sul futuro della comunità.

Da più parti viene denunciato l’enorme gap di “competenze digitali” a fronte della diffusione di massa delle tecnologie digitali. Non si tratta unicamente di abilità e destrezza nell’utilizzo delle funzionalità informatiche, ma di competenze cosiddette trasversali, relazionali e di comunicazione, nuove capacità di discriminare le informazioni, di produrle relazionandosi in modo etico. Le competenze digitali sono definite dall’AGID come “le capacità di utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione”. Le nuove forme di comunicazione sociale, rese possibili dalle nuove tecnologie, vanno ben oltre le possibilità stesse degli attuali sistemi educativi, e rendono urgente una loro profonda innovazione, nel segno di una nuova responsabilità della figura dell’educatore.

Pertanto, ritengo che all’interno delle organizzazioni debbano essere nuovamente valorizzati i ruoli preposti allo sviluppo dell’apprendimento, implementate le relative capacità con nuovi strumenti, evitando di confinarle all’interno di uffici deputati, ma diffondendole all’interno dei ruoli manageriali.

Lo sviluppo dell’apprendimento delle persone è un fattore determinante della loro valorizzazione. Prendersi cura della crescita delle persone dovrebbe essere una primaria responsabilità dei dirigenti chiamati a garantire il “benessere organizzativo” e tuttavia l’attuale formazione manageriale è inadeguata a sviluppare tale ruolo, né – salvo casi eccezionali – si ha notizia di specifici investimenti in questa direzione.

Se si guarda, infine, al mondo del lavoro ormai destrutturato e precario, estremamente variabile nelle sue ancora scarse opportunità, soprattutto per le giovani generazioni, si deve immaginare una formazione degli adulti sganciata dalla pretesa di uniformarli alle logiche aziendali, ma focalizzata sull’individuo, sulle sue capacità di base, sull’alfabeto della convivenza civile e della cittadinanza attiva, oltre che su specifiche competenze tecniche per imparare sempre nuovi mestieri.

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Attualmente sono Direttore regionale Vicario di INAIL Lombardia, ma ho ricoperto l’incarico di Responsabile dell’Ufficio Formazione della Direzione Centrale Risorse Umane di INAIL. Dopo una lunga esperienza nella gestione dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese, sono approdata alla Formazione per passione, visto anche il mio curriculum di studi specifici. Nel mio nuovo incarico, di più elevata responsabilità, ho modo di utilizzare da un’angolazione diversa, gli strumenti concettuali e pratici della formazione. Sono convinta che le tecnologie per l’informazione e la comunicazione (ICT) hanno potenziato enormemente la possibilità di mettere a disposizione e condividere conoscenze e competenze. La Formazione avrà successo solo se riuscirà a sviluppare nelle persone la responsabilità individuale verso il proprio percorso d’apprendimento, in un contesto organizzativo coerente e facilitante.

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