Dave Hakkens è un ventottenne neerlandese (dei Paesi Bassi) un po’ difficile da presentare: il suo titolo di studi dice designer, ma le numerose attività in cui si cimenta aggiungono alla lista voci come videomaker, inventore e sperimentatore. Il filo conduttore di tutte queste attività è invece molto facile da individuare: la sostenibilità, su diversi livelli, ambientale ma anche economica e sociale.
Phonebloks, la modularità diventa “cool”
Nel 2013 raggiunge la notorietà grazie al progetto Phonebloks, un concept di smartphone modulare ed Open Source che ha dato presto il via ad una comunità digitale intenzionata ad ispirare le aziende “mainstream” di elettronica di consumo alla progettazione di prodotti modulari facilmente personalizzabili e soprattutto riparabili, con l’obiettivo di prolungare la longevità dei device e diminuire il rifiuto elettronico, indirizzando il modello di business quindi su accessori, moduli aggiuntivi e “upgrade” piuttosto che sull’obsolescenza programmata. L’iniziativa non si può dire che abbia “sfondato”, ma è sotto osservazione da parte di numerose compagnie e sicuramente ha ispirato diversi prodotti, tra i più noti citiamo: il Project Ara di Motorola/Google, il Fairphone 2, il PuzzlePhone, lo smartwatch Blocks, il desktop modulare Acer Revo Build e il laptop per la didattica One Education Infinity.
Story Hopper, storie che vale la pena condividere
L’elemento chiave del progetto Phonebloks, oltre all’evidente bontà dell’idea, è stata la straordinaria capacità comunicativa di Dave, caratterizzata da una narrazione estremamente semplice, diretta e comprensibile, capacità che viene messa a frutto in un successivo progetto ispirato da “Story of Stuff” e chiamato “Story Hopper, storie che val la pena condividere”, un contenitore che Dave riempie di appunti di viaggio, di pillole di buonsenso per una sostenibilità del quotidiano, ma anche di reportage importanti come quello a Agbogbloshie, in Ghana, il luogo che rappresenta la più vasta discarica di rifiuto elettronico e uno tra i 10 siti più inquinati al mondo in assoluto. Anche qui la narrazione è sorprendente ed inaspettata, dietro ad un dramma ben documentato dalle riprese, c’è la sorpresa di una popolazione che ha imparato ad arrangiarsi separando i rifiuti, ingegnandosi per recuperare le materie prime (in modi più o meno efficaci) e dando nuova vita agli scarti.
Precious Plastic, la plastica è un rifiuto o una risorsa?
Da qui, mosso dal forte desiderio di dare strumenti e risorse migliori a queste popolazioni, arriva l’ispirazione per un terzo, cruciale progetto: Precious Plastic. Come per Phonebloks, anche in questo caso è la cultura della condivisione e della collaborazione a fare la differenza. Dave, con la straordinaria creatività e manualità che lo contraddistinguono, dopo essersi studiato il ciclo di vita e le differenti tipologie di plastiche riciclabili (ovviamente documentando il tutto con un bel video) realizza un primo, rudimentale set di macchine ideate col preciso scopo di produrre oggetti tangibili: vasi, porta-lampade, trottole, piedistalli, per comunicare con la massima efficacia il messaggio che dal “rifiuto” possiamo effettivamente generare qualcosa di tangibile e utile nel quotidiano.
La promozione molto efficace della campagna è dunque seguita dalla creazione di un portale online ad hoc, dalla pubblicazione con licenza Open Source dei suoi progetti e delle specifiche tecniche, e dal lancio della “sfida” alla comunità per la creazione di un set 2.0 delle macchine, stavolta meno “specializzate”, molto più raffinate e “industriali”. Tutti i capisaldi della cultura Open Source/Open Hardware vengono messi a frutto nel concepimento dei nuovi strumenti: modularità (riparazione e personalizzazione), documentazione chiara e liberamente disponibile (specifiche, istruzioni, tutorial), materiali base facilmente reperibili ovunque nel mondo (inclusività). Lo storytelling, questa volta con accezione davvero positiva, spinge il coinvolgimento di persone competenti nella comunità, mentre Dave coordina e promuove il progetto visitando (e documentando) altre popolazioni nel mondo dove l’emergenza della contaminazione da rifiuto plastico è particolarmente allarmante.
Il progetto, iniziato a fine 2013, arriva a compimento a primavera 2016, con un salto di qualità davvero notevole rispetto alla versione 1.0. Il set ora permette di coprire un ambito produttivo decisamente più ampio e variegato ed è composto dalle seguenti macchine:
- Una tranciatrice/spezzettatrice per ottenere la materia prima per le successive lavorazioni, ovvero piccole scaglie di plastica ottenute triturando gli oggetti di scarto (ripuliti ed asciugati). Particolarmente importante in questa fase è la suddivisione delle diverse tipologie di plastica (riconoscibili dalle sigle stampate o impresse sugli oggetti, quella sorta di triangolino di frecce in circolo con un numero al centro) e, a piacere, la suddivisione dei vari colori in scale cromatiche.
- Una stampante ad iniezione in cui la plastica viene convogliata, scaldata ed iniettata in uno stampo per creare in serie oggetti di piccole dimensioni.
- Una macchina per lo stampaggio a pressofusione per creare oggetti più grandi e robusti scaldando e comprimendo la plastica sempre in uno stampo.
- Un estrusore di filamento plastico per stampanti 3D, in cui le scagliette di plastica vengono versate in una tramoggia e spinte attraverso una coclea in un estrusore riscaldato, per poi essere estratte ed avvolte in bobine.
Riconoscimenti
La riuscita di questo progetto e la veloce replica delle macchine in tutto il mondo (sul profilo Facebook del progetto vengono postati e condivisi esempi, personalizzazioni e hacking con cadenza praticamente quotidiana) valgono a Dave numerosi riconoscimenti e l’onore di vedere esposto il progetto e le macchine alla mostra “Designs of the year” di Londra.
Conclusioni
Questa, è evidente, non è una storia di business: le macchine non vengono vendute, ma replicate liberamente, la comunità si sostiene con le donazioni, mentre Dave, che sicuramente ottiene qualche entrata dalle visualizzazioni del suo canale YouTube con poco meno di 90.000 iscritti, collaborazioni, visibilità e la possibilità di organizzare workshop, di certo non diventerà un ricco magnate. Questa storia piuttosto nobilita il ruolo della comunicazione e del modello collaborativo Open Source in ambito no-profit, in particolare su temi sensibili come quelli che hanno a che fare con l’ambiente, la salute e la qualità della vita. Ci insegna un’ennesima volta che l’iniziativa di un singolo “illuminato”, se supportata dalla padronanza della comunicazione multimediale e delle piattaforme social, può essere messa a frutto in progetto che può raggiungere traguardi inaspettati e imprevedibili, quindi ci sprona a non aspettare sempre l’aiuto dall’alto della politica o delle istituzioni, ma, come diceva il Mahatma Gandhi, ad essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.
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